Caterina Crepax, figlia del grande fumettista milanese scomparso nel 1993, in un’intervista concessa in occasione della mostra “Valentina, la forma del tempo” allestita a Milano a fine 2008. Un documento ancora attuale che ci restituisce l’immagine di Crepax, artista e padre.
Com’è nata l’idea dell’ambientazione della mostra “Valentina, la forma del tempo”, ha pensato alle stanze e perché?
L’idea è nata da un pensiero comune della nostra famiglia, erano anni che io e i miei fratelli volevamo realizzare una “bella” mostra su nostro padre e mia madre di suo marito. Ovviamente avremmo preferito farla con lui in vita però questo non è stato possibile, sono state fatte tante mostre per lui, però una bella mostra così completa e soprattutto nella città di Milano no.Quanto a questa idea, si sono mosse tutte insieme le capacità di ognuno di noi; mia madre aveva pensato, perché le stava a cuore questo tema, il tempo. Proprio perché il tempo è molto importante nel fumetto di mio padre, che fa continui rimandi al presente, al passato, al futuro; c’è sempre una dimensione parallela di ricordi, di situazioni presenti e quasi reali, e invece puoi andare anche oltre il tempo, in una dimensione di fantasia o comunque surreale, ecco quindi “il tempo”.
Molti ci hanno chiesto perché questo titolo (Guido Crepax Valentina, la forma del tempo), in realtà, anche il taglio cinematografico del fumetto di mio padre è importante, ha comunque una sequenza temporale diversa da quella del fumetto classico, una sequenza più da film. Quindi c’è il primo piano, il piano lungo poi un’immagine che rimanda a un fatto avvenuto precedentemente, è abbastanza complesso per chi l’ha studiato con attenzione.
Poi c’era la mia idea più da architetto, da scenografo, di creare un po’ l’ambiente e l’atmosfera delle storie di mio padre, quindi ambienti spesso interni di case, porte che si aprono, passaggi, Valentina che dalle scale scende nei sotterranei e finisce in questo mondo abitato dai Sotterranei, che vengono proprio dalle viscere della terra. C’era questa idea di ricreare un po’ una casa, quindi la vita reale, in un certo senso, quasi un guardare dalla finestra Milano, lei a Milano che lavora etc.
Poi l’idea di mio fratello, io ho due fratelli uno è architetto ha lavorato con me più nell’allestimento, l’altro, Antonio scrive ha scritto i testi che raccontano in un modo un po’ fantasmagorico questa successione di spazi, per cui uno poi dal sottosuolo risale su per i tubi delle stufe, che mio padre amava molto disegnare, e si trova nella vicenda della strega Baba Yaga, sale ancora di più come se fosse sul tetto della casa, siamo nella fantascienza, Valentina che vola sul cavallo alato nello spazio. Poi si ricade nella camera da letto e siamo nel tempo onirico nel tempo dei sogni.
E questa idea che avevo io da tempo di fare delle cose molto grandi perché secondo me il segno grafico è molto forte anche in questa dimensione così grande. Un giorno abbiamo accompagnato alla mostra un nostro amico di famiglia, Gillo Dorfles con i suoi 98 anni, e diceva “ma caspita guarda questa vignetta così piccola e così dettagliata nell’originale come rende bene alta 3 metri“ quindi l’idea che il visitatore entrasse quasi in un grande fumettone, si trovasse proprio un po’ avvolto.
La mostra alla triennale è allestita in maniera tale da valorizzare a pieno il fumetto d’autore come forma d’arte, cosa comune all’estero, ma per nulla utilizzata in Italia perché secondo lei? Quali sono i nostri limiti?
Io ho sempre pensato che il limite dell’Italia, e lo vedo anche nel mio lavoro (ho lavorato nel campo degli allestimenti della vetrinistica, dell’allestimento di spazi che devono colpire come immagine) con tutta la nostra bella creatività è proprio la mancanza di coraggio, io ho sempre avuto questa sensazione. In altre città ad esempio in Brasile a San Paolo, i negozi sono molto più coraggiosi, fanno delle cose con delle sculture a rilievo sulla strada, perché noi non possiamo avere questo? Invece che so passeggio per le vie di Monte Napoleone dove ci sono di sicuro delle possibilità in più, e a parte qualche rarissimo caso come ad esempio Moschino, non c’è un gran coraggio, sì le vetrine sono molto chic molto lussuose ma sempre piuttosto borghesi.
Penso quindi che anche accettare il fumetto come una dimensione d’arte sia un limite un po’ borghese, i francesi per certe cose sono più aperti e rivoluzionari anche se a noi così vicini hanno accettato da tempo questo modo di pensare, in Francia il fumetto è da anni una forma d’arte, vi sono bellissimi musei e negozi legati proprio al mondo del fumetto, da noi invece è ancora una cosa un po’ di nicchia.
Anche i giapponesi che sono culturalmente completamente diversi da noi, hanno questa visione interessante del fumetto quasi parallelo alla realtà il fumetto vissuto in maniera più passionale.
Mi ricordo che molti anni fa un famoso critico d’arte aveva fatto un articolo veramente molto antipatico su mio padre, in relazione ad una sua mostra in una galleria molto importante di Roma, lui aveva scritto qualcosa del tipo “fuori questa porcheria dalle gallerie d’arte”, bisogna dire però che era stato di conseguenza molto criticato per le sue affermazioni.
Mio padre ha avuto il merito di aver portato se stesso e anche altri disegnatori a essere riconosciuti come un’altra forma d’arte, perché con questa cosa d’aver per la prima volta rotto la struttura del fumetto americano e quindi di aver creato una forma di comunicazione proprio più complessa è stato accettato a un livello più importante.
I personaggi femminili disegnati da suo padre, le polemiche a volte scatenate, hanno mai provocato in lei disagio?
Devo dire che noi vivevamo tutto ciò molto serenamente, nel senso che a me anche oggi fa tenerezza e mi fa piacere quando posso parlare di questa cosa, ricordare che mio padre veramente rimaneva molto male molto stupito di queste polemiche e diceva “ma queste persone non mi capiscono, io ho un concetto altissimo della donna, per me le donne sono quasi degli esseri superiori“, ricordo il suo disappunto nel non essere capito, lui non avrebbe mai voluto che le persone credessero che fosse un sadico di quelli che reputano le donne degli oggetti belli da vedere e basta. Dai miei ricordi di ragazzina mio padre diceva di Valentina che in questo senso era una donna molto moderna, aveva l’intelligenza di essere da una parte libera, emancipata, credeva molto nel suo lavoro e voleva affermarsi in un mondo maschile come la fotografia, però aveva questa esigenza di scegliere lei di essere una donna oggetto, di essere un po’ come le donne oggi più spregiudicate che fanno più loro le regole del gioco.
Certo le femministe dell’epoca forse avevano preso un po’ un abbaglio seguendo più l’immagine che vedeva questa Valentina spesso nuda, con aggeggi, briglie, frustini, da ciò si poteva pensare che lui vedesse le donne come detto prima, in realtà vedendola più approfonditamente Valentina è una donna intelligente che sceglie nei suoi momenti di evasione totale nel sogno e nell’immaginazione, anche di essere una bellissima donna oggetto ma è una sua scelta, appena vuole esce da questo immaginario e ritorna a essere una donna libera che lavora che ha le sue responsabilità e la sua libertà. In effetti le femministe, o almeno molte di loro, gli hanno poi chiesto scusa di non averlo capito bene, lui voleva veramente cercare di esprimere la complessità della donna.
Ha mai pensato da piccola di voler diventare come uno dei personaggi femminili disegnati da suo padre?
No non ci ho mai pensato, ci convivevo, era come se fossero delle persone della nostra famiglia, queste creature queste donne, specie Valentina che poi ha una vita quasi reale, poi, di fatto, non dico che sono diventata una Valentina, però ho portato avanti una vita abbastanza simile, sono una persona che lavora, con un lavoro riconosciuto, ho le mie soddisfazioni, però ci tengo molto anche alla mia vita privata, alla mia famiglia. In fondo anche Valentina ha un suo compagno, Valentina anticipatrice anche delle coppie di fatto, non si sposa ha un figlio cosa che negli anni 60 è un po’ strana per una donna.
Però io non ho mai pensato di immedesimarmi in loro, le vedevo come delle presenze potenziali; poi c’era anche Bianca che mi piaceva molto perché viveva in questa dimensione di sogno ed io sono una sognatrice, da una parte sono molto concreta, dall’altra continuo a immaginare delle cose che parzialmente realizzo, ma poi una parte rimangono solo nella testa, perciò mi piace entrare e uscire dal mondo dei sogni quotidianamente, ad esempio anche mentre cammino per strada, immagino di essere in un altro luogo.
Quale è il bagaglio culturale che lei ha ereditato da suo padre? E cosa secondo lei lui ha lasciato al mondo della grafica e nello specifico, del fumetto?
Io nel mio piccolo di figlia, che poi ha portato avanti un lavoro artistico, sono stata influenzata molto anche se inconsapevole in un certo senso. Mio padre aveva il suo studio in casa e noi avevamo piena libertà di entrare uscire guardare ciò che disegnava, non ci ha mai proibito di farlo era naturale passare e dare una sbirciatina al suo disegno, era un padre molto affettuoso ma era anche un padre molto preso dal suo lavoro, viveva veramente per questi disegni dalla mattina alla sera era chiuso nello studio con queste storie, non era di quei padri che giocano con te o vogliono insegnarti certe cose, per cui io credo di aver avuto inconsapevolmente, naturalmente questa sua influenza che mi ha portato, fin da piccola, la voglia di inventarmi delle cose; lui lo faceva nel disegno, io più per cose tridimensionali, di scultura, facevo dei disegni di donnine, però poi gli tagliavo da una parte borsette e cappello. Nella mostra ci sono questi suoi soldatini io ero molto affascinata da queste cose che vedevo, lui ad esempio ci regalava degli animali di terracotta e ci disegnava dietro sul cartone tutto lo scenario, la foresta dove era ambientato il racconto, avevamo sempre la fortuna di avere qualcosa in più e la fortuna di averlo sempre in casa, quindi più un’abitudine a essere creativi a inventarsi sempre qualcosa.
Per le altre persone ha creato qualcosa che andava ben oltre, anche oggi ci sono bravissimi disegnatori che però sono rimasti legati all’idea tradizionale del fumetto che comunica, però tutto sommato è fatto di disegni di una storia, i fumetti di mio padre erano un po’ più complessi affrontavano politica, storia, i rapporti personali, le generazioni, Valentina è un po’ la testimonianza di quello che è stata quell’epoca a tutto tondo molto legata al periodo, alla realtà, la storia, le contestazioni politiche, la moda, l’affermazione della donna.
Per cui è abbastanza denso di contenuti, l’hanno scritto in molti, magari per noi della famiglia si tende in modestia a sottovalutare, invece molti ci hanno trovato tantissimi contenuti, e anche noi, facendo questa mostra li abbiamo riscoperti, per cui è una forma d’arte diversa che può passare tanto. Dal punto di vista grafico poi veramente delle grosse trovate, il taglio la costruzione della tavola che secondo me per un giovane grafico disegnatore, sono valide basi anche per fare cose nuove, anche oggi nell’epoca della grafica e delle tecnologie, ad esempio la mostra è stata riportata su Second Life facendo tutto tridimensionale tutto molto affascinante ma anche i grafici che se ne sono occupati hanno ammesso che è fondamentale l’impostazione grafica fatta a mano, è necessaria una base importante.
Quindi il taglio della tavola il fatto di avere delle inquadrature dei primi piani, dei piani lunghi ad esempio, anche il fatto che lui non disegnasse quasi mai una scena completa, non si vede quasi mai la città di Milano o il luogo in cui è ambientata la storia, però lo si percepisce dai dettagli che sono descritti in modo molto efficace e ti fanno capire l’insieme, come una mezza targa di una strada, un rumore di una metropolitana, del tram e si capisce che sei a Milano.
Caterina lei ha una manualità e una fantasia straordinarie, trasforma la semplicità di un foglio in vere e proprie opere d’arte, i suoi abiti di carta sono fantasia e genialità com’è nata questa passione?
Mi ripeto un pochino credo di aver avuto una grossa influenza da quei soldatini che ha visto alla mostra, io ci giocavo con i miei fratelli, poi mio padre ci ha giocato con i suoi amici anche famosi come Claudio Abbado etc. Lui aveva questa passione, guardava i libri di storia vedeva queste immagini e gli piaceva ricreare questa bellissima scenografia del campo di battaglia, con i soldatini ritagliati uno per uno messi in un certo modo che facevano un grande effetto, sembrava di dominare il campo di battaglia dall’alto.
Ed io proprio ho un po’ questa cosa, mi piace molto l’idea della messinscena, cioè di creare un qualche cosa che suscita stupore, mio in primo luogo, perché poi è così chi fa le cose spesso pensa quasi che le abbia fatte un altro, c’è come un senso di distacco, anche mio padre disegnava certe cose e lo diceva lui stesso le disegnava quasi inconsapevolmente gli venivano fuori. Per cui io le faccio e sono la prima a stupirmene, come un bambino che sta a guardare con gli occhioni davanti alla vetrina dove ci sono cose che gli piacciono molto, così faccio io le guardo mi stupisco e mi piace l’idea di suscitare stupore e emozione nelle persone, mi piacerebbe lei le vedesse dal vero le mie creazioni, perché un conto è vedere delle fotografie, un conto è l’ambientazione che io do alle mie creazioni, ad esempio vestiti bianchi in uno spazio tutti illuminati da dentro come presenze un po’ magiche e spesso le persone mi dico “che bello mi è sembrato come d’essere in un sogno” questa cosa mi piace tantissimo, mi piace vedere lo stupore che creano negli altri e in me.
Io ancora oggi sono una persona a cui piace stupirsi di tutto, anche di fronte ad un bello spettacolo della natura. Ogni tanto vengo chiamata nelle scuole per dei corsi, e ciò che dico è che bisogna sempre stupirsi, guardarsi intorno e stupirsi, essere curiosi in senso positivo ed entusiasmarsi per ciò che si vede.
Mi sono creata questo strano lavoro/passione, perché poi la fortuna è quella di averlo trasformato in un lavoro, la mia passione è lavorare la carta e farla diventare un po’ magica, diciamo che il mio spunto sono quei libri magici che si aprono i pop up, un libro chiuso che si apre e viene fuori un veliero un castello, io avevo questo libro di cenerentola che mi faceva impazzire c’erano tutte le stanzine ed in ogni stanza c’era una sorpresa che si poteva vedere dall’alto, ecco è un po’ quel ricreare quella sensazione magica.
Intervista fatta nel dicembre 2008 in occasione della mostra su Guido Crepax “Sono un viaggiatore immobile”. Pubblicata originariamente su www.collezioneggio.com.