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L’Odissea: la ricerca di un posto nel cosmo per Ulisse

Prima tappa del percorso di avvicinamento all’uscita dell’Odissea di Christopher Nolan con una serie di articoli sugli adattamenti a fumetti del poema.
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L’Odissea – assieme all’Iliade uno dei due grandi poemi epici attribuiti a Omero – potrebbe essere definita attualmente un trending topic, vista l’attesa per il misterioso adattamento cinematografico a opera di Christopher Nolan che arriverà nelle sale nel 2026 e che al momento è stato anticipato soltanto da un breve trailer, diffuso nei cinema prima della proiezione della nuova puntata della saga di Jurassic Park.
Il fumetto ha più volte avuto a che fare con le gesta di Ulisse/Odisseo, adattando il poema omerico per vari tipi di lettori – dagli adulti ai bambini – o traendone ispirazione per opere che, distaccandosi dall’originale per ambientazione e vicende, ne incorporavano comunque lo spirito e gli spunti narrativi.

Iniziamo con questo approfondimento un percorso di avvicinamento all’uscita della pellicola di Nolan, con protagonisti Matt Damon (Ulisse) e Tom Holland (Telemaco), che si svolgerà attraverso l’analisi di varie opere a fumetti che hanno adattato il poema o ne hanno tratto spunto per nuove narrazioni.
Partiamo con una serie francese che adatta a fumetti il poema omerico, arricchendolo con un’analisi filosofica del protagonista Odisseo.

“La vita del mare segna false rotte
Ingannevole in mare ogni tracciato
Solo leggende perse nella notte
Perenne di chi un giorno mi ha cantato
Donandomi però un’eterna vita
Racchiusa in versi, in ritmi, in una rima
Dandomi ancora la gioia infinita
Di entrare in porti sconosciuti prima”
(Francesco Guccini, Odisseo)

Un filosofo contemporaneo che porta Omero nel fumetto

Edizioni Star Comics, nella sua collana Astra, raccoglie in un’elegante e corposa versione cartonata una serie francese originariamente uscita in quattro tomi che adatta l’Odissea sotto la cura di Luc Ferry, filosofo ed ex Ministro della Gioventù, dell’Istruzione Nazionale e della Ricerca della Repubblica Francese.
Proprio il taglio filosofico dell’appendice testuale di approfondimento che chiude ciascuno dei quattro capitoli è il valore aggiunto di questo adattamento. Se il racconto a fumetti, sceneggiato da Clotilde Bruneau per i disegni di Giovanni Lorusso nella prima parte e da Giuseppe Baiguera per le restanti tre con i colori di Scarlett Smulkowsky, si concentra in maniera abbastanza classica e anche scontata sulla narrazione delle vicende di Odisseo nei dieci anni impiegati per tornare a Itaca, gli scritti di Ferry inquadrano quegli stessi avventurosi fatti da un punto di vista filosofico, approfondendo la figura di Ulisse e il suo destino alla luce dei dettami e del pensiero propri della filosofia greca e di correnti filosofiche successive.

L’Odissea è suddivisa in 24 libri e soltanto all’inizio del quinto facciamo la conoscenza del suo protagonista Ulisse, da sette anni prigioniero sull’isola della ninfa Calipso. I quattro capitoli iniziali formano la cosiddetta Telemachia e sono incentrati sulla figura di Telemaco, figlio di Ulisse, che ormai ventenne decide di partire da Itaca per scoprire quale sia stato il destino del padre a oramai dieci anni dalla fine della guerra di Troia.
Questi libri, affascinanti tanto quanto i restanti venti per ricchezza di intreccio e personaggi, spesso nei vari adattamenti del poema vengono omessi o ignorati.
L’Odissea di Ferry segue la stessa impostazione e il primo volume si apre al momento della partenza di Ulisse e dei suoi compagni dalle coste di Troia, subito dopo la caduta della città e la sua distruzione dovuta proprio all’astuzia del sovrano di Itaca.

Il segno di Lorusso e di Baiguera è naturalistico, improntato a un canone classico di perfezione estetica dei corpi di tutti i personaggi in campo – tanto i protagonisti e comprimari mortali quanto le creature mitologiche e le divinità – che se è vero che si lega propriamente a una effettiva idea di bellezza che permeava la cultura greca, dall’altro non si sforza di aggiungere molto a una rappresentazione standardizzata del mito, che spesso viene offerta negli adattamenti.
Lo stile di Lorusso è molto definito e preciso, quasi americano nella rappresentazione dei personaggi come supereroi, mentre Baiguera sporca un po’ di più il proprio tratto, mantenendosi su canoni estetici standardizzati, ma allo stesso tempo mostrandoci un Ulisse meno perfetto anche in elementi quali barba e capigliatura.
Entrambi i disegnatori sono dotati di un efficace storytelling e, partendo dalla classica struttura della bedé a quattro strisce, danno luogo a variazioni e a montaggi di vignette dinamici e di effetto.
La colorazione di Smulkowsky fa uso di toni brillanti applicati a una tavolozza cromatica che persegue il realismo e si adatta ad ambienti e situazioni.

La sceneggiatura di Bruneau si basa su dialoghi immediati e lontani dal didascalismo, che si appoggiano sul disegno per mostrare che cosa non è descritto e rendono la lettura dei vari capitoli molto scorrevole, avendo evidentemente la chiarezza e semplicità narrative come obiettivi primari.
Questo aspetto, associato a una messa in scena tanto testuale quanto grafica che rifugge la violenza e la sessualità estreme, evitando la visione di amplessi, nudi integrali e scene di battaglia truculente, fa dedurre che l’opera sia indirizzata a un pubblico molto ampio, dai più giovani fino ai lettori adulti. È evidente l’edulcorazione della fonte originaria, visto che nel poema omerico tanto la descrizione della violenza quanto la presenza del sesso sono elementi del tutto naturali e profondamente legati alla narrazione degli eventi.

Il viaggio filosofico di Odisseo

Dove la lettura si fa più complessa, ma anche più affascinante, è nella parte saggistica di Luc Ferry, strutturata come un viaggio in quattro tappe in cui viene ripercorso e analizzato il viaggio “fisico” di Ulisse raccontato nel poema specchiandolo in un viaggio “filosofico” che porta “dalla via errata alla via virtuosa”.
La premessa del curatore è che le avventure di Odisseo sono abbastanza divertenti da poter essere apprezzate anche senza comprenderne il significato filosofico e questa funzione possiamo affermare che l’assolvono le parti a fumetti del volume, la cui lettura può tranquillamente fermarsi al livello basico dell’avventura di un uomo avverso alle divinità che cerca di tornare a casa dopo una lunghissima guerra.
Tuttavia, secondo Ferry, se inquadrata all’interno di una spiritualità laica e non religiosa, la storia del ritorno a Itaca di Ulisse è il primo esempio nel pensiero occidentale di un comportamento filosofico che si contrappone ai dettami delle cosiddette religioni tradizionali e che proprio nella filosofia greca trova storicamente il suo atto fondativo e il suo sviluppo.
Secondo il pensiero filosofico greco, per i mortali – come Ulisse – una vita per essere virtuosa deve essere in armonia con l’ordine dell’universo, il “cosmo” come lo chiamano i Greci e di questo modo di vivere il re di Itaca è l’archetipo.

Per Ferry Ulisse deve passare dalla guerra alla pace, da Eris (la discordia) a Eros (l’amore) e tutto il suo viaggio è mirato a questo obiettivo, passare dal caos al cosmo, dal disordine all’armonia.
Ovviamente il percorso che l’eroe (e dunque l’essere umano) deve intraprendere non è lineare e semplice, bensì doloroso e pieno di insidie, ma se si riesce a percorrerlo si centra l’obiettivo che è di accettare la condizione di mortalità che è propria della natura umana.
Ulisse deve tornare a casa, dalla sua famiglia, perché ciò rappresenta il suo posto nel cosmo: senza casa, senza famiglia, la sua vita è il caos e il rischio più grande è rappresentato dall’oblio che più di un personaggio promette e offre a Ulisse nel suo pellegrinaggio, fino a Calipso che arriva a offrire l’immortalità all’eroe pur di trattenerlo presso di sé.
E quell’immortalità è la stessa che viene promessa dalle religioni tradizionali, a cui Ulisse contrappone la volontà di perseguire una spiritualità laica che porti a una vita virtuosa che abbraccia consapevolmente la finitezza di un’esistenza mortale il cui scopo è quello di trovare il proprio posto nell’universo per vivere il tempo concesso in armonia con esso. Odisseo incarna dunque la nascita della saggezza filosofica, che invita a essere sé stessi e a non cercare di essere dei, imparando a confrontarsi con le proprie paure a cominciare dalla più grande, la paura della morte.

Un’esistenza saggia è anche quella che riesce a vivere il presente, il qui e ora, l’immanente che sa rifuggire la nostalgia del passato e le promesse (o le illusioni) del futuro; la vita delle persone innamorate, che assaporano la bellezza di ogni giorno, uno dopo l’altro. Anche in questo la vicenda di Ulisse è esemplificativa: egli passa dalla nostalgia per Itaca che lo attanaglia negli anni della guerra e dell’esilio all’amore per Itaca che lo fa lottare per ritornare alla sua terra e alla sua famiglia. Quando ci riesce, sconfiggendo i Proci e riappropriandosi della propria dimora e della propria famiglia, ritrova il suo posto nell’ordine cosmico. E poiché quest’ultimo è eterno, anche Ulisse (e ogni essere umano per estensione) è un frammento di eternità di cui la morte è solo un passaggio non più da temere.
E così la filosofia dà un senso all’esistenza mortale al pari delle religioni.

È importante evidenziare che l’analisi filosofica impostata da Ferry parte anche da premesse “moderne”, cioè da un canone filosofico costituito da elementi non coevi alla stesura del poema omerico.
L’approfondimento del filosofo francese mette insieme capisaldi del pensiero ellenico classico e correnti di pensiero successive e la lente d’ingrandimento da cui osserva e analizza l’Odissea è al contempo interessante ma anche passibile di una confutazione che non ne sminuisce il valore quanto piuttosto ne evidenzia alcune criticità, secondo uno spirito di discussione tipicamente “ellenico”.

Stanno diventando tutti teorici

Nonostante il titolo del paragrafo, preso in prestito da una dichiarazione dell’allenatore di calcio Massimiliano Allegri, possa apparire accusatorio o provocatorio, l’intento è solamente quello di spostare in modo giocoso l’analisi dell’Odissea su un piano meno filosofico e più concreto, “molto semplice”, sempre per dirla con il mister. Quindi non si tratta di contrapporsi per forza a Ferry, ma di affiancare visioni diverse, quelle di Maria Grazia Ciani e di Elisa Avezzù, prese rispettivamente dall’introduzione e dal commento dell’Odissea edita da Bur Rizzoli nel 2008, e quella di Lorenzo Braccesi in Sulle rotte di Ulisse (Editori Laterza, 2010).
Per non addentrarsi nella questione omerica, si precisa subito che si fa riferimento a Omero per semplificare il discorso. Si dovrebbe specificare ogni volta “Omero o chi per lui”, ma si sintetizza con “Omero”.

Quindi, anzitutto, parlare di religione tradizionale in senso ampio significa principalmente considerare i tre principali monoteismi, due dei quali, Cristianesimo e Islam, successivi tanto alla collocazione “immaginaria” dei fatti poetici quanto alla narrazione orale e successivamente scritta dei poemi omerici. L’Odissea, così come l’Iliade, si iscrive perfettamente in una religione, quella greca, che era all’epoca una via di mezzo tra una religione tradizionale e una sorta di sistema più filosofico. Era un mix certamente corrotto dalla superstizione, ma non dogmatico quanto i monoteismi. Pertanto, quando si va a trattare il tema dell’immortalità offerta da Calipso a Odisseo, bisogna tenere conto che per lui non sarebbe stato possibile diventare un dio (un immortale è un non-mortale: per i Greci i mortali sono gli uomini, gli immortali sono gli dei).
Sicuramente il mondo antico presenta eccezioni, si vedano Eracle in Grecia e Romolo/Quirino a Roma, ma si tratta, appunto, di eccezioni in cui, per giunta, il confine tra vita e post-vita, per non dire morte, è sempre sfumato.
La dea Calipso – dea minore neanche paragonabile a Zeus, il custode del Fato – potrebbe sottrarre Odisseo al suo destino di uomo e con ciò alla sua prima identità. Invece l’eroe la rifiuta perché non fa parte del suo carattere, per usare un termine attuale e non omerico, ma anche perché per un greco si tratterebbe di hybris. Da un lato, gli ideali di Odisseo “sono rigorosamente terreni e l’immortalità che Calipso gli offre non ha alcun fascino per lui” (Maria Grazia Ciani). Dall’altro, se anche avesse accettato, probabilmente non gli sarebbe stato concesso o sarebbe stato punito dal Fato, forza superiore persino ai Numi che spesso coincide con la giustizia: anche gli dei rinunciano alle loro passioni in nome di un ordine il cui ristabilimento può essere ritardato ma non disatteso.

Secondo elemento da considerare è proprio l’ordine. Ferry immagina un percorso rettilineo che va dal caos all’ordine, ma quello raccontato nell’Odissea appare piuttosto un itinerario circolare che parte dall’ordine e all’ordine ritorna, passando per il caos, senza però un reale mutamento nel mezzo. Allora più che di una costruzione dell’identità si può parlare di una continua riaffermazione dell’identità, anche attraverso la necessità di nasconderla o di mentire.
Da Omero, Odisseo viene presentato come un uomo molto accorto e astuto (polymetis), molto paziente (polytlas), molto abile e mentitore (polymechanos). Poiché nell’Iliade le azioni dell’eroe sembrano far parte di un piano preordinato che riconduce tutto alla conquista di Troia, egli appare come colui che riannoda i fili strappati, che sorveglia e garantisce gli esiti, pronto al gesto decisivo nei momenti cruciali. Diversamente, nell’Odissea l’unico scopo è il viaggio, il ritorno a Itaca. Il mezzo è la metis (l’intelligenza attiva ed esecutrice) che si serve perfino degli inganni come strumenti di un’azione guidata da saggezza e che ha come fine ultimo la salvezza personale.
In altre parole, il poema è il racconto dei molti “errori” del protagonista, anche attraverso la dimensione dell’irrazionale e del fantastico, pertanto il viaggio, che ha una meta ben precisa, è come un lungo naufragio in cui l’unica terraferma è Itaca. Non è un’avventura desiderata ma un pauroso travaglio, “come ogni viaggio che introduca l’uomo antico negli spazi di un mondo ancora poco conosciuto, soprattutto quando lo mette in balia di un elemento estraneo e infido come il mare” (Maria Grazia Ciani).

Un’isola col mare che l’abbraccia, ti chiama un’altra isola di fronte…

A questo punto è d’aiuto il lavoro di Braccesi. Il docente universitario parte dal presupposto che la geografia dell’Odissea nella redazione giunta fino a noi “prescinde da qualsiasi concreto ancoraggio territoriale”. Ciononostante, nel libro, in cui cerca di ricostruire la geografia reale delle prime spedizioni dei Greci verso Asia Minore, Magna Grecia e Sicilia, punta l’attenzione su Odisseo e fa capire che il poema omerico racconta uno scenario in evoluzione, che cambia dall’Iliade al suo “sequel”. Nella prima il salto sociale è possibile principalmente attraverso la guerra, invece nel secondo tale balzo in avanti inizia a passare per il commercio, l’esplorazione, la fondazione di empori e colonie. Insomma: il viaggio.
Per Braccesi Odisseo è il modello di riferimento del navigante ellenico, poiché l’ha preceduto alla scoperta di rotte marittime sempre nuove.
Nella realtà l’ingegnosità dei Greci che prendevano il mare era temprata dalla quotidiana avventura transmarina che, figlia della fame, assicurava i mezzi di sussistenza. Come l’eroe, quegli uomini padroneggiavano l’arte di sopperire con la tecnica alla povertà dei doni della natura. Apoikoi ed emporoi, cioè coloni e mercanti, erano i protagonisti dei viaggi. I coloni si insediavano in terre lontane, dove ricreavano proiezioni della patria d’origine. Invece i mercanti, come Odisseo, erano esploratori le cui soste erano solo occasionali: al pari dell’eroe, in ogni porto avevano donne che si innamoravano di loro, ma per ognuno la meta perseguita era l’oikos, cioè la casa rallegrata dalla moglie e dai figli. Erano sempre protesi al ritorno, al nostos, che dopo un viaggio doveva essere faticosamente riconquistato.

Odisseo, che almeno inizialmente non viaggia per fame, ma per andare a combattere a Troia, compito a cui non può sottrarsi a causa di un ferreo codice d’onore da rispettare, riparte a guerra finita per tornare a casa, ma vive un nostos particolare, diverso sia da quello di un “comune” mercante sia da quello degli altri guerrieri achei. Per esempio, i fortunati ritorni di Menelao e Nestore “rappresentano il modello ideale: una inevitabile, necessaria peripezia, molte ricchezze accumulate nel fortunoso viaggio, il vuoto di potere colmato senza eccessivi traumi”. E proprio alcune parole di Menelao rimarcano che il viaggio è utile a raccogliere doni. “Questo scopo ridimensiona la temerarietà e anche il desiderio di conoscenza di Odisseo nell’unica avventura voluta e non subita, quella del Ciclope. Dietro ogni approdo si intravede la possibilità di un guadagno materiale con relazioni pacifiche o con la forza” (Elisa Avezzù).
Tutto molto concreto, dunque, non tanto filosofico, anche se per Avezzù “la figura del filosofo verrà spesso associata a quella dell’errante, ma per l’uomo antico raccontato da Omero il viaggio risulta una costrizione, è esistenza forzata che semmai rivela all’individuo quello che già gli appartiene: sopportazione, coraggio, resistenza”. Questo vale per Odisseo e in parte per Telemaco. Per quanto riguarda quest’ultimo il viaggio narrato nella Telemachia gli permette di tessere relazioni con i vecchi compagni del padre e con i loro figli, di conoscere il proprio genitore attraverso le storie di guerra e rappresenta una tappa della sua efebia (in termini pratici, il passaggio dall’adolescenza allo status di cittadino della polis), verso una nuova maturità interiore.

Dopo queste divagazioni, si torna al tema dell’ordine, che si collega a quello dell’identità. Per Ciani “il viaggio di Odisseo è contrario a ogni mutamento. Non voleva lasciare Itaca per andare a Troia, non nutre illusioni sulla vita del guerriero, la gloria non è l’apice dei suoi sogni. […] Ogni viaggio ha un punto di partenza e un punto di arrivo, ma per Odisseo le mete coincidono, l’itinerario è un cerchio, da Itaca a Itaca; Troia stessa non è che una lunga tappa intermedia. Odisseo torna a Odisseo, tanto più padrone della propria identità quanto più è costretto a nasconderla, ad annullarla”. I travestimenti e i racconti inventati “sono aspetti di altrettante metamorfosi, necessarie non solo alla sopravvivenza ma anche al mantenimento di un’identità costantemente minacciata”. Questi travestimenti e queste metamorfosi non sono mai duraturi e rispondono a un istinto di autoconservazione: le false identità rivelano sempre qualcosa del suo vero Io e, se si fa un collage dei diversi racconti, emerge il vero Odisseo.
Quando il figlio di Laerte torna a Itaca e si presenta al porcaro Eumeo sotto le mentite spoglie di un avventuriero cretese, gli narra una vita inventata e dice: “Non amavo invece il lavoro, né la casa dove crescono i figli, mi erano cari i remi e le navi, le guerre, le lance lucenti, le frecce: cose funeste che agli altri fanno paura. Ma a me erano care, forse un dio me le pose nel cuore. Ama cose diverse ogni uomo” (Odissea, XIV, v. 222 e seguenti).
Si tratta di una rappresentazione a contrario (locuzione latina, in italiano “al contrario, all’inverso, all’opposto”) pronunciata da chi ha accettato di affrontare ogni rischio pur di tornare in patria e ritrovare se stesso nella dimensione della propria casa; in termini rovesciati è l’affermazione di un ideale di vita e la riconferma di scelte salde e precise.
Dopo essere tornato, Odisseo deve rientrare nella sua reggia, sconfiggere i Pretendenti e riabbracciare Penelope. Trovatosi in una realtà diversa da quella lasciata vent’anni prima, dopo aver vinto il mare, deve restaurare l’ordine antico, reintegrandosi nel proprio ruolo di un tempo. In questo ventennio è rimasto “sostanzialmente identico a se stesso“, con la sua identità di uomo greco che “anche in epoca classica è costituita da un nome, da un patronimico e da una provenienza” (Elisa Avezzù).

Un ultimo sguardo sul viaggio e uno su un altro elemento preso in considerazione da Ferry. Per Ciani il viaggio odissiaco non è “un viaggio iniziatico, anche se lo schema su cui si basa ne riproduce comunque il modello, né un itinerario verso il Bene per la salvezza dell’anima, né un ripiegarsi in interiore homine per una più incisiva presa di coscienza”. La grecista esclude anche la connotazione di cammino spirituale, perché “non c’è ascesi nella peripezia di Odisseo e nulla nobilita i suoi cenci se non la ferma speranza di poterli scambiare alla fine con la porpora, riacquistando potere e regno. […] Se Odisseo si ripiega su se stesso, è solo per ritrovare intatto il suo mondo mai dimenticato, l’identità mai scalfita e incrinata dagli eventi”. Non si tratta neppure di nostalgia del passato, perché passato e presente coincidono; nelle mutazioni dalla durata limitata c’è la chiusura di un cerchio immutabile. A Ciani fa eco Avezzù quando scrive che quello di Odisseo non è un viaggio iniziatico ma la riflessione di chi tocca molti luoghi “da conquistare innanzitutto con la consapevolezza del Sé, nel continuo confronto di volta in volta con l’animale, con l’incivile, con chi attenta a prerogative pensate come date e immutabili”.

Infine, la morte. Nel poema omerico non trova spazio la paura della morte in sé. Poiché essa fa parte della vita umana, da temere è il modo in cui si muore: la modalità le fornisce un senso. Non per questo, però, è meno dolorosa, dal momento che nell’Odissea “non c’è morte che non sottragga all’uomo la sua identità”.
Quella che Tiresia profetizza al marito di Penelope nell’undicesimo canto (la profezia viene poi ripresa nel ventitreesimo) è una fine tranquilla, una volta compiuto un ultimo viaggio che ha lo scopo di dimenticare il mare, le navi e i remi in virtù di un approdo definitivo e senza rimpianti. Paradossalmente, però, le parole dell’indovino hanno innescato “una spirale senza fine nella leggenda occidentale di Odisseo”, complicando “i risvolti psicologici di un personaggio che Omero aveva concepito duttile solo all’apparenza. Nelle narrazioni successive all’Odissea il percorso di Odisseo da circolare diventa rettilineo, privo di riferimenti, senza Itaca” (Maria Grazia Ciani). Un itinerario, forse, seguito anche da Ferry.

Chiudiamo evidenziando due elementi del volume edito da Star Comics. Il primo è l’apparato iconografico che accompagna gli scritti di Ferry, che è la riproduzione di numerosi dipinti che, tra il XVIII e il XIX secolo si ispirarono all’Odissea. Essendo spesso appartenenti a collezioni private, poterli vedere riprodotti su pagina arricchisce il valore della pubblicazione.
Il secondo elemento sono le copertine firmate da Fred Vignaux nelle quali la componente epica di figure come Polifemo e Circe o l’iconicità di Penelope che tesse la tela e Odisseo che tende il proprio arco vengono suggellate da uno stile pittorico ed evocativo, che fa da parallelo alle opere dei pittori che in varie epoche passate si sono lasciati ispirare da Ulisse e dalla sua odissea.

Abbiamo parlato di:
L’Odissea
Luc Ferry, Clotilde Bruneau, Giovanni Lorusso, Giuseppe Baiguera, Scarlett Smulkowsky
Traduzione di Fiorenzo Delle Rupi (Arancia Studio)
Edizioni Star Comics, 2025
224 pagine, cartonato, colori – 34,90 €
ISBN: 9788822657121

David Padovani

David Padovani

Fiorentino, classe 1972, svolge la professione di architetto. Grazie a un nonno amante della fantascienza e dei fumetti, scopre la letteratura fantastica e il mondo degli albi Corno della seconda metà degli anni '70.
Tex e Topolino sono sempre stati presenti nella sua casa da che si ricordi, e nella seconda metà degli anni '80 arrivano Dylan Dog e Martin Mystere e la riscoperta del mondo dei supereroi USA.
Negli anni dell’università frequenta assiduamente le fumetterie, punti d’incontro di appassionati, che lo portano a creare assieme ad altri l’X-Men Fan Club e la sua fanzine ciclostilata, in un tempo in cui di web poco si parlava ancora.
Con l’avvento del digitale, continua a collezionare i suoi amati fumetti diminuendo la mole di volumi cartacei acquistati, con somma gioia della compagna, della figlia e della libreria di casa!

Federico Beghin

Federico Beghin

Padovano, Federico legge molto, cerca di sbarcare il lunario e ama il calcio. Scrive per le riviste "Lo Spazio Bianco" e "Quasi", parla per i podcast "hipsterisminerd" e "La Kame House" e per "LSB Live".
Insieme a Emanuele Vascon ha scritto l'antologia di racconti "In due" (Amazon).
Ha sceneggiato "Origini SegretiSSSime" per i disegni di Denis Gatto (In Your Face Comix). Insieme a Nicola Stradiotto ha realizzato “Una carcassa grottesca”, fumetto breve pubblicato in “Zazà Mag” #4, la cui versione estesa è presente in "Jackpot" (In Your Face Comix).
Ha scritto il saggio "Il Batman: sanguinario e spensierato" pubblicato da Oblò. Nel libro "Quaderni di Comicon: Edmond Baudoin" è presente con il saggio "Piero, Baudoin e i giovani lettori".
Suoi racconti si trovano nelle antologie "Francamente me ne infischio" vol. 1 (Re Artù Edizioni), "Otaku Stories" (Idrovolante Edizioni), "Albori Letterari".

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  1. Un articolo pieno di spunti interessantissimi (e suggerimenti di lettura per fumetti e saggistica) scritto in maniera impeccabile. Ottima iniziativa per giungere all’Odissea di Nolan. Complimenti. Aspetto i prossimi.

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