Dal web alla carta: Jacopo Paliaga e French Carlomagno

Dal web alla carta: Jacopo Paliaga e French Carlomagno

Abbiamo intervistato Jacopo Paliaga e French Carlomagno, autori di "Come quando eravamo piccoli", edito da Bao Publishing.

Jacopo Paliaga e French Carlomagno sono un duo artistico noto dal 2015 per il loro webcomic Aqualung.
Jacopo Paliaga è nato a Trieste nel 1990. Studia sceneggiatura alla Scuola Internazionale di Comics di Padova. Come quando eravamo piccoli è il suo primo romanzo grafico. Ha un piccolo cane di nome Spritz che diventa Spritz Aperol da venerdì a domenica.
French Carlomagno è nato a Torino nel 1986. Frequenta il corso di illustrazione allo IED e inizia a lavorare sia come illustratore sia come visualizer e storyboardista presso Armando Testa.
È abbastanza fiero della sua barba.
Come quando eravamo piccoli, edito da Bao Publishing, è il primo romanzo grafico per entrambi, mentre è già stata annunciata la seconda stagione per Aqualung, che sarà pubblicata su carta grazie sempre all’editore milanese.

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Ciao, Jacopo e French, e grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande.
Dove vi siete formati a livello professionale?

Jacopo: Ciao e grazie a voi!
Ho frequentato il corso di sceneggiatura alla Scuola Internazionale di Comics a Padova, anche se la vera palestra si è rivelata essere il web.
French: Dopo il corso di illustrazione allo IED di Torino, negli anni seguenti ho svolto diversi lavori tra pubblicità e illustrazione che mi hanno portato a lavorare per quattro anni e mezzo in Armando Testa come visualizer e storyboardista, fino a quando non ho preso la decisione di lasciare tutto per seguire il fumetto, che era da sempre la mia passione e il mio obiettivo.
Jacopo: No, aspetta, per essere precisi: dopo aver realizzato i primi due capitoli di Aqualung, French mi chiama e mi dice: “Mi licenzio, così facciamo fumetti insieme”.
Non immaginate l’ansia e la responsabilità ogni volta in cui battevo sulla tastiera!

Come è nato il vostro sodalizio artistico?
J: Volete ridere? La BAO, sulla sua pagina Facebook, nel dicembre 2014 aveva riportato la news riguardante una portfolio review a Milano. Un’amica di French l’aveva taggato sotto, come a volerlo spronare a presentare qualche cosa. Io sono passato con la freccia del mouse sopra il suo nome, ho visto che aveva come immagine di copertina un suo disegno fichissimo, gli ho chiesto l’amicizia e abbiamo cominciato a chiacchierare.
F: Ora il nostro rapporto si basa saldamente su ore e ore di telefonate quotidiane e sulla chat di Facebook, che speriamo nessuno legga mai. Anche se, a essere onesti, tra aprile e maggio ho visto più Jacopo che la mia ragazza. Abbiamo stretto una buona amicizia che non può far altro che accrescere il nostro entusiasmo per quello che facciamo assieme.

Aqualung

A cosa è dovuta la scelta di esordire con un webcomic (Aqualung)?
J: Per un editore con le spalle larghe è complicato investire su esordienti, che comportano mille rischi e zero certezze, figuriamoci per le case editrici più piccole.
Con gente nel settore da anni che fatica a veder pubblicata la propria roba, quante possibilità può avere uno sconosciuto totale? E prima capisci questa cosa, meglio è.
L’unica strada sensata è l’autoproduzione, far vedere al mondo quello che sai fare e quello che vuoi fare, come lo vuoi fare. La scelta di pubblicare sul web deriva da questo, dal “far vedere al mondo”, dove i social media dominano il tempo libero praticamente di chiunque.
Per farvi capire di quanto è bello il web: esce il primo capitolo di Aqualung e Alessandro Lise, mio insegnante alla Comics (che mi ha spinto verso la strada del fumetto indipendente) condivide il link. Tra gli amici di Alessandro c’è Luca Genovese (Orfani, Dylan Dog, Beta) che French e io non conosciamo assolutamente.
La stessa sera, Luca condivide il link del primo capitolo. E lo fa anche con il capitolo due, con il capitolo tre, con il quattro, e solamente perché gli piace quello che sta leggendo.
Poi, a metà della serie, ci arriva sulla casella di posta una mail di Leonardo Favia, editor BAO, che voleva semplicemente farci i complimenti per il nostro lavoro.
Passa un mese e, al primo colloquio in BAO, scopriamo da Leonardo che Luca Genovese si è messo a chiamare in redazione (e non solo di BAO) e a spammare il nostro fumetto, come dicevo, semplicemente perché gli piaceva. Non è fantastico, tutto questo?
F: Per quanto mi riguarda, non avevo in mente con precisione cosa mi sarebbe successo dopo essermi licenziato. Quello che sapevo era che volevo iniziare seriamente a dedicarmi ai fumetti, e quando mi sono trovato davanti la proposta di Jacopo per me è stato spontaneo buttarmici a capofitto, e la sua idea di partire su web mi entusiasmò da subito. Credevamo fermamente che fosse il modo migliore per farci notare e abbiamo dato il massimo perché questo potesse accadere.

Quando pubblicherete la seconda stagione di Aqualung? Che differenze ci saranno rispetto alla stagione precedente?
J: La seconda stagione di Aqualung partirà a metà settembre, quindi manca poco.
Sarà lunga il doppio della prima, ma i capitoli saranno sempre dieci, questo vuol dire che ogni settimana pubblicheremo un equivalente di 12-16 pagine della serie principale.
Ci saranno nove spin-off, uno a settimana, alcuni in serie e altri one-shot, disegnati per la maggior parte dalla nostra Ludovica Ceregatti preferita e da altri guest-artist.
Ogni martedì uscirà un episodio di Aqualung, ogni giovedì uno spin-off.
La differenza principale, però, sta nell’approccio: con il sostegno di BAO posso guardare lontano, posso programmare trame a lunga gittata, ed avendo Aqualung una forte impronta mystery la cosa mi stuzzica parecchio.
Abbiamo introdotto (molti) nuovi personaggi, nuovi villain, nuovi misteri.
Possiamo dirlo che la seconda stagione si apre con un omicidio bello grosso, sì?
Ops, spoiler.

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Qual è stata la differenza, se c’è stata, nell’approccio ad un webcomic e ad un fumetto su carta?
J: In realtà, per quanto mi riguarda, scrivere per il web è molto più difficile.
Chi compra il libro ci spende dei soldi, quindi quando legge presta molta attenzione, mentre online ti capita di leggere fumetti in ogni luogo. Ogni. Luogo.
Quindi in ogni capitolo devi cercare di offrire una breve esperienza completa al lettore, partire da A e arrivare a B, e devi far sì che rimanga sempre attento, ancor più che sulla carta, che Netflix e YouTube sono a immediata portata di mano.
Oltre a questo, mentre scrivo per il web devo pensare in anticipo se – nel caso il fumetto diventasse cartaceo – una pagina vorrei che diventasse una splash, o una doppia splash, o altro, che nel digitale, a schermo, una splash corrisponde a circa mezza tavola.
Inoltre devi fare più attenzione agli stacchi, che con le vignette una sotto l’altra a volte possono sembrare più bruschi di quanto vorresti.
Su carta quello che scrivi viene stampato così come lo immagini la prima volta, senza bisogno di pensare in due formati contemporaneamente.
F: Lavorando in prevalenza tutto digitale l’approccio a livello tecnico rimane lo stesso, sia a livello di disegno che di colore. Quello che cambia è più che altro l’approccio alla lettura e quindi le vignette devono essere pensate anche e soprattutto per essere lette solo in verticale. Ma a livello tecnico, per me, davvero poco.

Sia nella struttura di Aqualung che in alcuni elementi della trama di Come quando eravamo piccoli sembra emergere una passione verso le serie TV. In che modo ritenete che il linguaggio e le caratteristiche delle serie vi abbiano influenzato?
J: Quando avevo dieci anni guardavo Buffy, la sera, con le lenzuola tirate su fino al naso. D’estate davano le repliche di Dawson’s Creek al pomeriggio e non me ne perdevo una. Per tutte le scuole superiori, rientravo a casa a ora di pranzo giusto in tempo per vedermi Gilmore Girls alle tre del pomeriggio. E poi c’erano The OC, Scrubs, One Tree Hill, erano gli anni in cui cominciavano Lost, Grey’s Anatomy, Supernatural, How I Met Your Mother. Le vedevo veramente tutte, o quasi, e ho continuato su quella via. Quindi è un linguaggio che mi suona estremamente naturale, è parte di me e del mio quotidiano.
F: Si nota eh? Siamo entrambi grandi fan di serie TV. Jacopo ne divora sicuramente molte più di me, ma anche io ho i miei punti fermi.

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Qual è secondo voi il modo migliore per parlare di sentimenti in un fumetto, senza risultare banali?
F: Non credo esista un modo migliore di un altro per farlo. Forse, la cosa più importante è l’autenticità, qualcosa in cui il lettore possa immedesimarsi quando legge la tua storia, riconoscendosi nelle vicende.
J: Secondo me, in gran parte, dipende da come uno vive i propri sentimenti nella vita reale e da come li riversa su carta. Non puoi rifarti a cose che hai visto, quando si parla di emozioni, ma soltanto a quello che hai vissuto e a come l’hai vissuto.
Quindi il modo migliore forse è l’essere onesti con se stessi e con le sfumature che scegliamo di raccontare, in quanto ognuno vive i sentimenti in maniera differente.
In questo caso, ho scelto un taglio piuttosto pop e leggero che rispecchia perfettamente il mio modo di essere, perché probabilmente non sarei stato in grado di raccontare questa storia in altra maniera, e credo sia giusto così.

Usare come protagonista del vostro nuovo libro Come quando eravamo piccoli uno scrittore facilita in qualche modo all’autore raccontare determinate cose, grazie ad una sorta di “identificazione”?
J: In realtà no, anche perché in questo caso Pietro è uno scrittore sicuramente più navigato di me, che ne ha fin sopra i capelli del proprio lavoro, in quel momento.

COME QUANDO ERAVAMO PICCOLI_testo4Un creatore di storie affronta in modo diverso la propria vita?
J: Se intendete “alla Hank Moody”, no (per ora).
La cosa migliore è poter gestire il proprio tempo come si vuole, nel senso che se dopo pranzo voglio prendermi una pausa e guardare un film o uscire, posso farlo.
In linea di massima, cerco di darmi degli obiettivi più che degli orari, del tipo “oggi devo scrivere sei tavole di questo, quattro tavole di quello, rivedere quel soggetto, sistemare quella cosa…”.
Avere orari mi mette l’ansia, molto meglio per obiettivi minimi.
Cosa fondamentale, per me, è ritagliarmi del tempo ogni giorno per l’intrattenimento, dalla mattina in cui mi sveglio e leggo un fumetto, alle serie che guardo di notte.
Questo lavoro mi permette di farlo, ed è una gran cosa.

Se doveste identificare una morale di Come quando eravamo piccoli, quale sarebbe?
J: “Le cose brutte accadono per insegnarci a riconoscere le cose belle”. È la prima frase del libro, quella su cui ruota un po’ tutta la storia. Sbatti la faccia contro un muro e ti rialzi, e nel frattempo capisci dove hai sbagliato e impari dai tuoi errori. Se non facessimo errori saremmo sempre allo stesso punto di partenza, non impareremmo niente. Personalmente, le ho prese nei denti parecchie volte, nella vita, quasi sempre per colpa mia, e ho imparato a incassare e a reagire.
F: Se c’è una morale è che anche quando ti sembra che niente vada più come vorresti e tutto inizia a sfuggire al tuo controllo, basta volerlo e si trova sempre un modo per riprendere in mano la proprio vita. Ed è una cosa in cui credo fermamente.

Quanto di autobiografico c’è nella crisi di ispirazione cui si parla nel fumetto?
J: Nulla, per fortuna. Dopo due sole storie sarebbe grave!

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Più in generale, cosa credete della libertà artistica e sul controllo del proprio prodotto?
J: Premesso che è altrettanto interessante lavorare su personaggi e testate già popolari, soprattutto per una crescita personale, per un confronto, personalmente libertà e controllo artistico sono i motivi per cui non dormo la notte. Quando decidi di fare fumetti, e sei a malapena un teenager, il sogno è di creare qualcosa di tuo. Qualcosa che rispetti una tua visione delle cose, un tuo gusto, un tuo stile, e che rispecchi la tua personalità.
Paradossalmente, avere più libertà ti mette un attimo con le spalle al muro, ti costringe a guardarti attorno, sempre, a essere attivo, a essere meticoloso. Scrivere qualcosa di tuo implica prendere tutte le decisioni possibili, tutte. Certo, un editor ti può dare una mano, ma in una fase che viene dopo, quando hai già messo nero su bianco un bel po’ di cose. Sei da solo con te stesso, e a volte devi essere severo, a volte devi fidarti, altre volte devi essere disposto a fermarti e ricominciare.
Scrivere qualcosa di tuo ti mette alla prova, è una sfida enorme. È la cosa che mi diverte di più.
F: Sicuramente avere un controllo totale su quello che si fa, come è stato per noi con Aqualung, è importante, ma è altrettanto vero che possono esserci dei limiti che la revisione di un editor può aiutarti a superare e correggere.

A pochi mesi dalla pubblicazione sul web di Aqualung avete annunciato sia l’edizione cartacea del webcomic che l’uscita di Come quando eravamo piccoli, entrambi per BAO Publishing. In che modo siete entrati in contatto con la casa editrice?
F: È stato un percorso piuttosto naturale, in quanto mentre Leonardo Favia ci scrisse per complimentarsi con noi per Aqualung, stavamo preparando un proposal per le Città viste dall’alto che avremmo poi presentato con l’occasione della Bao Boutique. Quindi è stata una sorta di venirsi incontro reciprocamente e dal momento in cui la lavorazione di Come quando eravamo piccoli stava procedendo bene, è venuta spontanea l’idea di trasformare Aqualung in volume cartaceo. E quando ci fu proposto, non potevamo che esserne entusiasti.
J: Ero al Treviso Comic Book Festival, a settembre, seduto su di una panchina a chiacchierare con Michele Foschini. Parlavamo di Aqualung e di come sarebbe andata avanti la serie, e Michele mi ha detto: “Ascolta, perché non facciamo un elegante cofanetto che raccoglie le varie stagione della serie?”, e io: “Ma con BAO?”, e lui: “Sì, con BAO”. E io: “Okay”.
Poi ho festeggiato per quarantotto ore di fila, più o meno.
La cosa che mi ha colpito è stata l’assoluta semplicità della proposta, che un esordiente magari s’immagina riunioni segretissime con sacrifici di agnelli per decidere i libri da pubblicare, e invece no, così, sulla panchina. Ho un piacevolissimo ricordo di quella conversazione.

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Quanto è stato importante lavorare per BAO e come ha contribuito a livello di creazione?
J: Per Come quando eravamo piccoli siamo stati seguiti da vicino da Leonardo e Michele.
La prima volta in cui ho ricevuto un file con alcune correzioni di Michele, con cui non avevo ancora mai parlato né di persona né al telefono, c’erano due note che dicevano: “Altri Baci Perugina da snocciolare?” e “Questa mi sembra una trovata da film di Muccino”.
Dopo averle lette ho saltato qualche battito.
Però aveva assolutamente ragione, e con le sue dritte e con quelle di Leo siamo arrivati alla stesura definitiva. Non ci sono stati grossi cambiamenti, dalla versione iniziale, ma di settimana in settimana Leonardo si assicurava che non partissimo per la tangente.
COME QUANDO ERAVAMO PICCOLI_testo5E poi, da un altro punto di vista, lavorare con un editor sempre presente ti dà parecchia sicurezza.
Per dire, la seconda stagione di Aqualung andrà prima online, e dal punto di vista creativo abbiamo carta bianca, ma comunque ho fatto leggere tutta la trama dettagliata a Leonardo, e così farò con tutti i capitoli della stagione.
Penso di essere cresciuto più in questi mesi di lavorazione del libro che in anni di studio, scrittura e ricerca per conto mio. Un’altra cosa per cui dire grazie.
F: Siamo entrambi dei fanboy di BAO, decisamente da prima di cominciare a lavorarci, quindi è ovvio che dal momento in cui abbiamo cominciato a lavorare ai nostri fumetti sapevamo che ci sarebbe piaciuto tantissimo, un giorno, vedere qualcosa di nostro con un Cliff in copertina.
È stato un percorso molto rapido, a dire il vero, e in un anno sono cambiate molte cose.
Lavorare con BAO era un obiettivo, un qualcosa da raggiungere. Creativamente è stato importante, ti dà una tale carica ed energia che fa la differenza. Noi continuiamo per il nostro percorso creativo, con gli obiettivi bene in mente, cercando di dare il nostro meglio sempre, come abbiamo fatto fin dall’inizio, ma consapevoli di avere tante persone attorno che ci danno una mano.

Ringraziamo ancora Jacopo Paliaga e French Carlomagno per averci concesso quest’intervista.

Intervista realizzata via mail il 3 giugno 2016

 

 

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