L’uscita, nel 2020, di The impending blindness of Billie Scott per l’inglese Avery Hill Publishing (e per Feltrinelli Comics nel 2022 col titolo Gli ultimi giorni di luce di Billie Scott) aveva messo la talentuosa Zoe Thorogood sotto i riflettori di critici ed esperti del fumetto, per la sua padronanza narrativa e uno stile molto dettagliato ed espressivo. Ma è nel 2023 che Zoe Thorogood ha fatto parlare tutti di sé: in Tutta sola al centro della terra, pubblicato per Image Comics nel 2022 (e nel 2024 da Bao Publishing) l’autrice affronta senza nascondersi la sua depressione, i suoi problemi relazionali e famigliari, usando uno stile multiforme e ricchissimo, una narrazione fatta di ellissi e ripartenza, scrivendo una storia brutale, divertente, difficile da dimenticare. Arrivano le nomination, arrivano nuovi lavori, e Thorogood si impone come una delle autrici più interessanti e intense del panorama anglosassone.
In occasione dell’uscita di Hack/Slash: Ritorno a Scuola, nuovo capitolo-prequel della fortunata serie indie creata da Tim Seeley e Stefano Caselli, che Thorogood realizza con grande gusto per il gore e la commedia splatter, abbiamo intervistato l’autrice per parlare del suo lavoro, delle sue ispirazioni e del suo potente graphic novel autobiografico.
Ciao, Zoe e grazie per il tuo tempo. Vorrei iniziare parlando del tuo percorso: quando hai deciso di dedicarti ai fumetti e all’illustrazione?
Penso sia successo all’università. Amavo disegnare fin dall’adolescenza (anche se non ero molto brava), ma solo verso i 17 anni ho capito che si poteva fare dell’arte una carriera. La mia insegnante del college, Claire, mi ha fatto scoprire il concept art. A quel tempo non sapevo nemmeno che fosse un lavoro vero. Amavo i videogiochi (più dei fumetti, a dire il vero), così ho deciso che volevo fare concept art per i videogiochi. L’ho fatto brevemente, ma mi sono resa conto che ciò che amavo davvero era il racconto, più che il design. Nell’ultimo anno di università ho cominciato a sviluppare proposte per fumetti, e sono stata fortunata: una di queste, The Impending Blindness of Billie Scott, è stata accettata.
Quali sono le tue principali influenze artistiche e narrative?
Direi soprattutto videogiochi e manga. Da adolescente ero molto ispirata da Sergi Brosa, Matt Rhodes e Takeshi Obata. Più recentemente, le mie influenze maggiori sono Tatsuki Fujimoto, Inio Asano e Tillie Walden.
Nonostante la tua giovane età, hai già firmato opere importanti, come The Impending Blindness of Billie Scott e Rain, scritta da David M. Booher e Joe Hill. In ognuna di queste, il tuo stile evolve visibilmente. Come hai lavorato sulla tua evoluzione negli anni?
Ultimamente mi sento un po’ esausta, quindi apprezzo il “giovane” nella domanda! Lo stile di Billie è nato con un obiettivo preciso: costringermi a lavorare in fretta. Il mio stile vero, all’epoca, era più simile a quello attuale, ma non sapevo ancora come renderlo più efficiente. Così ho scelto uno stile che mi imponesse rapidità. Fare fumetti richiede molto tempo e dovevo convincermi che sarei riuscita a finirlo. Se c’è una cosa che vorrei si capisse da questa intervista è che “meglio fatto che perfetto”. Migliorarsi è un processo senza fine e il perfezionismo è sterile e noioso.
Cosa hai imparato lavorando sia da sola che in collaborazione con altri sceneggiatori?
Che sono un po’ maniaca del controllo. Mi sono trovata bene con gli autori con cui ho collaborato, ma sento una vera soddisfazione solo quando lavoro a storie mie. Per me, il fumetto è una simbiosi tra scrittura e disegno, se faccio solo il 50%, non è la stessa cosa.
Tutta sola al centro della terra, la tua graphic novel più recente, ha colpito profondamente lettori e critica per la sincerità con cui affronta la depressione e la malattia mentale. Com’è stato lavorare a questa storia? Da dove nasce l’urgenza di raccontarla?
Dalla disperazione. Ero depressa e suicida, e invece di fare qualcosa di irreparabile ho creato un libro che raccoglie gran parte della mia vergogna e oscurità. Capisco perché qualcuno possa definirlo autoindulgente, ma per me è stato un atto di salvezza. Lavorarci è stato naturale, persino terapeutico. Un po’ come immagino ci si senta durante un esorcismo, in un certo senso.
Questo libro sembra svilupparsi per tentativi successivi: pause, ripartenze, nuovi inizi. E lo fa attingendo a varie forme espressive: non solo fumetto tradizionale, ma anche illustrazione, prosa, fotografia. Come hai affrontato questa complessità? Quanto tempo ci è voluto per arrivarci?
È sempre difficile rispondere a questa domanda, perché la verità è che “non lo so”. Ogni giorno mi alzavo e facevo una o due pagine. Semplicemente, seguivo ciò che mi sembrava giusto. L’unico pensiero era: “Come posso comunicare al meglio questa idea?” e partivo da lì.
Anche se il libro tratta temi molto difficili, mi ha colpito la sua capacità di cambiare tono e registro. Ci sono momenti drammatici, ma anche teneri e persino comici. Come hai lavorato su questo equilibrio, sia a livello narrativo che visivo?
La vita è fatta di contrasti. Le emozioni, gli eventi, le persone cambiano continuamente: è la condizione umana. Quindi anche in questo caso, è venuto tutto in modo naturale. Sono una persona e creo cose che riflettono cosa significa esserlo.
Nei fumetti, il testo ha un ruolo fondamentale, non solo nel contenuto ma anche nella forma visiva. Come hai lavorato su questo aspetto?
Per me il testo fa parte dell’arte. Non sono una grande letterista, ma sentivo il bisogno di occuparmene in prima persona affinché l’opera risultasse davvero “completa”. Ancora una volta, la domanda era “Che tipo di testo si abbina meglio a questo tipo di immagine?”. Per esempio, la Zoe chibi parla in Comic Sans minuscolo e questo già racconta qualcosa.
Uno degli elementi più forti del libro è la personificazione degli stati emotivi. Come sono nati questi personaggi? Come hai sviluppato la loro identità visiva?
La storia si svolge durante il periodo del Covid, quindi ero ancora più isolata del solito. Sapevo che non potevo semplicemente fare un lungo monologo, così ho diviso la mia personalità in cinque personaggi distinti, ognuno con un tratto dominante. Poi ho creato un design che li rispecchiasse. Il tizio calvo senza forma è un po’ un’anomalia, lo disegno da tutta la vita per esprimere pensieri e battute, ma è comunque “una delle Zoes”. Credo che uno psicologo si divertirebbe parecchio con tutto questo.
Qual è stata la scena o la pagina più difficile da realizzare e perché?
Probabilmente quella in cui parlo delle difficoltà di mia madre con la depressione e il suicidio. Disegnare i miei genitori da giovani mi ha rattristata. All’epoca sembravano più felici, la vita era meno complicata. Mi ha fatto capire che anche loro erano solo ragazzi che sono cresciuti.
Negli ultimi anni, si è parlato sempre più di salute mentale: come affrontarla e, soprattutto, come parlarne. Che ruolo pensi possano avere i fumetti in questo dialogo?
I fumetti sono spesso realizzati da una sola persona. Chi legge il mio libro entra direttamente nella mia testa. Penso che sia la forma più autentica di consapevolezza e comunicazione. Le discussioni migliori nascono da un’arte sincera.
Hai detto che il tuo lavoro ti aiuta a elaborare il dolore e le difficoltà mentali. Hai capito subito che il fumetto poteva essere “curativo”, o ci sono stati momenti in cui la depressione ti ha bloccata anche nel disegno?
L’arte è l’antidoto alla mia depressione. Tutto qui. Disegnare è come espellere una malattia: scorre dal cervello, giù per il braccio, dentro la penna e sulla carta. Non ho mai avuto difficoltà a esprimermi con l’arte, se ne avessi avute, Tutta sola non sarebbe mai nato.
Poco più di un mese fa è uscito in Italia Hack/Slash: Back to School. La serie ha un pubblico fedele e una lunga storia editoriale. Come hai affrontato i personaggi e il mondo narrativo? Conoscevi già Hack/Slash?
Hack/Slash è una serie divertente e l’ho affrontata proprio con questo spirito: come creare la storia più divertente e orribile possibile, mantenendola comunque mia? In realtà era il mio ragazzo il vero fan. Quando gli ho detto del progetto, ha tirato fuori delle scatole piene di numeri singoli di vent’anni fa, lì ho capito che dovevo farlo bene. Sapevo anche che doveva essere completamente diverso da It’s Lonely. Non volevo restare intrappolata nel ruolo della “ragazza dei fumetti tristi e autobiografici” (anche se li adoro).
Ho apprezzato molto il contrasto—grottesco e giocoso—tra la delicatezza dei personaggi e la violenza esplicita. Sembra che ti sia divertita a disegnarlo. Ti piace l’horror e il genere splatter?
Sono sempre stata fan dei videogiochi horror—Silent Hill 2 è uno dei miei media preferiti in assoluto. Ho un certo fascino per il macabro e l’orribile. È difficile parlarne senza sembrare un po’ folle, ma sì, mi piace disegnare intestini dove non dovrebbero essere. Detto ciò, non amo l’horror che è troppo realistico. Serve sempre un po’ di umorismo o assurdità per bilanciare la violenza estrema.
Hai lavorato non solo su Cassie ma anche sui suoi compagni, introducendo temi come l’identità, il senso di appartenenza e il trauma che ritroviamo anche nelle tue altre opere. Com’è stato affrontare questi temi all’interno di un franchise con un’identità già definita?
Back to School è un prequel, quindi ho avuto un po’ più di libertà. Sapevo che alla fine avrei dovuto “aggiustare” qualcosa per farlo combaciare, ma credo di esserci riuscita. Dopo vent’anni, forse la serie aveva bisogno di una nuova prospettiva e penso che l’iniezione di sincerità sia stata una ventata d’aria fresca. So che non a tutti è piaciuto, ma va bene così.
Ultima domanda: a cosa stai lavorando ora?
Sto lavorando a una storia fantasy intitolata It Took My Brother. Ho perso mio fratello per suicidio l’anno scorso e non affronterò mai quella perdita in un’autobiografia, almeno non per molto tempo. Ma ho comunque bisogno di elaborarla con l’arte ed è così che nasce It Took My Brother.
Intervista realizzata via mail ad aprile 2025
Si ringrazia l’ufficio stampa di Bao Publishing per la mediazione
Zoe Thorogood
Zoe Thorogood è una fumettista britannica il cui debutto è avvenuto nel 2020 con la graphic novel Gli ultimi giorni di Billie Scott (portato in Italia da Feltrinelli Comics). Successivamente, ha illustrato la serie creata da Joe Hill, Rain, pubblicata da Image Comics. Nel 2023 pubblica Tutta sola al centro della Terra, la sua seconda graphic novel, che la impone all’attenzione della critica internazionale con varie nomination a premi quali Eisner e Ignatz Award. Nel 2024 realizza una miniserie di Hack/Slash, oltre a scrivere Life Is Strange: Forget-Me-Not per Titan Comics.