
Scritto e disegnato dall’autore francese, protagonista è lo stesso Mahmoud, con la sua passione per il disegno e le belle donne, e soprattutto con la sua vita nella gabbia a cielo aperto dei campi profughi palestinesi.
La vita di un ragazzo come tanti, con passioni, desideri, speranze e la noia di ogni giorno, ma condizionata dalla presenza ingombrante, anche sotto forma di dolorosi ricordi, del muro che Israele ha eretto per dividere le proprie colonie dai territori palestinesi.
Il ritorno di Audry, una ragazza francese con la quale in passato ha avuto un flirt, è l’occasione per riattraversare quel muro e per vedere riaffiorare i propri ricordi dell’occupazione israeliana, la propria visione del conflitto e soprattutto del rapporto con l’occidente, con i media, con la politica. È difficile trovare argomenti da ribattere ai pensieri, o meglio alle argomentazioni che Mahmoud pone direttamente al lettore. Mahmoud è un ragazzo che ha perso molto, che vive sulla sua pelle il destino toccatogli per esser nato in Palestina, che sa distinguere tra diritto e fondamentalismo, e che vive tutte le contraddizioni della situazione con lucidità ma anche con rabbia e un senso di impotenza. Per lui, questa opera è un modo per uscire dai suoi confini, parlare a persone lontane da lui.
Creare dei ponti con l’esterno, con tutti i mezzi possibili, resta il solo modo per sensibilizzare l’opinione internazionale, così che possa a sua volta mobilitarsi per far pressione sui poteri nazionali.

Un buon fumetto, un’opera diretta nel raggiungere i propri obiettivi, sceneggiata con efficacia tale da far sembrare semplici anche scelte visive e narrative tutt’altro che banali, grazie all’abilità di Le Roy nel costruire le tavole e nel donare espressività ai protagonisti.

Tutto questo a me fa paura, paura di anestetizzarmi completamente di fronte al dolore reale, alla morte, di anestetizzarmi per sovraesposizione all’ingiustizia. Una sensazione da contrastare con tutte le mie forze, un pericolo che mi chiedo se sono il solo a percepire. O se non sia solo un’altra estensione del muro. Anzi, del “muro“.
Ma questo muro non si regge da solo, ragione per cui bisognerebbe affibbiargli un paio di virgolette. “Muro”, ecco,così è più corretto.
Questo cosa significa per me? Che non leggerò più fumetti o romanzi che trattano questo tema? Che ritengo sia inutile scrivere ancora sull’argomento?

Saltare il muro è pregevole per le soluzioni grafiche di Le Roy e le sincere e al contempo lucide parole di Mahmoud, ma non molto aggiunge a quanto già letto o sentito. Certo meglio, più efficace e sentito del recente (per i lettori italiani) “Capire Israele in 60 giorni” di Sarah Glidden, un fumetto certo personale ma affrettato, superficiale, per certi versi superfluo e incentrato più sull’autrice che sul problema. Non un difetto di per sé, ma personalmente trovo che parlare in questo modo della situazione palestinese finisca per sembrare un esercizio onanistico, e come tale improduttivo, sterile.
Certo, da nessuna opera bisogna aspettarsi delle Risposte con la R maiuscola, ma almeno è lecito auspicare che vi siano le giuste domande, osservazioni nuove o da un punto di vista diverso, o, se non altro, che siano opere profondamente sentite e attentamente ponderate.
Abbiamo parlato di:
Saltare il muro
Maximilien Le Roy
Traduzione di Giliola Viglietti, Francesca Magistro
001 Edizioni, 2011
104 pagine, brossurato, colori – 14,00€
ISBN: 978-88-96573-34-1
Riferimenti:
Maximilein Le Roy, il blog: maxleroy.blogspot.com



