Dopo la Trilogia esplicita (Romanzo esplicito, P. La mia adolescenza trans e Anestesia), che ha contribuito a renderla un vero e proprio fenomeno mediatico non solo fumettistico, Fumettibrutti torna a raccontare la sua transizione di genere andando a riempire con nuovi dettagli ed episodi quella che potremmo definire una “autobiografia scomposta”, una esposizione non sempre lineare, ma che restituisce un quadro generale della sua vicenda attraverso la stratificazione di eventi e significati ed evidenzia anche un percorso di crescente consapevolezza dell’autrice su cosa e come raccontare certi passaggi della sua vita.
Tra teatro, fumetto e romanzo
Tutte le mie cose belle sono rifatte si apre con Josephine Yole Signorelli su di un palco nella messa in scena di un monologo teatrale, situazione che accompagna il lettore per tutto il volume e che tiene il filo di alcuni episodi della sua transizione. Questa premessa giustifica anche la presenza continua del suo parlare, illustrare e spiegare sotto forma di didascalia.
Sembra davvero quel passaggio di testimone ipotizzato nelle prime pagine di questa stessa opera tra il fumetto e il romanzo: lo stratagemma del monologo è la scusa per un flusso continuo di pensieri al limite dello scritto in prosa, eppure ancora non completamente libero dalla necessità dei disegni per accompagnarlo e risparmiare la descrizioni dei dettagli e del contesto delle singole scene.
Il fumetto come strumento ibrido sorregge così il fiume di parole e lo alleggerisce, ma non sembra sufficiente a contenere tutto quello che l’autrice desidera mettere su carta e, per distrarre meno possibile dalle parole, si spoglia sempre più, semplificandosi nel segno, omettendo i dettagli, avvolgendosi di tinta piatta gialla o blu.
Questa struttura, comunque ben lontana dalla forma del romanzo illustrato, provoca un po’ di disequilibrio tra disegno e esposizione scritta, ma la lettura si rivela comunque scorrevole e chiara grazie all’ironia, a volte acuta, a volte caciarona ed esplicita, che funziona da alleggerimento anche nei momenti di profonda sofferenza che Signorelli mette in scena.
Quadri violenti di una transizione positiva
Ci sono aspetti solo marginalmente toccati generalmente quando si parla di identità di genere e della transizione, come quelli economici, che per tutto il volume vengono invece messi in evidenza; problemi che caricano di ulteriore ansia e timore momenti già emotivamente intensi e irti di difficoltà.
Non certo meno impattante il rapporto con gli altri, il rifiuto, la violenza, la manipolazione psicologica subite dall’autrice, ma facilmente associabili a chiunque viva la transizione. Il racconto dello stupro subito è diretto, senza drammatizzazione o spettacolarizzazione: è raccontato in poche vignette che pesano quanto tutto il resto del volume. Ma è posto quasi come fosse di passaggio, probabilmente perché non risulti come una cosa eccezionale, ma una drammatica manifestazione di quello che l’autrice (e non solo) si è trovata ad affrontare. Questa scelta narrativa rende così il racconto dell’accaduto ancora più doloroso e insensato.
Nonostante tutto, il volume si chiude con la positività di chi è passata attraverso tante difficoltà per poter dire, oggi, di esser riuscita a essere chi vuole. Un incoraggiamento forte, quindi, che sicuramente coinvolge molto chi si riconosce nella sua storia.
Un altro aspetto che viene sottolineato è quello dei tanti piccoli e grandi interventi a cui una persona in transizione si sottopone per arrivare ad essere chi sente di essere, alcuni dei quali sono solitamente ignorati da chi non conosce l’argomento: naso, denti, pomo d’Adamo, corde vocali, seno, vagina… Una quantità di operazioni che solo a metterle in fila procurano ansia. Senza contare il pericolo, come raccontato ampiamente in queste pagine, che non tutte riescano correttamente, con tutte le conseguenze del caso.
L’opera e il messaggio
Lo stile, con la narrazione in prima persona, il tono estremamente franco nel raccontarsi intimamente ed esplicitamente, il disegno urgente e stilizzato, porta facilmente a un parallelo con le opere che Nicoz ha dedicato alla sua transizione maschile (da Play With Fire a Transformer), anche se in entrambi è evidente una voce personale e distintiva. Nicoz forse ha la capacità di rendere maggiormente universale il suo messaggio, di esprimere nei propri sentimenti caratteri basici e comprensibili in maniera più semplice da tutti, mentre Fumettibrutti, pur non risultando certo chiusa verso un lettore che abbia quel minimo di empatia necessaria, sembra rivolgersi più specificatamente alle persone che condividono la sua esperienza o comunque più sensibili all’argomento. Ma sono impressioni personali, che non escludo siano influenzate anche da una banale maggiore “affinità mentale” verso un uomo trans rispetto a quella verso una donna trans e che non modificano il giudizio delle opere.
Chi ha conosciuto le opere di Fumettibrutti ritrova lo stile che l’ha caratterizzata dagli inizi, ovviamente affinato rispetto a quello dalle sue prime strisce pubblicate sul web e in parte anche rivisto e reinterpretato soprattutto per la preponderanza della parola scritta sul disegno. Possiamo azzardare dicendo che è il suo fumetto “meno” fumetto da questo punto di vista e quello in cui l’autobiografia è ancora più esplicita: l’autrice sta affidando il racconto della sua vita non solamente al tramite del disegno, ma ne sta parlando direttamente, in prima persona, su quel palco metaforico che è l’opera nelle mani del lettore. Forse è un cambiamento che rispecchia il suo crescente impegno politico e di attivista e nella conseguente abitudine ed esigenza di dover spiegare a fondo il proprio messaggio a parole, davanti a un pubblico.
Quello che conta è che un racconto così diretto, esplicito e a tratti feroce, eppure al contempo capace di una sua leggerezza, conferma la voce di Fumettibrutti e il suo posto nel fumetto italiano.
Abbiamo parlato di:
Tutte le mie cose belle sono rifatte
Fumettibrutti
Feltrinelli Comics, 2024
136 pagine, brussurato, colori – 19,00 €
ISBN: 9788807551765