Quel giorno, come ogni giorno, Kevin Walker si trovava nel suo lussuoso ufficio ai piani alti di un grattacielo di Wall Street. Walker non poteva sapere che, proprio quel giorno, avrebbe ricevuto la visita del sinistro personaggio chiamato il Chirurgo, e che le ultime parole che avrebbe ascoltato sarebbero state:“Adesso scriverai un biglietto, poi ti dirigerai verso la finestra e salterai”.
Destinataria del biglietto, la giovane e bella Katya, moglie in seconde nozze. La vedova non si rassegna alla morte del marito e, con una fortissima determinazione e con l’aiuto di Philip, nato dal primo matrimonio di Walker, cerca di fare luce su un suicidio che ritiene (a ragione) inverosimile.
Gas a tavoletta
Non si può dire che The Names fatichi a decollare: solo nella prima tavola, in una manciata di vignette, vengono presentati un personaggio che avrà un ruolo centrale nonostante lasci subito la scena, l’antagonista principale, e i metodi che la misteriosa organizzazione de “I nomi” suole utilizzare.
Pagina dopo pagina il ritmo rimane sempre su buoni livelli, mescolando suspense, violenza e ironia per ottenere un solido intreccio, nel quale Milligan (Shade-The Changing Man, X-Forxce, X-Statix) riesce a spaziare molto efficacemente tra diversi registri narrativi. Dal revenge thriller al fantapolitico, passando per le atmosfere tipiche dei film di spionaggio, l’autore britannico si destreggia molto bene tra i vari generi, donando ulteriore sprint ad una scrittura già di per sé ben strutturata.
Uno sviluppo efficace
La caratterizzazione dei personaggi potrebbe suscitare una sensazione di già visto, ma nel complesso i protagonisti funzionano, si comportano coerentemente senza risultare piatti o eccessivamente stereotipati.
Da questo punto di vista risulta molto azzeccata la scrittura di Adam Stoker, personaggio al vertice dell’organizzazione segreta de I Nomi, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo del triangolo di relazioni con Guzman e con il Chirurgo. Da sottolineare inoltre l’ottima gestione, anche in chiave di alleggerimento della tensione, del rapporto tra Katya e il figliastro Philip, genio matematico alle prese con una particolare forma di autismo e con degli irrefrenabili (e peccaminosi) impulsi sessuali.
La citata risolutezza della protagonista, assieme alle capacità deduttive fuori dal comune di Philip, portano la storia a progredire con buon ritmo. Il rapporto tra i due protagonisti evolve in maniera convincente e rappresenta uno degli elementi costruiti con maggior attenzione alle sfumature dalla penna di Milligan, anche perché collocato a dovere in una trama fitta e ricca di carne al fuoco.
Finale amaro
Il finale è in effetti la parte più debole della storia: giunto il momento di tirare le somme, le sottotrame vengono risolte efficacemente, mentre la storyline principale paga una svolta un po’ troppo fantasiosa appena prima della risoluzione, che macchia uno svolgimento altrimenti credibile. Si tratta tutto sommato di uno scioglimento che, oltre al pregio di non essere scontato, rimane coerente con l’evoluzione del racconto, per questo chiudendo l’albo si rimane comunque appagati.
Nonostante ciò, si sente la mancanza di un guizzo decisivo nella chiusura, anche in ragione dei tempi dilatati nel raccontarla, in antitesi con lo stile asciutto e diretto dell’incipit ed in generale di tutto il resto del lavoro.
Uno stile cinematografico
Il tratto di Leandro Fernandez (Punisher: Max series, Spider-Man: Tangled Web), unitamente ai colori di Cris Peter, si sposa molto bene con i toni concitati del racconto, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle inquadrature.
Mentre l’impostazione della tavola si mantiene nei classici canoni del fumetto indie americano, spicca l’abilità di Fernandez nel costruire scene dalle interessanti prospettive e dai punti di ripresa ricercati. Ne traggono beneficio le tavole di ampio respiro, che ritraggono esterni o scene in campo totale, grazie anche alla buona realizzazione delle anatomie nelle concitate sequenze d’azione e ad una colorazione che, ben alternando le temperature di colore calde/fredde, sottolinea puntualmente i cambi di scena.
A questa ottima costruzione delle atmosfere fa da contraltare una cura dei dettagli non soddisfacente. La resa dei volti varia nel corso dell’opera, negli scambi tra i personaggi e nei primi e primissimi piani si ravvisa un’attenzione troppo altalenante al particolare: bene le espressioni e le pose, male la caratterizzazione dei volti non solo dei comprimari, ma anche di Philip, che sembra ogni volta avere un volto diverso.
La scelta di Fernandez di esasperare i tratti somatici dei villains, soprattutto di Surgeon, mantenendo più realistici quelli dei personaggi positivi, viaggia nella medesima direzione: paga dal punto di vista evocativo ma cede qualcosa in termini di realismo.
In poche parole
Se non fosse per i difetti evidenziati, saremmo a parlare di The Names con ben altri toni. Rimane nel complesso un ottimo thriller, che ha il pregio di portare a compimento una trama complicata e ricca, perfetta per gli amanti del genere.
Abbiamo parlato di:
The names
Peter Milligan, Leandro Fernandez, Cris Peter
Traduzione di Giulia Prodiguerra
RW Lion, 2016
200 pagine, brossurato, colori – 17,50€
ISBN: 9788869713552