Kraven The Hunter
La diffusione del primo trailer ufficiale di Kraven The Hunter, ha aperto le danze per la campagna promozionale che porterà la pellicole nelle sale all’inizio di ottobre.
Il film di JC Chandor, che vede l’iconico cacciatore Marvel interpretato da Aaron Taylor Johnson, è il quarto progetto dedicato al vasto portfolio di personaggi collegati all’arrampicamuri su cui la Sony sta cercando da qualche anno di costruire una sorta di mini-universo che, al momento, ha in comune solo una serie di film standalone con un quadro narrativo abbastanza confuso, in cui l’unico scopo prefissato è ormai quello di lanciare nuovi franchise con l’eterna promessa (ma non è detto che sia così, e finora non lo è stato) di una futura interazione tra questi personaggi o con lo stesso Spider-Man.
Il trailer di Kraven The Hunter rilancia e amplifica in generale i dubbi su questa operazione cinematografica avviata dalla Sony, e la scelta di fare uscire nelle sale una pellicola vietata ai minori appare come una mossa per attirare il pubblico (prevalentemente quello maschile) e cercare al tempo stesso di mascherare le varie criticità che già il trailer fa in qualche modo intravedere .
Come avevamo sottolineato qualche tempo fa, l’adattamento dell’iconico cacciatore in assenza dell’arrampicamuri ha costretto gli sceneggiatori a concentrarsi su altre direzioni narrative, accentuando la questione del retaggio familiare per quello che avevamo descritto come una saga familiare in Stile Dynasty, condito con violenza e abilità superumane.
Da questo punto di vista la Sony ha cercato, e trovato, la strada più facile. Invece che costruire una origine delle abilità di Kravinoff attraverso il viaggio di un uomo per diventare il più grande cacciatore del mondo, e quindi con la ricerca e la scoperta di una pozione (come narrato negli albi a fumetti) capace di donargli agilità e forza, gli sceneggiatori hanno optato per qualcosa di più semplice e immediato come il contatto con del sangue animale. È questo elemento che evidenzia come la major, e la sua dirigenza, stiano ormai spremendo questi progetti senza alcuna volontà di costruirvi attorno qualcosa di più ricercato e complesso dal punto di vista narrativo, cosa questa che non fa altro che aumentare una certa stanchezza verso adattamenti di questo tipo, sempre più concentrati sulla velocità produttiva e molto meno sulla qualità.
È troppo presto per dire se la pellicola sarà o meno un successo al box office, ma è lecito sottolineare che, in un anno non spettacolare per i film tratti dai fumetti dal punto di vista dell’accoglienza e degli incassi (a parte Guardiani della Galassia Vol. 3 e Spider-Man: Across The Spider-Verse), la Sony dovrebbe perlomeno essere conscia che se c’è una cosa che porta a una risposta positiva da parte del pubblico, questa è una pellicola che abbia al suo interno una freschezza di idee e quindi qualcosa di nuovo da regalare in quanto a intrattenimento. E, soprattutto, che non abbia quel pesante elemento di già visto che faccia dire a uno spettatore, uscito dalla sala: “È sempre lo stesso film su un fumetto”.
Elemental e la crisi della Pixar
Lo scorso anno, all’incirca in questo stesso periodo, parlavamo dell’esordio non esaltante di Lightyear al botteghino USA, successivamente tramutatosi in uno dei maggiori flop della scorsa stagione. Ora, a dodici mesi di distanza, il pessimo debutto di Elemental conferma quello che è il momento peggiore per l’etichetta Pixar che pare vivere una forte crisi che riguarda in primis non solo la narrazione, ma anche l’appeal nei confronti del pubblico, il quale pare guardare ai prodotti di animazione della major targata Disney con sempre meno coinvolgimento. Come un anno fa, gli analisti ritengono che questa crisi sia direttamente collegata alla scelta, effettuata durante la pandemia, di fare uscire i film Pixar direttamente in streaming, con l’effetto non voluto di abituare il pubblico delle famiglie ad aspettarsi un determinato film nella propria casa, piuttosto che andare al cinema.
Questo fattore è stato evidenziato nei giorni scorsi a Variety dallo stesso CCO della Pixar, Pete Docter, il quale ha poi aggiunto che la major sta cercando di cambiare rotta, ricordando agli spettatori di stare realizzando film che sono diretti principalmente alle sale cinematografiche. Una strategia di cui ha fatto parte la premiere a Cannes della pellicola che ha ricevuto cinque minuti di applausi, ma una accoglienza fredda da parte della critica che pare averne smorzato in qualche modo l’attesa.
Nonostante nei mesi duri della pandemia i prodotti Pixar siano serviti come una sorta di richiamo alla speranza per molte famiglie e i loro figli, la major pare avere perso la spendibilità dei propri prodotti a livello cinematografico. Soprattutto a livello promozionale molti sostengono che la Disney non riesca più a lanciare i messaggi giusti per entrare nelle menti (e nei cuori) di una fascia tra le più importanti per gli incassi, come è quella delle famiglie, decisive per i progetti di animazione.
È probabile che la dirigenza stia già valutando ora cosa fare nel prossimo futuro, e come rendere di nuovo appetibile presso il pubblico il brand Pixar. Da qui a marzo 2024, quando uscirà nelle sale Elio, avventura intergalattica con protagonista un ragazzino di 11 anni, sarà importante non ripetere i medesimi errori compiuti con Lightyear – La vera storia di Buzz, che aveva un imprinting narrativo molto simile.
The Flash
Tra le tante considerazioni di questi giorni che hanno visto numerosi analisti cercare di ragionare sul deludente esordio di The Flash al botteghino USA, quelle di Shawn Robbins di Box Office Pro e Eric Handler, che vi abbiamo riportato negli ultimi giorni, sono state in particolare quelle che hanno centrato le ragioni di questo insuccesso, che si può riassumere in tre parole: ritardo, mediocrità e empatia.
The Flash, come noto, ha avuto una lunga gestazione produttiva che risale addirittura al 2015 e che ha visto susseguirsi alla regia nomi quali Seth Grahame-Smith, Rick Famuyiwa e infine Andy Muschietti, con altri cineasti come Robert Zemeckis e Matthew Vaughn che hanno lambito la possibilità di dirigere la pellicola per qualche tempo. Dal punto di vista della sceneggiatura la situazione è stata alquanto caotica, con la partecipazione iniziale di Grahame-Smith e l’alternarsi di varie riscritture come quella di Joby Harold, fatta per permettere a Miller di prendere parte alle riprese del sequel di Animali Fantastici e dove trovarli, o il trattamento di Phil Lord e Christopher Miller, per poi arrivare a Christina Hodson.
Da questo punto di vista, il ritardo è stato uno stigma non indifferente per questo progetto, che sarebbe dovuto essere il primo a esplorare, narrativamente, il multiverso sul grande schermo ma che, a causa dei vari rinvii (surreale per un film incentrato sull’uomo più veloce del mondo) ha visto questo argomento fatto proprio dai Marvel Studios, con l’effetto di smussare qualsiasi novità. Il ritardo di The Flash è quindi inteso anche come mancanza di idee a livello cinematografico anche per quanto riguarda i poteri del velocista, la cui sequenza di apertura nel film attualmente nelle sale appare superata in inventiva da quelle con protagonista il Quicksilver di Evan Peters nei film degli X-Men.
La mediocrità è invece ascrivibile alla gestione della pellicola da parte della Warner e della sua attuale dirigenza. Sia chiaro, la campagna promozionale che David Zaslav e soci hanno attuato per il film ha avuto i suoi decisi punti di forza soprattutto nell’ottimo trailer diffuso durante il superbowl, che aveva alzato di molto le aspettative nei confronti del film e praticamente messo a tacere le vicende inerenti Ezra Miller.
Le colpe sono pressoché imputabili alla gestione del finale, probabilmente una delle sequenze più imbarazzanti da quella del remake de Il Pianeta delle Scimmie targato Fox di Tim Burton, con protagonista il povero Mark Whalberg.
Nel giugno del 2021, a Londra, la troupe di The Flash era impegnata nelle riprese della scena finale, che vedeva la presenza sul set di Michael Keaton e Sasha Calle, come d’altronde testimoniano molte foto scattate all’epoca e apparse in rete.
Quel finale, insieme a un altro poi finito sul pavimento della sala di montaggio, era completamente lineare alla gestione dell’epoca dei film DC Comics, che avrebbe visto tra gli altri l’inclusione definitiva di Keaton come nuovo Batman, un elemento questo che sarebbe poi stato ratificato da Batgirl.
È ovvio che la scelta di resettare tutto, e di rilanciare il DC Universe attraverso la nuova co-presidenza di Gunn e Safran, abbia modificato i piani a lungo termine, ma la scelta di un finale come quello attualmente nel film è probabilmente l’apice della mediocrità di una dirigenza per niente conscia del suicidio che quella scena avrebbe generato.
Un suicidio da cui non può esimersi di avere preso parte anche James Gunn, che probabilmente non ha messo il becco nella produzione del film sul velocista per lungo tempo in quanto impegnato con altro, mentre è impossibile che non abbia avallato la decisione delle alte sfere, che appare inequivocabilmente come una pezza fatta male e relativamente molto, ma molto recente.
E infine l’empatia. Uno dei grandi difetti del DC Universe cinematografico è stato quello di non coltivare in maniera approfondita un affetto del pubblico verso i propri eroi. Questo, se fatto, lo è stato in maniera limitata (Wonder Woman in primis). Se dobbiamo guardare al passato, l’unica altra apparizione di Flash in un prodotto multimediale legato a questo universo è stata in Peacemaker assieme ad Aquaman (Jason Momoa). Da Justice League, comunque, non vi è stato alcun modo di costruire un legame tra il pubblico e Barry Allen, la cui vicenda della morte della madre è una delle cose migliori del film a livello di emotività, ma che nel complesso non è mai stata gestita in altri ambiti.
Questo elemento è ravvisabile anche nel film stesso, vista la lamentala di Flash nell’essere utilizzato dalla Justice League come risolutore dei guai di Batman. Una frase il cui obiettivo è fare capire agli spettatori che, dal film di Zack Snyder, il gruppo ha vissuto altre avventure. Peccato che il pubblico non le abbia mai viste.
In questo modo si legano indissolubilmente due delle parole d’ordine di questo articolo, “ritardo” e “empatia”. La travagliata gestione dell’universo DC Comics, i ritardi e i rinvii, le scelte e le cancellazioni, hanno tagliato qualsiasi possibilità di costruire questi personaggi, a differenza di quanto fatto dai Marvel Studios che, nonostante abbiano evidenti difetti, hanno sempre portato avanti una proprio scaletta produttiva che definire perfetta è poco.
Tutto questo ha visto come agnello sacrificale una pellicola, The Flash, che aveva un grosso potenziale da sfruttare. L’unico potenziale che resta ora sono gli errori da non ripetere per Gunn e la sua attuale gestione, come quella di avallare decisioni dell’ultimo minuto facenti parte di una mediocrità aziendale piuttosto che dell’avere una vera idea di narrazione.