Il secondo capitolo di Middlewest conferma le buone impressioni avute con l’apertura della saga con protagonista Abel: il mondo in cui si muove offre un paesaggio rurale che assomiglia al nostro del secolo scorso, ma arricchito da una magia tangibile in cui il sense of wonder investe il lettore.
La realizzazione artistica di Jorge Corona, coadiuvata dai colori di Jean-Francoise Beaulieu, offre al lettore uno spaccato di un mondo di mezzo, il Middlewest, fatto di creature straordinarie e paesaggi ricchi di dettagli.
Sono tre gli ambienti che dominano il racconto: le città che attraversa il padre di Abel, i paesaggi sospesi tra sogno e realtà che cavalca il protagonista e il circo, sua casa adottiva e che apre il racconto, là dove era rimasto in chiusura del primo volume.
Prima di mostrare le conseguenze degli eventi del sesto capitolo della saga, gli autori presentano il personaggio più atteso, quella madre lontana a cui Abel è legato sebbene sia stato abbandonato, e che annuncia incontri importanti per il ragazzo.
L’apparizione della donna è solo un accenno, una promessa, ma che racconta molto della sua scelta (forse una fuga?) e del destino del ragazzo.
Facile vedere in Abel le difficoltà di chi deve affrontare la sua personalissima linea d’ombra chiamata adolescenza, al punto che il racconto progettato da Skottie Young rientra a pieno titolo in quella porzione di biblioteche occupato dai romanzi di formazione. L’ombra di Abel non è solo un confine ideale come quello che spinge il protagonista del romanzo di Conrad a prendere il comando di una nave e portarla oltre l’orizzonte, ma è anche un aspetto del suo essere con cui è chiamato a fare i conti.
Nel flashback che apre il volume il protagonista viene mostrato in un momento della vita in cui era un bambino qualsiasi, dedito al gioco e capriccioso.
Quello che colpisce dello spaccato è che un atteggiamento infantile, di per sé naturale, trascenda e diventi un’esplosione violenta, una finestra su quella maledizione fatta di vento e tempesta da cui Abel prova costantemente a fuggire.
La devastazione, tangibile in persone ferite e oggetti distrutti, si dimostra ancora più lacerante per quel che riguarda i rapporti che il ragazzo stava instaurando con la famiglia circense, costringendolo ad una nuova fuga.
Nelle prime tavole la potenza della distruzione causata da Abel erompe in una serie di splash page fragorose alternate in gabbie che spostano l’attenzione dal ragazzo alle vittime di quella furia, in un continuo cambio di inquadrature che rendono efficacemente il senso del movimento e pericolo che la scena impone.
L’incarnazione mostruosa del protagonista ha espressioni lontane dalla furia rabbiosa di quella vista con suo padre nella parte precedente del racconto e lascia trasparire sofferenza, disperazione, paura più che rabbia, che si trova specchiata nelle persone che mette in pericolo. Abel non è suo padre, ma il ragazzo non lo sa ancora.
Anche i colori che accompagnano il racconto sono scelti con cura: il pantone usato da Beaulieu associa ai due protagonisti, Abel e suo padre, colori base, molto legati al loro stato emotivo fatto di estremi, mentre quando il contesto prevede l’incontro con personaggi già strutturati e più capaci di maneggiare le emozioni, anche i colori offrono maggiori sfumature.
Lo sviluppo del racconto consente a Corona di mostrare alcuni spaccati del Middlewest che sarebbe stato bello esplorare, ma che rimangono incipit di viaggi non raccontati.
La scelta di aver risolto in modo sbrigativo una parte del viaggio risulta essere un’occasione persa, giustificata solo in parte al voler trasmettere la fretta del protagonista di arrivare all’incontro cardine del suo percorso, un faccia a faccia e che cambia modo di percepire sé stesso e la sua maledizione.
Diversa invece l’attenzione con cui si inseriscono nella saga nuovi personaggi, studiati in modo da consentire di approfondire gli elementi iniziatici del viaggio del giovane: in questo senso, il ritmo narrativo e le interazioni continuano a essere una dei punti forti della storia.
Questa scelta giusta dei tempi narrativi si vede in occasione del capitolo che chiude il volume: proprio mentre il mondo di Abel va a rotoli, l’occhio dello sceneggiatore si sposta su suo padre, dedicandoli uno spazio che permette di osservarne sfumature prima nascoste.
L’uomo severo, ai limiti del crudele, mostrato nel primo capitolo, appare affetto da una fragilità simile a quella del figlio, una corrispondenza che rende ineluttabile il destino del ragazzo ma che cambia anche le ragioni della sua ricerca.
Il rapporto conflittuale di Abel con il padre, che è stato il motore che ha spinto il ragazzo a intraprendere il suo viaggio, si sposta da un piano personale – che potremmo sintetizzare con “mio padre è uno stronzo e non voglio avere a che fare con lui” – a uno generazionale, che vede il protagonista in lotta con il mondo intero per affermare sé stesso.
Skottie Young conferma l’attenzione alla costruzione del personaggio principale: è affascinante osservare la sua crescita e osservare come la fuga da suo padre e da una natura che non vuole accettare sia un viaggio alla ricerca di un posto nel mondo.
Creature magiche, rivelazioni e nuove sfide sono gli elementi che caratterizzano questa seconda parte della serie pubblicata da Image Comics in USA e che apre a un epilogo in cui i nodi verranno al pettine e in cui tutti i protagonisti dovranno fare i conti con le proprie scelte, gli errori e le promesse non mantenute, un’evoluzione che spinge verso l’attesa dell’epilogo di prossima pubblicazione
Abbiamo parlato di:
Middlewest vol #2
Skottie Young, Jorge Corona, Jean-Fraincois Beaulieu
Traduzione di Michele Foschini e Leonardo Favia
Bao Publishing, 2020
160 pagine, cartonato, colori – 18,00 €
ISBN: 9788832735147