Nel dicembre 1992 usciva il primo numero di Nero, rivista mensile pubblicata da Granata Press e dedicata a fumetti tutti italiani che colpì come un maglio le nostre edicole. Il progetto era ambizioso e bellissimo, un tentativo di ridare forza a un genere pieno di possibilità, il noir, riattualizzato e ambientato nel nostro paese, e in parte esperito tramite una rinarrazione adulta e caustica di alcuni classici eroi dei fumetti tascabili come Diabolik o Kriminal.
Tra le molte storie degne di nota spiccava Storia di Cani, scritta da Giuseppe Ferrandino – uno dei migliori sceneggiatori di fumetti italiani, purtroppo per noi lettori passato alla narrativa – e disegnata da Giancarlo Caracuzzo: una storia di piccola malavita ambientata in un paesino del sud Italia, raccontata con estremo realismo e perfezione narrativa e grafica. Lavoro memorabile, episodio insuperato e poco considerato dal mondo del fumetto ma di grandissimo valore, al punto che a distanza di venticinque anni conserva intatte tutte le sue doti.
Ed è proprio a Storia di Cani che ho pensato quando ho messo gli occhi per la prima volta su Il paese dei tre Santi, fumetto scritto da Stefano Nardella per i disegni di Vincenzo Bizzarri. Tutto, infatti, dalla copertina al titolo, dalle poche tavole viste e dall’ambientazione, faceva pensare a una storia di crimini e violenze quotidiane molto simile nei temi e negli intenti all’opera sceneggiata da Ferrandino.
Ambientato in una piccola cittadina periferica del sud Italia (con buona certezza identificabile come San Nicandro Garganico, in provincia di Foggia), il fumetto si svolge interamente nei tre giorni dedicati alle festa dei santi del paese, durante i quali altrettante vite di alcuni abitanti raggiungeranno il loro climax e nello stesso tempo una conclusione.
Come tre sono i santi, tre infatti sono i protagonisti della storia.
C’è Michele, ex pugile ora tossicodipendente e al servizio di un piccolo boss criminale, personaggio fallito in tutto, aggrappato solo a sprazzi a ciò che resta della propria umanità, e impegnato in un percorso di autodistruzione dal quale sembra ormai pronto a farsi inghiottire.
C’è Nicandro, giovane ragazzo desideroso di ritagliarsi un ruolo da padrone del quartiere, piccolo spacciatore e bulletto di periferia che vive una vita fatta violenze e soprusi dei quali è allo stesso tempo fautore e vittima e che potrebbe trovare un timido riscatto solo tramite l’amore di una ragazza.
E infine c’è Marciano, ex rapinatore ed ex detenuto, che ha deciso di rifarsi una vita grazie a un’onesta professione di venditore di bibite e panini con la quale mantiene la propria famiglia, e che è disposto a tutto pur di mantenere quell’onestà e quella libertà che ha così faticosamente conquistato.
La loro ascesa, e in alcuni casi la loro caduta, così come l’incrociarsi delle loro vite, è raccontata da Stefano Nardella con uno stile asciutto e molto realistico, che non disdegna l’uso del dialetto ma riesce a integrarlo alla perfezione; ma che soprattutto si fa notare per talento compositivo, stile cinematografico, atmosfere, bellezza e pathos.
Impossibile non appassionarsi al racconto e ai suoi protagonisti, così come è impossibile non apprezzare un’ambientazione riportata in modo realistico, più vera del vero, immediatamente riconoscibile e mostrata in maniera priva di edulcorazioni, talmente ricca di temi e intuizioni che meriterebbero un articolo molto più lungo e articolato di questo.
Per quanto riguarda la trama va segnalata l’efficacia della rappresentazione del paese e dei suoi abitanti, immersi in una quotidianità fatta di violenze, ricatti, vite sprecate, silenzi e omertà.
Il male – un male piccolo però, messo in opera da minuscoli boss di periferia, di quartiere, ingranaggi piccolissimi di un marchingegno molto più grande di loro – ha totalmente permeato le vite della gente, al punto che una via d’uscita non solo non è contemplata ma quasi certamente non esiste. Non si può trovare nella lotta e neppure nella fuga. Manca nella resistenza come nell’abbandono. Le esistenze delle persone si snodano in mezzo a questo male che per loro rappresenta normalità e realtà, e non possono che venirne a contatto. In alcuni casi volontariamente, in altri no, ma senza che venga offerta loro un’alternativa, o una qualsiasi forma di redenzione.
L’unica cosa che sembra davvero mancare è la presenza dello Stato, delle istituzioni, della Legge con l’iniziale maiuscola. Girando per le strade del paese la loro assenza è subito percepibile. Di esse rimangono solo piccole vestigia prive di peso: una sirena in lontananza, la minaccia di una loro chiamata, una piccola apparizione, o i racconti di precedenti contatti con esse da parte di alcuni personaggi; storie remote e aliene come l’incontro con un mostro enorme ma fondamentalmente innocuo.
Unica presenza che sembra avere un minimo peso è quella della Chiesa: madonne ornate da fiori, volti di Padre Pio, chiese illuminate e processioni riempiono le pagine, le case e le strade; e tra i personaggi di contorno spicca la presenza silenziosa del prete di paese. Ma il messaggio della fede giunge inevitabilmente deformato, indebolito, mutato, sottomesso a una religiosità popolare superstiziosa e ipocrita, che chiede la protezione dei santi mentre uccide, minaccia e tortura.
Una chiesa ridotta a un carrozzone fatto di effetti speciali, icone da venerare e una minima autorità da sfruttare di tanto in tanto, un’ultima chance o un appiglio da sfruttare come pretesto dignitoso per sfuggire a situazioni complicate. Una chiesa, infine, a volte muta e complice di quel male che segna le vicende dei protagonisti.
Altro elemento interessante da riportare è la figura della donna, che si contrappone decisamente ai personaggi maschili in quanto è l’unica che cerca di mantenere una sua dignità, che non si lascia andare alle vie facili, che cerca vie di fuga e nuovi inizi, non è disposta a tacere, lotta per ciò che è suo, è esterna alle faide e alle prove di forza da macho, e sebbene in alcuni casi diviene suo malgrado elemento del contendere tenta sempre di offrire salvezza, di conservare pace, di prevenire effetti negativi sulle vite delle persone.
Per intenderci, la donna è la persona che decide di chiamare i carabinieri quando invece suo marito vorrebbe che tirasse le tende sulla realtà senza impicciarsi. E sebbene sia chiaro a tutti che quando si parla di malavita il ruolo negativo delle donne è spesso pari a quello degli uomini è interessante vederle ritratte in questo modo in un fumetto, che mette in luce la parte migliore di loro e ce le mostra nel ruolo di mogli, madri, casalinghe, ragazze comuni, non certo stereotipi o donne fatali o signorine discinte ed erotiche come spesso accade.
Dal punto di vista tecnico spiccano decisamente il lavoro fatto sui personaggi – sia protagonisti che di contorno – e sui dialoghi, di rara efficacia. Ogni persona che appare nel Paese dei tre santi ha una sua caratterizzazione forte e decisa, realistica e immediatamente riconoscibile, credibile e ben mostrata.
Complici anche dei disegni di rara efficacia compositiva, i vari racconti riescono fin dalle prime pagine a convincere e appassionare il lettore, e nello stesso tempo a offrire una trama articolata e uno spaccato di paese che è un ulteriore personaggio del racconto. Non si dubita mai della veridicità dei luoghi o delle situazioni che si vengono a incontrare, ma anzi ci si sente testimoni del vero.
Ottimamente gestito, a questo riguardo, l’uso del dialetto, che oltre ad aiutare l’immedesimazione è sicuramente un elemento mai fuori contesto e mai “finto”. I personaggi si esprimono tutti secondo la loro natura e la loro cultura, con dialoghi secchi e precisi, sempre centrati e chiarissimi.
E’ un rischio diffuso quello di creare fumetti ad ambientazione italiana nei quali il dialetto diviene un elemento pretestuoso, gestito con superficialità o inserito nelle sue espressioni più stereotipate solo quando gli autori sembrano ricordarsene, o che fa uso di volgarità nel tentativo di rendere più colloquiale il parlato.
In questo fumetto invece è esattamente l’opposto: si sente parlare l’Italia vera, quella che realmente molte persone possono trovare fuori dalla loro porta.
Valido è l’approccio, valido è lo sviluppo, e valido e coerente anche il finale, che giunge a mettere ordine (o disordine) nelle vite dei vari protagonisti o comparse. Il tutto con gran soddisfazione del lettore, che giunge all’ultima pagina con la precisa sensazione che niente gli sia stato risparmiato, che tutto ciò che poteva sperare di leggere gli è stato servito con perizia e talento.
Encomiabili anche i disegni di Vincenzo Bizzarri, sospesi tra realismo e deformazione grottesca, disposti all’interno di tavole sempre leggibili e chiare, dalla gabbia rigorosa, che arricchiscono il narrato senza tradirne gli obiettivi di rigore rappresentativo. Davvero notevole l’interpretazione grafica dei personaggi, ognuno dei quali recita la sua parte con grande efficacia; ma notevole anche è l’ambientazione, realistica e precisa, ricchissima di sfondi che sembrano presi di peso dalla strada e trasportati all’interno della tavola.
Inquadrature sempre precise, mai azzardate o inutilmente esagerate, e soprattutto un senso del ritmo e dell’immagine dal taglio quasi cinematografico; un tratteggio ricco di espressività; una validissima gestione della profondità e della prospettiva soprattutto lì dove sono gli ambienti, le strade e le piazze a parlare; un grande senso del ritmo e della gestione emotiva del racconto: tutti elementi che concorrono a rendere la parte grafica una delle più efficaci che ci sia capitato di vedere ultimamente, dimostrazione di grande capacità del disegnatore, perfettamente a suo agio con la materia narrata.
E ulteriore arricchimento si ha tramite l’uso del colore dalla palette ristrettissima, basata per la quasi totalità delle pagine su due colori, un giallo carico e un grigio/azzurro spento che sembrano voler mostrare i due lati di una stessa medaglia e che per quanto si mescolino di tanto in tanto non riescono mai a compenetrarsi.
Anzi, la differenza tra le due sfumature e i due significati è resa ancora più evidente lì dove cieli assolutamente gialli incombono sopra un paese totalmente grigio, come se la luce non avesse il potere di alleggerire o modificare la quantità di tenebra nella quale la cittadina e i suoi abitanti sembrano essere costantemente avvolti. Il passaggio tra luci e ombre sembra anzi impossibile, i colori rimangono distinti, sembrano scivolare l’uno sull’altro come due liquidi incompatibili. Il gelo del paese non può essere in alcun modo intaccato, e il massimo che la luce può fare è apparire come ornamento alle statue dei santi, sotto forma di fiamma di candele accese.
Il paese dei tre santi è stato pubblicato per la prima sul sito Mammaiuto, dove è tuttora disponibile per la lettura gratuita, fornendo tra le altre cose un’ulteriore prova – se mai ce ne fosse ancora bisogno – della grande validità degli autori facenti parte di questo ottimo collettivo. Successivamente ne è stata stampata l’edizione cartacea autoprodotta, dopo la quale – come è prassi per i volumi Mammaiuto – i diritti sono stati ceduti a un editore, in questo caso la valida Kleiner Flug, che ne ha curato la nuova edizione.
Il fumetto ha avuto buoni risultati anche all’estero, finendo addirittura tra i nominati all’interno della Sélection Polar durante il festival di Angoulême (la più importante manifestazione francese di fumetti) 2018. Risultati che fanno ben sperare, e assolutamente meritati per un lavoro che convince e appassiona su tutti i fronti, frutto di due autori davvero professionali e abili che nel frattempo hanno proseguito a rinarrare il nostro Sud pubblicando il racconto breve Il gran ghetto per la collana Fumetti per il sud edita dalle edizioni Hazard.
Nero durò nelle edicole solo per due anni, uscendo con periodicità più o meno mensile senza riscuotere grandi consensi. Un grandissimo peccato, perché al suo interno – oltre a grandissimi autori – compariva un modo di far fumetto assolutamente geniale e adattissimo alle nostre corde, un fumetto che l’Italia avrebbe dovuto far suo per raggiungere quella maturità e quella chiarezza stilistica da molti auspicata.
Purtroppo così non è stato, sebbene sia positivo il fatto che l’Editoriale Cosmo abbia recentemente pubblicato una ristampa di Storia di Cani. Tuttavia, la presenza di opere come Il paese dei tre santi, figlia legittima di quelle storie pur senza saperlo (gli autori, conosciuti a Lucca dal sottoscritto, erano del tutto all’oscuro dell’esistenza di quella rivista), rappresenta una boccata d’aria pura, la soddisfazione di vedere che certi modi di narrare non scompaiono, una speranza e il compimento di un desiderio; oltre che – prima di tutto – una bellissima lettura.
Abbiamo parlato di:
Il paese dei tre santi
Stefano Nardella, Vincenzo Bizzarri
Kleiner Flug 2017
189 pagine, colore, brossura – 22,00 €
ISBN: 9788898439713