Antonio Lucchi, spunti per la comunicazione visiva

Antonio Lucchi, spunti per la comunicazione visiva

Partendo dalle risposte di Antonio Lucchi, intervistato da David Padovani, abbiamo evidenziato alcuni concetti propri della comunicazione visiva.

Antonio Lucchi nasce a Sassari, città nella quale frequenta l’istituto d’arte Filippo Figari, nel ramo grafica pubblicitaria e fotografia. Nel 2008 inizia a disegnare seriamente in digitale e scopre le infinite potenzialità del mezzo. Da sempre appassionato di fumetti, oltre che di videogiochi, pubblica la sua prima storia di dieci tavole, Shinigami, su sceneggiatura di Paolo D’Orazio. Seguono altri prestigiosi incarichi, poi arriva la chiamata di Gianfranco Manfredi per entrare a far parte dello staff di disegnatori di Adam Wild.

Antonio Lucchi, tavola estratta da Adam Wild, 2016

David Padovani lo ha intervistato per Lo Spazio Bianco nel dicembre 2014. Prendendo spunto dalle sue risposte, ho evidenziato alcuni concetti propri della comunicazione visiva.

A.L. Mi è arrivata la richiesta di fare qualche tavola di prova per Adam Wild, con una scadenza molto ravvicinata. Ripensandoci ora, a posteriori, è stata una cosa positiva, perché mi ha spronato a cercare un tipo di segno grafico diverso da quello che avevo usato fino a quel momento.

Antonio Lucchi, tavola estratta da Shinigami, 2011

La coerenza di stile. Il problema di moltissimi artisti. Uno degli illustratori che collabora con le maggiori testate giornalistiche americane (anche apprezzato come creatore di pennelli professionali per Photoshop) ha raccontato durante una recente intervista quello che pensa in proposito: al contrario di quanto sostengono in genere insegnanti ed esperti d’arte sul coltivare un unico stile, riconoscibile e identificabile, ha parlato di come la varietà sia diventata il sale della sua vita professionale. È uno spunto interessante per chi cerca maggiori opportunità di lavoro, vuole conquistare nuovi mercati e continua a sperimentare.

A.L. In un certo senso, devo ringraziare Facebook se sto lavorando.

Gianfranco Manfredi, Facebook Fan Page

Antonio si riferisce al periodo in cui Gianfranco Manfredi ha aperto una pagina Facebook, sulla quale ha chiesto provocatoriamente se ci fosse ancora qualche disegnatore capace di produrre un certo numero di tavole al mese e (nel caso) di contattarlo. Antonio non ha avuto il coraggio di proporsi, ma Matteo Bussola, compagno di Paola Barbato e co creatore di Davvero, ha fatto comunque il suo nome e quello di Damjan Stanich.

Marco Luna, “Anatomy References” on Facebook
Character Design References on Pinterest

I social network più visivi forniscono ai disegnatori infinite fonti: l’album Facebook “Anatomy References” di Marco Luna, solo per citarne qualcuno, le bacheche di Character Design References su Pinterest, tutto il patrimonio fotografico di Flickr e persino Wikipedia.

A.L. Lavorare con Manfredi è molto bello: è uno sceneggiatore che va incontro al disegnatore. Ha voluto da subito che tutti noi autori coinvolti ci esprimessimo in completa libertà, senza fare un gruppo di lavoro con uno stile uniforme, ma anzi ha insistito affinché ognuno di noi si sentisse libero di affrontare la storia da disegnare con il proprio stile personale.

Antonio Lucchi, tavola estratta da Adam Wild, 2016

Ogni artista dovrebbe avere ben chiaro che cos’è che rende il proprio lavoro diverso dagli altri: per Antonio sono le atmosfere cupe, il modo in cui sfrutta le ombre e i neri, il segno “grosso” e le tavole molto “gestuali”.

A.L. Manfredi conosce bene il modo in cui sfrutto le ombre e i neri nei miei disegni e come essi possano essere efficaci a rappresentare una storia di un certo tipo.

Nel disegno e nella pittura la corretta rappresentazione delle ombre è fondamentale per ottenere un effetto tridimensionale realistico. Le figure colorate uniformemente appaiono irrimediabilmente piatte. Il contrasto tra luce e ombra può essere usato per conferire drammaticità a una scena; un maestro indiscusso di questa tecnica è stato il Caravaggio.

Caravaggio, La Vocazione di San Matteo, 1599–1600

A.L. Sono un egocentrico e mi piace far vedere quello che faccio! A parte gli scherzi, essendo quello del fumettista un lavoro solitario, io sento la necessità di instaurare un rapporto con i lettori, con chi segue la mia opera.

Quella di Antonio è una buona strategia di Inbound Marketing. Grazie a canali come blog, social network e motori di ricerca, è possibile imparare sempre di più sul proprio target, in modo da personalizzare nel corso del tempo le strategie visive e i contenuti, adattandoli a bisogni specifici.

A.L. Lavoro con una tavoletta Bamboo Wacom e appena potrò passerò alla Cintiq con lo schermo grande, da 22 o 24 pollici, anche se un po’ ho paura che questo possa cambiare la gestione del segno; un conto è fare un gesto piccolo e contenuto, altra cosa è quando lo spazio a disposizione per il pennino aumenta.

Antonio Lucchi on YouTube

Il segno può essere considerato come l’unità minima della raffigurazione artistica, insieme al punto e alla linea. Nel linguaggio visivo, chiamiamo segno qualunque traccia (una linea, una macchia di colore su una tela, un’incisione su una pietra) prodotta consapevolmente per esprimere e comunicare un certo significato. Il segno è la traccia visibile con cui ogni artista esprime la propria sensibilità e la propria originalità. Può essere tracciato con spessori diversi, con forme diverse e con colori diversi.

D.P. In un’intervista hai detto, poi, che eri un lettore appassionato di “Splatter e Mostri” che ospitavano storie di autori dal segno “grosso”.
A.L. Assolutamente sì, tutta la cosiddetta scuola salernitana: Bruno Brindisi, Luigi Siniscalchi, Roberto De Angelis. Ho sempre adorato i segni spessi, le linee sottili sto iniziando a guardarle ora.

Bruno Brindisi, Dylan Dog & Harlan

D.P. Quindi, per esempio, un autore come Giancarlo Alessandrini non è nelle tue corde.
A.L. A dire la verità, i miei gusti stanno cambiando.

Giancarlo Alessandrini, litografia di Martin Mystère

L’intervista originale è di David Padovani

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