Multiforme e multidisciplinare: intervista a Massimo Giacon – seconda parte

Multiforme e multidisciplinare: intervista a Massimo Giacon – seconda parte

Seconda parte della lunga intervista a Massimo Giacon. Leggi qui la prima parte: www.lospaziobianco.it/4383

<<< leggi la prima parte dell’intervista

AC – Massimo Giacon perché è diventato un autore di fumetti?
é una domanda a cui quasi tutti i fumettisti risponderanno alla stesso modo e cioé era quello che volevo fare fin da piccolo. Ho cominciato a leggere fumetti e ho cominciato a disegnarli quasi nello stesso momento. Per me è stato naturale avere l’obiettivo di diventare autore di fumetti. Tra l’altro avevo due o tre fisse da adolescente: volevo fare il clown, il pompiere, e il disegnatore di fumetti.

Massimo GiaconAC – Mi verrebbe da chiederti, visto le tue produzioni nel capo musicale, non il musicista?
No, quel desiderio è venuto dopo con la scoperta del punk. Prima si era sempre frustrati da quelli che suonavano meglio di te. Tra l’altro credo che il movimento punk abbia dato una spinta anche al mondo del fumetto.

AC – Quindi il tuo modo di essere fumettista, illustratore, designer, centra molto con quello spirito?
Certamente è stato il momento in cui si è potuto capire che si poteva fare.

AC – Come il famoso slogan dell’epoca “Do it yourself”.
Certo, anche se quello era uno slogan usato già dalle femministe negli anni settanta. Mi pare che su Sniffin’ Glue (celebre fantine punk nata nel 1976 in Inghilterra, contemporanea alla prima ondata punk rock, ndi), in uno dei primi numeri, furono pubblicati 3 accordi di chitarra, dicendo, questi sono gli accordi, adesso formate una band.

AC – Un bel salto a livello culturale.
Il fumetto underground americano c’era arrivato prima, perché Robert Crumb e tutti gli altri autori che pubblicavano sulle riviste pubblicate da lui non è che fossero dei grandi virtuosi del fumetto. Anzi, erano virtuosi, ma non nel modo accademico. Un po’ come successe con l’arte contemporanea in confronto a quella accademica.

GN – O il free jazz in confronto al jazz classico.
Il fumetto ci ha messo un po’ di più rispetto all’arte contemporanea. Siamo arrivati più tardi rispetto all’impressionismo, rispetto all’espressionismo, che per altro aveva codificato un’arte più emozionale e meno accademica già nel primo novecento. Il fumetto è arrivato un po’ tardi a smarcarsi dal classicismo, anche se tutto sommato il fumetto underground esisteva prima dell’underground inteso come movimento contro culturale, perché cos’é Krazy Kat se non un fumetto underground, tra l’altro anche pubblicato con successo? Oppure il Popeye dell’origini? Diciamo che forse nelle origini c’era molta più arte nel fare i fumetti che immediatamente dopo.

GN – C’é stato un processo di normalizzazione, quando la scoperta è venuta meno.
Anche perché agli inizi gli editori potevano permettersi di avere tutti quanti gli autori innovativi, dato che il mezzo era giovane. In fondo le più grandi innovazioni nella storia del cinema sono all’inizio. Insomma era tutto quanto un media da codificare.

AC – Torniamo ai tuoi inizi.
Sì, come dicevo ho sempre disegnato, ma le prime cose che ho tentato di pubblicare erano influenzate da Metal Hurlant, che incarno’ la prima vera rivoluzione del fumetto d’autore, anche perché il fumetto d’autore in Italia per quello che riguardava Linus fino agli anni settanta aveva pubblicato cose meravigliose, ma tutto sommato era molto legato alla striscia, nel solco della tradizione americana. Aveva fatto scoprire sicuramente ottimi autori e fumetti, ma guarda caso l’unico autore che si discostava da quelle cose era Crepax con Valentina, oltre a Pratt, che precedentemente era stato pubblicato sul Corriere dei Ragazzi. Esplose quindi ad un certo punto Metal Hurlant ed era la prima volta che vedevi il colore all’interno di Alter Linus e per un ragazzo degli anni settanta fu una scoperta rivoluzionaria, anche se poi Metal Hurlant è diventata quella cosa un po’ banalotta e superficiale di fumetto avventuroso-fantasy, che non aveva nulla a che fare con le premesse molto più ambiziose della rivista.
Insomma in quel momento io disegnavo con uno stile politic/fantasy/friccheton/underground.

GN – Ma all’underground quando ti sei accostato?
Già Metal Hurlant lo considero underground, ma all’underground americano ci sono arrivato poi perché in Italia è stato mediato soprattutto da Cannibale. Per esempio, a me Crumb, che avevo già visto su Linus, mi piaceva ma lo ritenevo un po’ leggerino, forse perché proprio su Linus non erano state pubblicate le sue storie più pesanti, quelle più pornografiche. E a ben vedere, è comprensibile, visto la redazione femminile e sessuofoba che Linus aveva negli anni settanta. A questo proposito mi viene in mente che c’é stato un periodo in cui si facevano fumetti contemporaneamente per Alter Alter e per Frigidaire. C’era la redazione femminile della Milano Libri che si premurava bene “mi raccomando Giacon, niente cazzi!”

AC – Avevi già all’epoca una bella reputazione…
Già, ci chiedevano sempre: “perché quando disegnavate su Frigidaire mettevamo sempre un sacco di cazzi in fila?” Ma perché di là non ce lo lasciavano fare e dovevamo liberarci! Tutto quello che non potevamo mettere su Alter lo mettevamo su Frigidaire, dopo potevamo fare tutto! (risate, ndi). E di più, perché magari certe sperimentazioni, anche linguistiche, su Frigidaire le potevamo fare tranquillamente, perché in quella rivista non ci poneva il problema che certe storie per il loro linguaggio, per la loro sperimentazione non venissero lette, o erano impossibili da leggere, perché Frigidaire, ai suoi inizi, veniva letto comunque, da tutti. È questa una delle ragioni per cui c’é stata tanta creatività in quella rivista, perché era la rivista che funzionava, il suo impianto funzionava. Frigidaire non veniva mai acquistata perché c’era la storia di quell’autore o piuttosto di quell’altro, perché fin dai primi numeri aveva sparato così forte con Scozzari, Ranxerox, Pazienza, così che ci fosse sempre una forte aspettativa. La gente era così preparata all’indicibile che anche quando veniva pubblicata una stronzata questa veniva letta e guardata con occhi diversi, perché chiunque pensava che se Frigidaire l’aveva pubblicata allora per forza doveva essere qualcosa di figo.

AC – Per i ricordi che ho io, mi sembra che Frigidaire, almeno agli inizi, non venisse comprata solo perché pubblicava fumetti.
No, anzi, perché c’era la musica, parlava di argomenti di cui nessuno parlava, o che magari si sarebbe discusso l’anno dopo, come l’AIDS di cui nessuno ancora se ne occupava.
C’era una bella competizione tra le riviste in quegli anni. Anzi il fatto che ci fossero degli autori interessanti contesi tra Alter Alter e Frigidaire fece sì che quella stagione fu piena di lavori interessanti, perché tra l’altro Frigidaire ti diceva “ti facciamo fare tutto quello che non puoi con Alter”, mentre da Alter ti sentivi dire “sì, pero’ noi ti paghiamo di più e ti permettiamo di fare delle storie con uno spessore intellettuale”. È una cosa che ha fatto crescere quegli autori, perché acquisivano un ventaglio di modi di raccontare diverso.
Un momento durato poco, come ogni avanguardia artistica.

AC – Di quella stagione, al di là degli autori, cosa è rimasto nel fumetto italiano?
Purtroppo molta nostalgia da parte di chi non ha vissuto quel momento. Qualche autore invece rinnega quei tempi. Anch’io a rileggere certe cose, anche mie, che uscivano negli anni ottanta, rimango sbigottito e mi chiedo se sul serio c’era gente che vendeva ‘sta roba. Da una parte per la presunzione insita di certe produzioni, che adesso a distanza di tempo trovo un tantino ridondanti, e dall’altra perché oggi sarebbe inimmaginabile un pubblico che leggesse determinato materiale.

AC – Alcune cose in effetti sembravano degli sperimentalismi un po’ vuoti.
Ma questo non lo puoi dire a priori. All’epoca non sembravano poi tanto vuoti perché era il contesto che permetteva certe storie. Oggi, lo puoi dire tu, che non vivi in quel periodo, in quel contesto storico.

GN – A livello di codice linguistico cos’é rimasto?
Sicuramente qualcosa è rimasto. Diciamo che dopo il 1984 abbiamo ricevuto un po’ di bastonate. Abbiamo ricevuto così tante critiche, anche ingiustificate, che dicevano che in quell’anno il fumetto italiano era stato affossato dagli autori di Valvoline. Secondo me non è vero, il fumetto italiano non mi sembra che poi abbia fatto così male. Quello che mi dispiace è che da una parte oggi puoi fare un minimo di sperimentazione con i libri. Pero’ la sperimentazione seria, che potevi fare all’epoca, oggi non è più possibile, perché mancano le riviste. La sperimentazione che puoi fare con un libro è a rilasciamento lento, perché il libro ci metti molto tempo a produrlo, lo presenti, poi sta per molto tempo in fumetteria e quindi è chiaro che non puoi raccontare certe cose. La rivista invece ti permetteva di stare sull’immediato. È anche una delle ragioni per cui c’é tanta gente che dice che non c’é più in giro uno come Andrea Pazienza.

AC – E infatti, dove si farebbe le ossa oggi?

Non solo, ma oggi non puoi più raccontare come faceva Pazienza perché non hai più una rivista di supporto che ti permetteva di avere un rapporto con i lettori di quel tipo.

GN – Ma perché le riviste sono morte? Forse perché non c’era più questa esigenza da parte del lettore?
Perché una fetta di lettori che facevano parte, diciamo, dell’antagonismo, dell’ex movimento, di quelli che seguivano la musica di un certo tipo, si è frammentato in un sacco di diverse esperienze. Un pubblico fortemente generazionale che poi è diventato adulto, e si sa che gli adulti non leggono fumetti (almeno all’epoca, ndi).

GN – Ma perché non c’é stato un rinnovamento generazionale tra i lettori, secondo te?
Prima di tutto perché c’é stato un momento di vuoto in cui non usciva nessuna rivista. C’é stata Dolce Vita che pero’ non è stata in grado di traghettare il pubblico di Frigidaire o Alter. Aveva dei materiali meravigliosi ma veniva vista come un momento di eccessivo intellettualismo slegato da un pubblico reale.

AC – Aggiungo che dopo i fasti di Frigidaire e Alter Alter sono rimaste riviste che non avevano un’anima, dei semplici contenitori, a volte di ottimi fumetti.
Certo, e poi ci sono dei personaggi che magari non sono delle star, ma che sono dei catalizzatori di idee e che riescono a portarle avanti. La morte di Stefano Tamburini (il padre di RankXerox, ndi) è stata un grosso lutto per questo, perché chi sa cosa avrebbe potuto inventare se non fosse morto in quel modo. Secondo me lui avrebbe colto molto prima degli altri tutte quante le possibilità della rete, dell’elettronica. Ci avrebbe lavorato molto prima degli altri. Quando io ho intuito che le cose potevano andare in quella direzione e ho cominciato a provare ad offrire agli editori dei progetti che potevano essere fatti in contemporanea con la rete, tutti quanti pensavano che parlassi di fantascienza.
Io sono una persona inquieta e non mi è mai piaciuto lavorare solo sul fumetto. Se mi fossi impegnato solo su quello a questo punto della mia vita potevo essere un editore, avrei potuto lavorare sul cartaceo e sull’elettronica, o avrei potuto fare altre cose diverse. Invece ho preferito fare anche designer, arte e musica e alla fine non ho fatto niente di rilevante in nessuna delle discipline. (risate, ndi)

GN – Abbiamo perso un po’ il filo del discorso: stavamo parlando di cos’é rimasto di quella stagione di inizi ottanta.
Non so se questo progetto di David Vecchiato per XL di Repubblica, IUK, sia un prodromo di quello che è stato, perché in effetti è fatto da persone abbastanza scafate, che non vivono il mito degli annì80 in maniera acritica (Vecchiato, Alessandro Staffa).
Non so che cosa potrebbe diventare. È difficile che al giorno d’oggi diventi una cosa dirompente. Ma nel frattempo IUK si è legato a una Galleria – Art Shop curata da Vecchiato (MondoPop), per cui di fatto ha già travalicato il confine della carta stampata, poi si vedrà se le dinamiche continueranno a produrre nuove iniziative interessanti, oppure niente , oppure sarà un’occasione sprecata che tra dieci anni lascerà tanta nostalgia canaglia.
Se c’é una cosa che il passato ha lasciato, beh a me ha lasciato la prevedibilità di certe dinamiche, di sapere come vanno le cose in anticipo, perché ho notato che queste cose si ripetono ciclicamente. Ci sarà un gruppo di autori e di lettori che diranno: “perché su IUK questi autori sì e altri no? Gli autori di IUK di Repubblica sono fighetti di sinistra, invece i veri duri e puri fanno queste altre riviste veramente underground. Io sono più underground di te, io sono più a sinistra di te!!”. Poi alla fine siamo tutti là che ci si scontra per un piatto di ceci. Non è che stiamo parlando di riviste con milioni di lettori.
Io come autore mi sono ritagliato il mio angolino all’interno di XL e finché dura mi va bene, ma non ritengo che sia né la cosa migliore che ho fatto né quella più intelligente, né quella più all’avanguardia che si possa fare oggi.
Massimo GiaconIl libro che sto facendo con Tiziano Scarpa per Mondatori invece è un’altra cosa, pero’ mi piacerebbe che effettivamente ci fosse una rivista… anche se non esiste una rivista ideale, io ho rispetto per il lavoro di David e per quello di Alessandro Staffa, ma non è la mia rivista né il mio sito, (io non li farei così, ma nemmeno loro se non ci fossero le interferenze di Repubblica), pero’ ritengo che nel momento in cui mi chiedono di dare il mio contributo questo non debba essere di serie B. Cerco di fare il massimo che posso per quel tipo di progetto.
È una questione di onestà. Non sono per tirar via i lavori che faccio. Tutto sommato a me già diverte che il mio personaggio e le situazioni proposte all’interno di questa rivista siano un po’ una specie di Mad anni 2000. In fondo il meccanismo è un po’ quello: prendere dei personaggi famosi e metterli assieme a dei personaggi inventati e farne delle parodie, parlando della nostra contemporaneità senza la pretesa di essere dei giornalisti. Da questo punto di vista la comicità nel fumetto contemporaneo un po’ manca. Ci sono molti autori di comics che fanno il fumetto comico, ma ci sono pochi autori con la A maiuscola che affrontano il problema della comicità.

separatorearticoloAC – A quasi un anno di distanza dalla presentazione di Napoli come valuti l’esperienza di IUK?
Iuk è un’esperienza che stranamente va vista “live”, nel senso che acquista una sua dimensione quando gli autori presenti su XL si trovano a condividere gli stessi spazi in un progetto all’interno di una manifestazione pubblica. Lì questo “progetto non progetto” diventa qualcosa di concreto, e ricorda, come ha scritto un lettore di XL “quando gli autori di fumetti si divertivano a fare i fumetti”.
Non so cosa succederà nel futuro, al momento non mi disturba che un certo tipo di fumetto abbia trovato la possibilità di emergere e acquistare coesione e maggiore sicurezza ( il lavoro dei “Superamici”, Ratighier, Tuono Pettinato, Maicol e Mirco, Dottor Pira).
La cosa all’esterno può sembrare precaria, e di fatto lo è: nessuno di noi si fa illusioni e sappiamo che quando XL deciderà che i fumetti portano via solo pagine alla pubblicità ci scaricherà senza tante storie. Al momento ci godiamo la casa occupata, proponendo anche idee interessanti e diverse dal solito contesto fumettistico, come i pupazzi di IUK, o un’istallazione-mostra durante il Salone del Mobile di Milano.
La cosa che mi piace è che io, I SuperAmici, Vecchiato, Alepop, siamo coinvolti in maniera paritaria, ognuno di noi può portare una proposta che, se fattibile, viene difesa dal direttore editoriale Luca Valtorta nei confronti della proprietà.
Poi nel futuro litigheremo a morte e ci sputeremo in faccia per anni, ma per il momento la barca va.

GN – Avevo scritto in articolo per LSB un po’ di tempo fa nel quale affermavo che ci sono pochi autori che cercano di differenziare il loro lavoro. Ci sono sempre più degli specialisti che fanno, anche bene, solo fumetto popolare o fumetto d’autore fatto in un certo tipo. È una specializzazione dal mio punto di vista controproducente, forse anche figlia della mancanza di riviste dove poter sperimentare e cercare strumenti diversi.
Negli anni ottanta potevi fare la tua serie con il gruppo Valvoline, poi c’era il numero dedicato ai videoclip e allora dovevi fare una storia che prendeva per protagonisti Kid Creole & the Coconuts, e poi ti capitava che Frigidaire ti chiedesse una storia divertente al volo. Adesso siamo relegati al limite a fare la storia porno per Blue, che tra l’altro secondo me è una delle poche vere riviste rimaste.
A ripensare a quello che è rimasto dagli anni ottanta va anche bene che non sia rimasto nulla. D’altra parte la formula della rivista non esiste più neanche in America e nemmeno in Francia. Anche perché la rivista funzionava perché ogni mese potevi stare sull’attualità. Oggi sei in ogni momento sull’attualità, con internet per esempio, e quindi funzionano i libri perché sono un momento in cui tutti quanti questi stimoli che ci sono vorticati attorno per un mese li raduniamo e li mettiamo assieme in un’opera che duri, non una cosa che si consuma in una giornata.
È anche difficile che molte delle graphic novel che ci sono adesso restino nel tempo, perché alla fine non sono degli esperimenti secondo me riusciti. Penso che molte graphic novel tolgano qualcosa alla freschezza del fumetto e non siano ancora al livello della letteratura. Credo che un buon libro, scritto nella maniera tradizionale, magari anche di dieci, venti anni fa molto spesso sia molto più avanti di una graphic novel scritta e disegnata oggi.

GN – Mancano un po’anche i temi di cui parlare?
Come in un libro che può parlare di tutto, puoi fare dei giochi letterari, giochi linguistici, puoi scrivere di tutto, mentre la grafic novel sta trovando oggi un suo codice, per cui con essa non puoi parlare di tutto. C’é anche da dire che è l’editore a dire che una storia non la si fa perché non la leggerebbe nessuno.

GN – Mi viene in mente Davide Golia di Rosenzweig. Non ha una forma graphic novel nel senso che dici tu.
Ma lui già ci prova, poi è un gran disordinato di suo e quindi la cosa risulta illeggibile. La graphic novel per gli editori di oggi deve parlare di problemi personali, di un percorso individuale, legato da esperienze in cui l’autore e il protagonista coincidono, oppure parla di avvenimenti legati alla storia o all’attualità.

GN – Secondo te si confonde il contenitore dal contenuto? Graphic novel è una forma?
Infatti, sto parlando di come si sta codificando la graphic novel, quando in realtà non avrebbe nessun senso. Ici Même oggi non la pubblicherebbe nessuno, stando a questi codici, perché parla di uno che vive su un muretto e che è praticamente il padrone del muro che costeggia diverse proprietà. è un esempio di graphic novel che esce dai canoni che ho descritto. Voglio dire, a livello commerciale ci sono i grossi editori che stanno facendo questi distinguo. Sono interessati a pubblicare GN, ma ciò che vogliono pubblicare stanno all’interno di questi filoni, perché sostengono che quello che viene recepito dal lettore ha queste tematiche.
È la narrazione contemporanea ciò che funziona in TV, al cinema. Non a caso, non abbiamo la massa che si va a vedere i film di Lynch o di Cronenberg, e anche le serie televisive che sono strane e devianti in un primo momento scatenano l’attenzione e poi perdono pubblico. Per esempio, Lost, un successone, ma la terza serie in USA è andata malissimo. Un pubblico medio non regge quel genere di cose, come nel caso di Twin Peaks che venne fatta finire in maniera frettolosa perché dopo che il telespettatore aveva scoperto chi aveva ucciso Laura Palmer non era più interessato a vedere il resto, nonostante ci fossero fili narrativi sospesi.

GN – Il problema è quando queste imposizioni di forma condizionano poi il modo in cui vengono prodotti i fumetti. Adesso la GN si è costituita perché c’é un’esigenza narrativa e quindi i codici possiamo considerarli costituita a posteriori. Oggi si rischia il contrario: c’é un’esigenza di forma che impone un modo narrativo.
Ma questo non è un mio problema. Tra il mondo del fumetto e il modo dell’arte sono preso da due fuochi perché il mondo del fumetto mi dice “tu ti sei messo a fare design perché vuoi fare l’artista. Ci hai tradito! Che presuntuoso!” Il mondo dell’arte ti dice: “Guarda Giacon, ti venderei molto meglio se tu smettessi completamente di fare fumetti, perché ai nostri collezionisti non piace che tu faccia fumetti, perché loro non comprano un quadro di Giacon sapendo che per poche lire c’é tutto un pubblico che si compra un fumetto di Giacon”. C’é insomma l’idea dell’esclusiva. E io cosa gli dico? Che so che queste sono le regole del mondo dell’arte contemporanea pero’ il compito mio non è quello di seguirle. Il compito mio è quello di lavorare per sovvertirle. Se non lo facciamo noi chi lo fa? Ovviamente lo si fa pagando, perché vendo meno quadri, perché sono meno considerato come artista nel mondo artistico, perché nel mondo fumettistico sono considerato uno stronzo che fa arte. D’altra parte non pretendo di essere un autore di fumetti che vende un milione di copie né un artista che ha delle quotazione stratosferiche.

AC – Se è capibile il ragionamento che fanno i galleristi, che poi è di puro calcolo economico, è meno capibile l’atteggiamento del mondo del fumetto.
Oddio, io capisco poco anche quello dei galleristi e dei collezionisti perché non faccio milioni di esemplari delle mie opere, sono comunque rare. A maggior ragione io, pur facendo un sacco di altre cose, rispetto ad un artista tradizionale produco meno e quindi le mie opere sono più rare.

AC – Ma pensi che ci sia un po’ di invidia da parte del mondo del fumetto per questo tuo eclettismo?
Invidia sì. A volte si dice in giro che Giacon non puo’ capire le dinamiche del fumetto contemporaneo perché facendo anche altre cose…in realtà io penso proprio il contrario, che è il mondo del fumetto ad essere molto fermo. Infatti proprio uno degli ambienti più aperti è quello del design. Sempre aperto alla contaminazione, alla curiosità nel confronto di altre discipline. Mi sembrerebbe naturale invece che in ogni campo artistico si ricercasse la contaminazione.
Nel campo del fumetto c’é anche tanta ingenuità tra gli autori che a volte pensano di aver fatto delle figate innovative, quando invece la letteratura o l’arte contemporanea c’é già arrivata da dieci anni. C’é una cosa lo tiene un po’ bloccato, il fatto di essere un po’ autoreferenziale e di leggere soltanto fumetti. La stessa cosa pero’ si puo’ dire dell’arte contemporanea perché magari ci sono delle cose a fumetti più interessanti. Il rapporto fra arte e fumetto puo’ scatenare queste ambiguità e incomprensioni. Ci sono molti artisti che lavorano sulle iconografie del fumetto popolare e dell’animazione (I Simpson, South Park, ecc.), solo che quando vedi i prodotti ti chiedi perché hanno usato quelle cose, perché per esempio i Simpson saranno sempre più arte di quello che invece si vuole fare utilizzandoli. Si va qui al concetto di cosa è arte e cosa non lo è. Per me per esempio i Simpson sono arte perché se stabiliamo per arte tutto quello che definisce un periodo e influenza una nazione e una cultura sul piano estetico e linguistico, allora I Simpson sono molto più importanti di qualsiasi artista che mette la faccia di Homer all’interno dello spazio ristretto o del circolo ristretto dell’arte contemporanea. Walt Disney assieme a Andy Wharol sono i due più grandi esponenti dell’arte pop della metà del novecento, per quanto io non abbia mai amato Disney, ma questo va riconosciuto. Disney come precursore dell’artista che non disegna ma che ha una visione e coordina il lavoro di altri. Mica poco.
Una maniera di essere artista innovativa. Infatti certi personaggi trash della nostra contemporaneità queste cose le hanno capite da tempo. Uno come Sgarbi è difficile da definire come critico d’arte. Lui di fatto è un artista. E quello che non capisce la gente è che il suo lavoro è arte concettuale pura. Ha capito che se muore un artista gli dedicano trenta secondi di necrologio al telegiornale, mentre se muore lui per un mese c’é il blob su Sgarbi.

AC – Concludiamo questa intervista con una domanda obbligata. Hai partecipato alla prima 24hic e anche all’esperienza cumulativa di IUK all’interno della 24hic di Italia Wave. Vorrei la tua opinione in merito all’evoluzione di questa nostra iniziativa anche riguardo alla messa on line di tutte le storie pubblicate sul sito. In particolare io e te discutevamo a Firenze che in effetti abbiamo creato un mostro che in qualche modo o dobbiamo uccidere o far andare avanti con le proprie gambe. Al di là della provocazione, spiegaci meglio questa tua posizione.
Direi che con la 24hic siamo al punto che o si riesce a farla passare come specialità olimpionica o basta lì.
A aprte gli scherzi, direi che non mi sembra che ci sia aria di stanca, quanto si dovrebbe cercare di capire quale obiettivo si pone un esperimento del genere. Non credo si potranno pubblicare i libri di tutte le 24hic fino ad oggi realizzate, né andare avanti ad libitum.
La prima volta per me è stata magica, ma anche la seconda, quindi ho così potuto appurare che l’esperienza è sempre molto forte, e che il ripetersi non ne diminuisce l’intensità, anche perché cambia il contesto, cambiano i compagni di viaggio, ci sono molte variabili che la rendono un momento unico e irripetibile.
Il problema è pero’ un altro, ovvero: noi autori ci divertiamo e ci emozioniamo, ma i lettori? E il media fumetto, cosa ci guadagna a lungo andare da esperienze del genere? Trovare soluzione a queste domande secondo me potrebbe dare risposte sul futuro di questa manifestazione.

La produzione a fumetti di Massimo Giacon
1980- Inizia a disegnare fumetti con “Il Mago” Mondadori, attività che porterà avanti fino ad oggi, collaborando con le seguenti testate ed edizioni, Frigidaire, Tempi Supplementari, Frizzer (Ed. Primo Carnera), Linus, Alter Alter (ed. Milano Libri), Dolce Vita , Tic, Nova Express (ed. Granata Press), Cyborg (ed. Telemaco), Mondo Mongo (Phoenix ed.), Blue (Mare Nero ed.).
Ha pubblicato due raccolte di sue storie brevi a fumetti, che contengono lavori realizzati in team con Mimì Colucci (testi). Si tratta di Mecanostorie (primo Carnera ed. 1985), e di Rattletown (Granata Press 1995).
1993, Giugno – Il festival Internazionale della Bande Dessineé di Sierre (Svizzera) dedica una consistente sezione al suo lavoro fumettistico e pittorico.
1993, Luglio – Il museo Revoltella di Trieste dedica un’antologica sulla sua produzione a fumetti. Curatrice Maria Campitelli.
1995, personale antologica in occasione di Treviso Comics Autunno, per l’occasione viene pubblicato anche un portfolio con 10 stampe.
1997, personale antologica in occasione di Lucca Comics Autunno.
1998, personale antologica presso la galleria Babel di Atene.
1999-2008, inizia a disegnare varie storie erotiche brevi per il mensile Blue, Coniglio Editore, su testi di Mimì Colucci.
2003- comincia a collaborare con la Cononino Press, disegnando storie per la rivista Black e iniziando il progetto di un libro di ampio respiro, Boy Rocket, su testi di Mimì Colucci. Il libro uscirà nel 2008 per Black Velvet.
2005- Crea per la rivista per ragazzi Baribal il personaggio di Zom-Boy.
2006-2007- Crea per la rivista XL il personaggio di Bogie

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