
Topolino #3384: Il tesoro extrasolare
Nel corso degli 80 e passa anni di Topolino in Italia, i personaggi disneyani hanno spesso intrapreso missioni nello spazio, interagendo sia con vita intelligente sui pianeti del Sistema Solare, sia viaggiando verso altre stelle differenti dal nostro Sole.
Ed è proprio per un viaggio di questo genere che si prepara Paperon de’ Paperoni all’inizio de Il tesoro extrasolare, storia di Francesco Artibani e Mario Ferracina che ha visto la collaborazione al soggetto di Licia Troisi.
La storia, al di là del trito e ritrito uso della lista dei debiti (anche se in questa occasione Paperino affronta il problema in maniera diversa dal solito), ricorda un po’ un capolavoro come la Grande parodia Il pianeta proibito di Fabio Michelini e Marçal Abella Bresco, un po’ L’isola nel cielo di Carl Barks.
Artibani, ben supportato da Ferracina che realizza delle tute spaziali tutto sommato credibili, abbandonando ingenuità tipiche di altre storie in cui vediamo i paperi andare nello spazio con i loro indumenti quotidiani (e che abbiamo visto anche in alcune storie recenti), riesce a mescolare gag, avventura e momenti in un certo senso più didascalici con vignette che forniscono ai lettori alcune semplici informazioni scientifiche.
Gli aspetti più interessanti della storia sono, però, giusto due o tre: uno, su cui non mi dilungherò, è quello relativo all’alimentazione nello spazio, usato dallo scenegiatore per realizzare una gustosa running gag (gag ricorrente). A questo si affiancano il tema del pianeta extrasolare e il modo migliore per raggiungerlo, una volta scoperto un pianeta potenzialmente interessante.
Guardarsi intorno
Una delle domande più intriganti cui sta cercando di rispondere l’astronomia moderna è “siamo soli nel’universo?” La questione ha ovviamente un senso se consideriamo che non è ancora ben chiaro il meccanismo che ha portato l’universo al suo aspetto attuale a partire dall’espansione iniziale che viene impropriamente chiamata Big Bang e che sembra piuttosto insensato un intero universo con un unico pianeta abitato.
In questi anni, allora, si sono moltiplicati gli esperimenti per cercare la vita nell’universo: la ricerca di materiale organico nelle code delle comete, o di biomolecole sui pianeti del sistema solare, come Marte o la recente scoperta della fosfina su Venere, o la ricerca di pianeti extrasolari.
L’idea che le altre stelle che ci circondano possano ospitare altri pianeti è vecchia almeno quanto la gravitazione: il primo a esprimerla in termini scientifici fu, infatti, Isaac Newton nel 1713.

Ora, grazie a una serie di satelliti progettati e mandati in orbita per lo scopo, per lo più basati sul metodo del transito, sappiamo che in una porzione piccola della Via Lattea, la nostra galassia, esistono alcune migliaia di esopianeti, tra cui uno dei più vicini si trova a poco più di 4 anni luce da noi, come peraltro abbiamo anche visto.
La conferma di una scoperta, però, non rende un pianeta automaticamente abitato: al più se ne può valutare l’abitabilità in base alla posizione rispetto alla stella. Il passo successivo a questo è, però, andare a studiarne la composizione, per quanto possibile, a partire dalla luce che ci proviene dal pianeta, ovvero provare a determinare l’esistenza di eventuali biotracce sulla sua superficie.
Ovviamente allo stato attuale della nostra tecnologia, abbiamo poche possibilità di andare oltre queste poche informazioni, per cui il problema di raggiungere un pianeta extrasolare per ora non si pone (d’altra parte anche raggiungere Marte o tornare sulla Luna sono sfide non banali).

Questo problema la storia di Artibani, Ferracina e Troisi in qualche modo lo risolve con una trovata alla Star Trek, il motore a iperzompo, che riporta alla mente l’iperspazio usato da molti autori di fantascienza per consentire di ridurre lo spazio tra le galassie.
In realtà, allo stato attuale, l’idea più utile in mancanza di tecnologia criogenica o di una qualsiasi possibilità di piegare lo spaziotempo ai nostri comodi, sarebbe la realizzazione di un’astronave generazionale, ovvero una vera e propria piccola città autosufficiente che impiegherà alcune generazioni per raggiungere la sua destinazione. E magari nel frattempo anche colonizzare qualche altro pianeta che potrebbe incrociare strada facendo.
E’, però, questa una scommessa che al momento possiamo affrontare solo nel regno della fantascienza, sognando che l’umanità, un giorno, possa porre piede su un pianeta extrasolare proprio come ha fatto, e continuerà a fare Paperone, sempre accompagnato dai suoi fidati nipoti.