Ridotto al nocciolo, il nuovo romanzo a fumetti di Tex, L’uomo dalle pistole d’oro – scritto da Pasquale Ruju, disegnato da r.m. Guéra e colorato da Giulia Brusco – è il racconto di una vendetta messa in atto dopo decenni contro una squadra di Texas Rangers e che Kit Carson riesce a tamponare con l’aiuto di Tex, prima che si compia del tutto. Ma, si scopre vignetta dopo vignetta, questo soggetto archetipico è costellato da una infinità di spunti narrativi la cui frustrazione costituisce peraltro il grande rammarico (quasi disappunto) lasciato da questa storia e indica che l’obiettivo primario dell’opera sia stato la valorizzazione del contributo di Guèra, ulteriormente impreziosito dalla colorazione della Brusco.
Il piacere dello sguardo
L’uomo dalle pistole d’oro è visivamente ammaliante: ricchezza di dettagli, cromatismi che scandiscono le scene e ne creano l’atmosfera, scene d’azione di cadenza perfetta, espressività e caratterizzazione dei personaggi. Quello che affascina, tuttavia, non è tanto la perizia tecnica di Guéra e della Brusco in sé, quanto la funzionalità narrativa di ogni elemento: gli ambienti prendono vita e i personaggi portano con sé le sofferenze di un’esistenza concreta, fatta di esperienze estreme e il villain Juan Gonzales ha una presenza scenica imponente e un profilo ricchissimo e fertile di racconti.
Quasi ogni immagine e quasi ogni dialogo aprono uno spiraglio su quelle vite: Ruju e Guéra ce li lasciano assaporare, ma il racconto non indugia e corre via alla scena successiva. E quando i ricordi aprono una finestra, di fatto gli autori ci mostrano nuovi spiragli che suscitano ulteriore desiderio di sapere. Che questo approccio sia un sacrificio alla soddisfazione dello sguardo ce lo suggerisce la gestione degli scontri: sono tre, occupano in totale 12 tavole su 46 (pp. 9-10, pp. 35-7 e pp. 43-9) e corrispondono a bruschi rallentamenti del tempo narrativo. Mentre altre sequenze nello stesso spazio comprimono un tempo diegetico di giorni, queste scene dilatano intervalli di minuti (Fig. 1).
Per apprezzare la maestria della loro composizione, si consideri la seconda (pp. 32-8, lo scontro vero e proprio occupa le tavole 35-7): si apre mostrando una carrellata con grida fuori campo, poi una vista della scena di tortura, un uomo appeso a testa in giù e il suo carnefice in campo medio; alcuni scambi di battute ci dicono le identità e la tempra dei personaggi, le inquadrature stringono e allargano; e poi irrompono Kit e Tex.
Ora, il fatto su cui vogliamo attirare l’attenzione è che “sentiamo” il loro arrivo prima ancora di vederli, proprio come se udissimo il rumore degli zoccoli dei cavalli lanciati al galoppo. Tecnicamente, l’effetto è raggiunto con estrema semplicità (pp. 34-5), collocando l’arrivo dei due pard all’inizio della pagina destra: l’occhio evidentemente lo scorge prima di porvi lo sguardo consapevole, già mentre scorre la pagina di sinistra e ben prima che sia annunciato, nell’ultima vignetta della medesima pagina, da un grosso “BANG”. La risultante è una grande fluidità, accompagnata da una vera e propria illusione sonora, generata dalla visione inconsapevole delle onomatopee.
Altra scena dalla costruzione magistrale è il flashback che contiene l’esecuzione di Gonzales e dei due fratelli (pp. 18-26): qui è il gioco di campi e controcampi che costruisce la tensione, sottolinea le scelte dei personaggi e chiarisce il contesto etico a cui tutta la vicenda è informata.
In più, Brusco avvolge queste memorie in una luce gialla lattiginosa che assorbe ogni altro colore, le stacca dal presente e le porta in una dimensione a sé stante, cupa e violenta (Fig. 2). Qui troviamo anche un dettaglio che ci consente di passare alla lamentazione del mancato sviluppo dei tanti spunti: è l’opposizione di Kit (matricola della squadra dei rangers) all’uccisione dei due fratelli minori, che viene messa in evidenza ma non ha sviluppo né conseguenza alcuna nel seguito.
Il sacrificio o il seme di un’epopea?
Inappuntabile in ogni dettaglio, L’uomo dalle pistole d’oro è paradossalmente deludente perché sembra sacrificare un mondo di storie. Si pensi alle pistole d’oro del titolo: Kit racconta in tre balloon che Gonzales le aveva ricevute da un ufficiale statunitense, che sperava così di aver salva la vita (p. 20). Ebbene: questo è il seme di una storia che meriterebbe un albo a sé, ma viene porta al lettore e abbandonata. Abbiamo volutamente preso l’esempio più estremo, forse improbabile, ma, se vogliamo qualcosa di più ordinario, possiamo pensare alle vite dei componenti della squadra di Rangers che Gonzales cerca per vendicarsi: dalle poche istantanee che gli autori ci propongono, anche ognuna di esse avrebbe meritato una storia, perché ognuna appare diversa e ben particolare: chi è diventato proprietario di mandrie, chi ha messo su famiglia.
Si pensi alla durezza di Sean, che, legato a testa in giù con i so torturatore che gli tiene una lama incandescente davanti, ribadisce la scelta fatta tanti anni prima; o a Gary, su una sedia a rotelle, con moglie e figlia piccola e proprietario di un negozio di posta: come sono arrivati lì? Che cosa sono diventati come persone? Ecco i semi di un’epopea del West che ci troviamo a rimpiangere a lettura conclusa. Tutto troppo veloce, tutto troppo sacrificato: il paradosso è che questa frustrazione nasce da un’evidente sensibilità nella resa dei personaggi da parte di Ruju, tale che pochi tratti riescono a suggerire intere vite.
Forse si tratterebbe di un’epopea poco texiana: e a questo punto viene spontaneo collegare direttamente il romanzo di Ruju a quello precedente di Chuck Dixon, come due racconti che si muovono sui limiti del mondo texiano, secondo una linea di sviluppo concettualmente diversa da quella boselliana. Mentre Boselli parte dalla figura dell’eroe protagonista, ne riempie i vuoti biografici e ne attualizza il mito, Ruju e Dixon muovono dall’ambientazione come teatro di vicende, quindi valorizzando e attualizzando i luoghi narrativi del genere western. Se in quello di Dixon il segnale era l’anonimità di Tex, qui è il suo ruolo secondario rispetto a Kit Carson, che vediamo – chiudiamo con questa piccola nota di costume – nel suo splendore, con un volto da playboy illuminato da occhi dal taglio lungo e lo sguardo levantino, di cui non si fatica a immaginare il successo presso le signore. È lui che conduce la storia, è lui che tiene i fili del racconto, li collega e li rende intelliggibili al lettore. È lui il protagonista.
Sia il lavoro di Dixon sia quello di Ruju, quindi, sono non strettamente texiani, come provato dal fatto che non serve conoscere la storia del ranger per gustarli.
Nei romanzi a fumetti di Tex troviamo quindi due approcci diversi: compatto e monoautoriale quello boselliano, esplorativo l’altro, che appare potenzialmente seminale di future narrazioni autonome, non necessariamente basate su Tex.
Fra queste due visioni, la collana offre poi lo spazio per altre prove, si pensi a Sfida nel Montana di Manfredi e di Vita, ma anche al Deserto dipinto di Boselli e Stano, che si cimentano con le sfide del formato, giocando con la costruzione del racconto e i suoi ritmi.
Abbiamo parlato di:
L’uomo dalle pistole d’oro (Tex Stella d’Oro #29)
Pasquale Ruju, r.m. Guéra, Giulia Brusco
Sergio Bonelli Editore, marzo 2019
46 pagine cartonato, colori – 8,90 €
ISSN: 977182509900590029