Tintin e i Picaros: in cerca di una nuova identità

Tintin e i Picaros: in cerca di una nuova identità

Da molti considerata un errore che Hergé avrebbe dovuto evitare, "Tintin e i Picaros" è un esperimento per capire il posto di Tintin nel mondo moderno.

La Castafiore viene arrestata a San Teodoro con l’accusa di tramare contro il regime del Generale Tapioca e Tintin, Haddock e Girasole sono accusati di complicità con la soprano.
Questo l’innesco di Tintin e i Picaros, ultima avventura completa della saga di Hergé che, chiariamo subito la nostra posizione, non soffre di alcun segno di esaurimento e si pone come un passaggio nell’evoluzione della scrittura e del personaggio. In particolare il racconto valorizza uno sguardo distaccato e disilluso sul mondo contemporaneo, evidenzia le potenzialità dei personaggi e la leggerezza pedagogica di Hergé che evita il didascalismo.

Tintin e i Picaros inizia con uno strano ribaltamento di atteggiamenti: è il Capitano Haddock che insieme al Professor Girasole parte alla volta di San Teodoro (Sud America) per incontrare il Generale Tapioca, mentre Tintin resta a Moulinsart.
A rendere sconcertante la scelta del protagonista non è tanto il rifiuto dell’avventura – motivato dalla lampante evidenza che tutta la vicenda sia una trappola – quanto il rifiuto di soccorrere la Castafiore (che, ricordiamolo, lo salvò in Borduria ai tempi de L’affare Girasole) e di restare vicino ai due amici, sinceramente poco abili nel destreggiarsi fra intrighi e complotti.

A rafforzare il senso di spiazzamento è l’incapacità del Capitano di sopportare l’alcol, diventatogli improvvisamente nauseabondo. Nel corso della vicenda si aggiungono altri cambiamenti: Pablo, che salvò la vita a Tintin al tempo de L’orecchio spezzato, questa volta lo tradisce; l’invadente Lampion, campione del senso comune nella peggiore accezione, contribuisce al successo del piano architettato da Tintin; infine, perché no, la coppia Dupond & Dupont che si comporta con grande dignità davanti al plotone di esecuzione.

La fine delle certezze: il Capitano Haddock non riesce a bere alcol.

Dopo l’esasperazione degli stereotipi utilizzata ne I gioielli della Castafiore, Hergé ha ripreso a sperimentare con le caratterizzazioni; dopo che in Volo 714 per Sidney aveva messo Tintin in balia degli eventi, la duttilità dei personaggi (e la leggerezza del raccontare di Hergé) fa sì che ora la prima aspettativa, il primo piacere della lettura sia proprio scoprire come ogni personaggio interpreterà l’avventura che abbiamo fra le mani.

In questo senso possiamo vedere la lunga saga di Tintin nella prospettiva di un cammino verso l’umanizzazione, di cui il viaggio In Tibet costituisce il punto di non ritorno.
Le ultime quattro avventure portano Tintin a un passo dalla figura dell’antieroe e quello che manca è probabilmente più una questione di atmosfera, la scelta di Hergé di mantenere la commedia come tono principale di modulazione, che di azioni e considerazioni del personaggio.

Quando (pagg. 9-10) Tintin annuncia a uno sbalordito Capitano Haddock che no, non lo seguirà a San Teodoro, che il Capitano è libero di infilarsi nella trappola ma che lui sente un chiaro puzzo di imbroglio, è impossibile non reagire con lo stesso stupore di Haddock. Questo Tintin è ormai distante mondi da quello che, ancora ai tempi di Coke in stock, partiva per il medio oriente e non esitava a tuffarsi in una guerra di altri per aiutare un vecchio amico.

Non è più il Tintin guidato dalla passione per l’avventura, unito al senso di Giustizia e sempre sorretto dalla curiosità e dai valori dell’amicizia. È un Tintin che manifesta una razionalità da adulto, molto pragmatica, molto autoconservativa. Tecnicamente, forse è solo il mancato uso da parte di Hergé del monologo interiore che impedisce al personaggio di superare l’ultima soglia che lo separa dalla figura di antieroe. I pensieri di Tintin ci rimangono ignoti e la sua dimensione rimane quella dell’azione, non della riflessione. La maggiore amarezza che sottende il racconto viene allora dalla minor dose di comicità e ridicolo che avvolge le vicende.

San Teodoro prima e dopo il cambio di uomo forte al potere.

La stessa storia quarant’anni dopo

Il viaggio a San Teodoro di Tintin, Haddock e Girasole è aperto e chiuso da due vignette che mostrano un quartiere nel quale dominano miseria, cumuli di rifiuti e sorveglianza armata. Unico cambiamento è la scritta inneggiante al Capo di Stato di turno: Tapioca a pag. 11, Alcazar a pag. 62. È la stessa disillusione mostrata ne L’orecchio spezzato, ma stavolta Hergé non usa i toni farseschi dell’antica avventura per raccontare gli eventi. In questo senso, se consideriamo L’orecchio spezzato e I Picaros come due versioni di una stessa storia, possiamo vedere in che direzione sia evoluto lo stile di Hergé e la natura della saga. La leggerezza a cui accennavamo va intesa come la capacità di messa in scena e definizione del registro espressivo più efficace; ma dal punto di vista della dominante emozionale siamo su tonalità più gravi.

È un dato di fatto che il racconto del 1976 faccia ridere molto meno di quello del 1937 ma questo dipende non tanto (non solo) da un inaridimento dell’ispirazione quanto dalla diversa consapevolezza del mondo da parte di Hergé. Scegliere di rivisitare l’antica storia a quaranta anni di distanza è innanzitutto un esperimento con il quale Hergé cerca di capire quale possa essere il ruolo di Tintin. Dettagli quali il cambio di abbigliamento, l’uso di una moto o il disegno del simbolo della pace sul casco sono elementi affermativi, nel senso che svolgono un ruolo di attualizzazione dello scenario secondo la stessa filosofia che segnalammo per la riedizione de L’isola nera, con le sue auto modernizzate.

La sfida che gioca Hergé, quella sulla quale merita concentrarsi, ha come strumento consapevole il racconto nel suo complesso. Come già nelle storie post Tibet, Hergé cerca un’identità per Tintin, nel senso che prova a mettere a fuoco il lettore di riferimento del presente e come si collocano le storie e le tematiche di suo interesse rispetto alla propria sensibilità.

Murales della stazione Stockel della metro di Bruxelles, ad opera dello Studio Hergé. Le maschere dei figuranti non vi ricordano quelle di Guy Fawkes?

Dal nostro punto di vista, quaranta anni nel futuro rispetto a I Picaros, è ovviamente difficile immergerci negli animi dei lettori di quelle due epoche: abbiamo però la sensazione che tanto L’orecchio spezzato quanto I Picaros siano decentrati rispetto all’idea comune di fumetto per bambini.
La farsa de L’orecchio spezzato è diventata ironia ne I Picaros, ma il punto è che la storia si mantiene lontana dal cinismo: se la prima metteva in ridicolo, la seconda ha una triste rassegnazione non consolatoria.

D’altra parte è chiaro che Tintin si mantiene al di fuori del campo del fumetto per adolescenti, che in quegli anni sul Journal di Tintin, diventato Hebdoptimiste, ha come esempi il Comanche di Herman e Greg (1969) o il Thorgal di Rosinski e Van Hamme (1977). La lunga gestazione delle ultime due opere è anche conseguenza di questo disorientamento ma, ribadiamo, limitarsi a catalogarle come errori senili smarrisce il loro valore, poiché è proprio attraverso le loro imperfezioni che possiamo esplorare il cuore stesso dell’intera saga e il suo rapporto con il mondo.

Nella loro prefazione, Jean-Marie Embs e Philippe Mellot demoliscono sistematicamente l’opera, tanto nel suo impianto generale quanto nei dettagli realizzativi, indicando la reiterazioni di schemi e comportamenti e la mancanza di sintonia con lo spirito del tempo – caratteristica che a nostro parere, magari per effetto della distanza, è un pregio. Infine è come sempre ricca di curiosità e materiale la sezione I segreti di una creazione, curata insieme a Philippe Goddin.

Riferimenti
Tintin e i Picaros: pagina dal sito di Tintin.
I murales della stazione di Stockel.

Abbiamo parlato di:
Tintin e i Picaros
Hergé
Traduzione di Giovanni Zucca
In allegato a La Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, Maggio 2017
29+62 pagine, cartonato, colori – 7,99 €
ISBN: 977203975726270023

1 Commento

1 Commento

  1. Fra X

    16 Dicembre 2017 a 17:17

    Interessante disamina di questa ultima storia completa di TT. Hergè cercava di tornare ad un racconto più avventuroso come nel caso del precedente senza però trascurare nuovi aspetti.

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