Sin dal suo esordio con il collettivo Delebile, Bianca Bagnarelli si è subito fatta notare per il suo stile chiaro e pulito, il suo assoluto controllo dello storytelling e la padronanza del linguaggio del fumetto, soprattutto su storie brevi. Al contempo, la sua carriera si è mossa con successo nel campo dell’illustrazione, realizzando illustrazioni e copertine per alcuni dei più importanti quotidiani e magazine del pianeta, come il New York Times, il The New Yorker, The Atlantic, Süddeutsche Zeitung Magazin, Internazionale e molti altri, oltre a grandi editori come Penguin Randomhouse e Einaudi). A Lucca Comics and Games 2024 Coconino porta in anteprima Animali Domestici, una raccolta dei lavori che Bagnarelli ha realizzato nel corso di 10 anni, apparsi su riviste come kûs e Cicada Magazine, oppure pubblicate da etichette indipendenti come Nobrow Press e ShortBox tra i quali alcune storie candidate o premiate a importanti festival internazionali (Fish è stato premiato nel 2014 con la Gold Medal della Society of Illustrators di New York).
Pur realizzate ad anni di distanza le une dalle altre, le storie condividono il filo rosso del racconto di piccole cose, di momenti di quotidiane stranezza oppure di routine consolatorie, ma anche di eventi che ci hanno cambiati per sempre (come la pandemia), che spesso si concludono in maniera inaspettata o sorprendente. Un po’ Raymond Carver, un po’ Chris Ware, lo stile e la narrazione di Bagnarelli si muovono in questa raccolta tra punti fermi e variazioni sul tema (uso del colore o monocromia, tratto più pulito o più tremolante), creando una “somma di piccole cose” (come direbbe Nicolò Fabi) che parlano della nostra realtà.
Abbiamo incontrato l’autrice per parlare del suo percorso e delle sue storie.
Ciao Bianca e grazie per il tuo tempo. Vorrei parlare prima di tutto del percorso che hai fatto in questi anni: ti ritroviamo qui ad una fiera del fumetto con una raccolta di tue storie, però nel corso del tempo la tua carriera si è evoluta nel campo dell’illustrazione, hai lavorato per riviste nazionali e soprattutto internazionali. Qual è stato il tuo percorso artistico in questo periodo?
Sin dall’inizio volevo fare fumetti, era quello che mi interessava e che mi interessa ancora. Ho iniziato con il corso di fumetto e illustrazione dell’Accademia di Belle Arti di Bologna e con Delebile, che è un’autoproduzione esistita dal 2010 al 2018. Questa è stata una palestra importante sia per i fumetti che per l’illustrazione, perché le mie prime copertine le ho fatte per le nostre antologie. La carriera nell’illustrazione è venuta fuori in maniera abbastanza naturale, nel senso che semplicemente a un certo punto, dopo che è stato pubblicato Fish negli Stati Uniti, mi ha contattato un art director del New York Times chiedendomi se volessi fare un’immagine per il giornale e poi da lì è stata un po’ come una valanga: ne fai una, altri art director la vedono, gli piace, ti chiamano e quindi mi sono a un certo punto ritrovata con un lavoro da illustratrice che magari non avevo cercato ma che è molto bello. Sono contenta adesso, però se devo definirmi dico che l’illustrazione è quello che faccio di lavoro e i fumetti sono quello che mi piace fare.
Parlando di illustrazione e fumetto, come si influenzano a vicenda nel tuo lavoro?
Moltissimo: lo stile dei fumetti che faccio, soprattutto negli ultimi anni, viene dalle illustrazioni; il metodo di lavoro, le palette, i colori, il fatto di usare tanto la luce e il colore per dare il senso e l’atmosfera della storia, sono tutte cose che sono venute fuori facendo tante illustrazioni, per cui in realtà si influenzano molto nel senso che avendo fatto tante illustrazioni è diventato un esercizio di disegno e di composizione che poi ho usato anche nei fumetti.
E immagino che una delle sfide nel realizzare illustrazioni sia quello di raccontare una storia in un’immagine…
Sì, a me interessa l’illustrazione un po’ più narrativa, ovvero che guardando un’immagine si abbia subito l’idea di quello che c’è oltre, e quindi l’illustrazione è un frammento di qualcosa di più grande. Per cui sì, c’è una tensione narrativa anche nelle immagini singole.
Hai parlato di Delebile, la realtà autoprodotta di cui sei stata tra i co-fondatori e che è stata una delle più importanti degli scorsi anni per le tante possibilità che ha aperto agli altri. Ora che si si è conclusa, che cosa ti resta di quell’esperienza? Che cosa ti ha lasciato nel tuo metodo di lavoro?
La maggior parte delle cose che ho imparato su come si fanno i fumetti le ho imparate facendo Delebile, non solo realizzando i miei lavori ma anche guardando il lavoro degli altri. La cosa che mi manca di più di Delebile è poter lavorare sulle storie degli altri, quando c’era un momento di scambio in cui un autore ti manda la sua storia e ne parlate insieme cercando di capire insieme come quella storia può diventare più forte.
Penso che questo mi abbia aiutato a essere critica delle cose che faccio, fare sempre un passo indietro e rivedere la storia con un pochino di distanza, una specie di auto-editing, se così possiamo dire.
E quindi ti piacerebbe curare in futuro una tua collana? Ovviamente non sto mandando messaggi a Coconino o altri editori, però sarebbe interessante.
Sì, a me piacerebbe un sacco. È chiaro che quando lo fai in una auto-produzione è diverso perché spesso sei tra amici e quindi c’è una familiarità, una confidenza che magari invece per un autore che non conosci personalmente non c’è, però mi piacerebbe.
Animali domestici raccoglie un po’ tutta la tua produzione di questi ultimi anni, quindi tante storie brevi, indipendenti, realizzate a distanza anche di anni. C’è però un filo conduttore, ovvero il racconto di piccole cose, di sprazzi di quotidianità, esperienze di vita vissuta, magari con alcuni momenti inaspettati, che rientrano comunque in un qualcosa in cui ci si può riconoscere.
Da quale necessità sono nati questi racconti, questo modo di raccontare?
Non credo di poter parlare di necessità: difficillemte parto dai personaggi, o dalla voglia di raccontare una storia in se per se. Il racconto parte magari da un’idea, da una cosa atmosferica, e poi cerco di costruirci attorno qualcosa per capire come sono arrivata fin lì. Una cosa che mi capita spesso è di partire da un’idea di un finale: io so come voglio che finisca la storia e poi diventa quasi un percorso al contrario, nel quale cammino all’indietro per capire come arrivare lì e perché sia successa quella cosa lì alla fine. Per cui non posso parlare di necessità: i fumetti mi sono sempre piaciuti tantissimo, sono sempre stati la prima risposta che mi davo alla domanda: se devo raccontare questa cosa come la racconto? Con i fumetti. E la mia voglia di raccontare penso derivi semplicemente dal fatto di leggere tanto e probabilmente essere un po’ presuntuosa, di pensare che le mie storie possano interessare.
Hai parlato di tante letture: quali sono quindi le tue influenze?
Tanto fumetto, partendo da quello americano, quindi Daniel Clowes, Chris Ware, Adrian Tomine, che ho letto quando ero al liceo e ai primi anni dell’università, e che sono stati molto formativi. Poi anche prima di quello ho sempre letto tanti fumetti, da bambina, soprattutto fumetto francese. E poi tanti libri, tra cui i grandi classici della letteratura inglese, Jane Austen, Dickens, e quella americana, come Carver, Yeats, Flannery O’Connor: soprattutto leggendo una raccolta di sue storie brevi sono rimasta folgorata da questo formato, e da qui c’è stata l’evoluzione da lettrice a scrittrice.
Proprio parlando della forma del racconto breve, questa è oggi abbastanza rara nel fumetto, in cui ormai si chiedono storie lunghe, graphic novel, mentre la tua forza come autrice nasce proprio in questa forma. Mi hai detto che questo nasce da un interesse letterario, ma quali sono le sfide nel realizzare una storia breve?
Ci tengo a dire che oltre all’interesse letterario c’è anche una certa mia incapacità: ho provato un paio di volte a confrontarmi con una narrazione di respiro più ampio e mi rendo conto che proprio non riesco a stare dentro a uno spazio così grande per così tanto tempo, dopo un po’ mi viene l’ansia. E poi una cosa che mi piace molto del racconto breve è proprio il fatto di avere questo meccanismo contenuto in se stesso, molto piccolo, che anche per il lettore non è una cosa impegnativa; deve starci dentro e magari ha un livello di coinvolgimento emotivo anche molto alto, però finisce velocemente, è una cosa piccola che condividiamo io e la persona che sta leggendo per quel poco tempo. Un’altra cosa che mi piace molto, come dicevo prima, è scrivere i finali, e se fai storie brevi puoi scrivere molti più finali (ride).
In questo volume, da un lato c’è una riconoscibilità del tuo stile in ogni storia, però in ognuna di esse ci sono delle variazioni sul tema, che sia una scelta della palette del colore, un tratto leggermente meno pulito degli altri. Cosa guida questa tua ricerca, o comunque questa volontà di variare, di cambiare?
Questa varietà è probabilmente anche il risultato organico del fatto che sono stati realizzati in un lungo lasso di tempo, in dieci anni inevitabilmente lo stile cambia. E probabilmente questo si vede anche nelle mie illustrazioni, è una cosa che è successa semplicemente nel tempo. Negli ultimi racconti ho trovato uno stile in cui mi sento a mio agio, e con cui mi sembra di riuscire a rappresentare più cose possibili, in cui mi sento di avere meno limiti: non dico che riesco a disegnare tutto in questo modo, ma sicuramente è un modo di lavorare che per me funziona molto bene.
Tante dello storie contenute in Animali Domestici sono state realizzate o con Shortbox o per lo Shortbox Fest. Quale è stata la tua esperienza con questo editore? Shortbox ha cessato la sua attività quest’anno, ma il festival digitale continua e tu stessa hai realizzato una storia quest’anno, Dog Days, che poi è confluita in questo volume…
Zainab Akhtar, che è la persona che cura Shortbox, secondo me è stata incredibile perché è riuscita a fare una cosa difficilissima, cioè convincere tantissime persone a comprare dei PDF, una cosa non semplice nè scontata. Questo modo di lavorare è bellissimo perché quando l’esperienza Delebile è finita io mi sono trovata un po’ senza casa, perchè quando fai una storia breve poi non sai bene che fare, se non c’è un’antologia o una rivista per pubblicarla. Shortbox è arrivata nel momento perfetto: io volevo continuare a fare fumetti ma non avevo più un posto dove farli, e questo appuntamento tutti gli anni dà la possibilità di fare un fumetto della lunghezza che vuoi, con il tema che vuoi, senza nessuna restrizione di contenuto, completamente libero, e hai un sistema di accesso a migliaia di lettori in tutto il mondo. Io sono molto grata sia per il lavoro che Zainab ha fatto prima con la casa editrice, sia per l’idea di fare il festival, che tra l’altro ogni anno cresce sempre di più, funziona sempre meglio, ha sempre più accessi, sempre più lettori.
Sempre parlando di Animali Domestici, una domanda che forse non si fa, un po’ tipo a quale dei tuoi figli vuoi più bene, ma se dovessi indicare un episodio chiave per te, quale sarebbe?
Direi David, una storia che c’è verso la fine del libro: sono 24 pagine fatte in origine per la rivista letteraria americana McSweeny’s, inserite dentro una delle loro pubblicazioni, che sono abbastanza particolari e supercomplicate dal punto di vista cartotecnico, ed è il primo fumetto in cui sono riuscita a lavorare sullo stile per giungere al livello di confidenza di cui parlavo prima, ho individuato un po’ questo luogo dove mi sentivo a mio agio, sia col disegno che con la storia: è come se qualcosa avesse fatto un clic e da lì non ho più mollato questo stile.
Guardando al futuro, quali sono, se non i tuoi futuri lavori, almeno le tue future direzioni?
Devo dire che mi mi trovo bene in questo sistema in cui io faccio le illustrazioni per lavoro e poi con il mio tempo, con i miei modi, soprattutto con la mia lentezza, continuo a fare fumetti che piano piano si accumulano e poi a un certo punto c’è un modo di raccoglierli. Per me ha funzionato molto bene come modalità e spero che avrò l’occasione di poter continuare a farlo.
Quindi ci dobbiamo aspettare altre raccolte.
Sì, fra altri dieci anni faccio un’altra raccolta (ride).
Va bene, ma almeno una storiella all’anno faccela, per favore!
Sì, certo, va bene (ride).
Grazie Bianca, e alla prossima raccolta di storie!
Bianca Bagnarelli
Nata a Milano nel 1988, è illustratrice e fumettista. Le sue illustrazioni sono state pubblicate su testate internazionali come The New York Times, The Washington Post, The Atlantic, Vanity Fair, National Geographic e molte altre. Ha realizzato copertine per Penguin, HarperCollins, Einaudi, Feltrinelli, Mondadori oltre ad aver illustrato tre libri su testi di Kazuo Ishiguro e Chimamanda Ngozi Adichie per la casa editrice Einaudi e per l’editore inglese Faber. Il suo primo libro a fumetti, Fish, è stato premiato nel 2014 con la Gold Medal della Society of Illustrators di New York. Nel 2024 ha realizzato la sua prima cover per il magazine statunitense The New Yorker. Vive e lavora a Bologna.