Francesco Memo e Barbara Borlini sono due sociologi e fumettisti: una coppia sia nel lavoro che nella vita privata. Con la loro precedente storia, La vita che desideri, hanno ottenuto la menzione speciale al Premio Manzoni nel 2019 per il romanzo storico, e oggi tornano con un’opera sviluppata in due linee narrative. Li abbiamo incontrati all’edizione 2024 di Più Libri più Liberi per approfondire i temi e la forma de Il limite del mondo.
Ciao Francesco e Barbara, bentornati su Lo Spazio Bianco. Il limite del mondo ha una caratteristica insolita, è un flip-book che può essere letto sia da un lato che dall’altro del volume. Perché l’idea di farlo così, invece che intervallare le due storyline in modo tradizionale?
L’idea è molto connessa al tema di fondo, perché il volume parla di crisi climatica e ci interessava mettere in evidenza le interconnessioni e gli impatti di questa situazione su ambienti diversi. Quindi abbiamo da una parte la città e dall’altra la montagna, e farlo in questo modo ci permetteva di rendere più evidente questo aspetto. Le due storie hanno interconnessioni ma sono autonome sia narrativamente che tematicamente. Per la splash page finale, l’intenzione era proprio di creare un punto di convergenza in cui la partenza e l’arrivo si invertono.
Perché una storia sul cambiamento climatico?
I nostri lavori nascono da delle esigenze, da delle domande intorno a cui mettiamo in moto dei motori narrativi. In questo caso la domanda aveva a che fare col futuro e la responsabilità: ci siamo chiesti proprio a livello personale (perché oltre ai fumetti condividiamo anche una vita e delle figlie): «che cosa stiamo lasciando ai nostri figli?». Non solo i nostri naturalmente; è una domanda che riguarda tutti. Da questo punto di partenza abbiamo tentato di immaginare un futuro segnato dal cambiamento climatico, però schivando alcuni cliché legati al catastrofismo. Noi volevamo rimanere su un qualcosa che fosse più simile alla “fantascienza sociale” in cui spingiamo avanti degli elementi che sono già presenti, che possiamo vedere nell’oggi. Quando abbiamo iniziato questa storia volevamo (e dovevamo) dire che il cambiamento climatico non è un qualcosa che verrà: ci siamo già dentro.
Secondo voi in che misura è percepita la crisi climatica? Sembra come se si tratti di una cosa che preoccupa solamente i giovani…
La generazione degli adulti e degli anziani la propria vita l’ha fatta in un contesto in cui il cambiamento climatico non ha impattato. Chi è giovane adesso, chi cresce nei prossimi decenni si troverà dentro a un quadro che gli altri non hanno conosciuto. Che questo significhi che sia più sensibile naturalmente non è detto, però negli ultimi anni la mobilitazione c’è stata proprio partendo dai ragazzini. Il problema è che il potere economico e politico prima ha fatto finta di accoglierli, per poi espellere queste richieste. Quindi oggi i giovani che sono più giovani della generazione di Greta, sono in un altro frame in cui protestare è molto più difficile.
A me piace tantissimo come avete caratterizzato il messaggio di Wei: il fatto che non abbiate mai detto se è una donna o un uomo anche tramite le inquadrature è fantastico. E a proposito dei personaggi, i due protagonisti della città hanno un nome molto significativo, Adam e Eva. Gli altri due nomi che significato hanno?
Yves in realtà è un nome speculare a Eva, poiché in francese la pronuncia è “eve“, mentre per Wei abbiamo cercato un nome cinese che fosse sia maschile che femminile. C’è stato un lavoro apposta sul linguaggio per fare in modo che non ci fossero mai nei dialoghi aggettivi che lə caratterizzassero. È un personaggio che abbiamo voluto inserire nel contesto montano e non in città dove poteva essere, in un certo senso, più “scontato”. Il suo essere un personaggio che sconvolge la vita di Ives, ovvero una figura ribelle, ci piaceva che fosse connotato anche nel suo nome.
Ne La vita che desideri è evidente come ci sia stato un lavoro intenso di raccolta di informazioni storiche, qui invece siamo in un “fanta-presente”: come vi siete orientati per costruire questo mondo?
Sono due lavori molto diversi, come documentazione e come lavoro di scrittura. La vita che desideri ha comportato un lavoro di immersione in un periodo storico anche con il linguaggio e tutta la parte visuale eccetera. Qui la documentazione è servita per rendere credibile la struttura e per inserire elementi tecnologico-scientifici che non fossero le macchine volanti ma qualcosa che mantenesse i piedi per terra. L’altra cosa che secondo noi differenzia fortemente i due fumetti è il ritmo interno: La vita che desideri è proprio un romanzone storico, ma soprattutto ha un andamento da romanzo. Seguiamo una vita, una storia. Invece Il limite del mondo ha un ritmo interno molto più veloce, più sincopato. Tra le due sezioni narrative forse questo si coglie in maniera diversa. Molti lettori ci dicono che la parte della montagna dura di più, altri che durano esattamente la metà. In realtà hanno le medesime pagine, ma curiosamente sono percepite in modo diverso.
Parliamo dell’aspetto figurativo: che motivazione c’è dietro la scelta di questa palette dai toni freddi?
Il punto di partenza è che i colori e il modo di concepire il loro uso hanno più una funzione diegetica che non narrativa: servono a evidenziare un’atmosfera e a veicolare ulteriormente dei significati e delle percezioni. Qua il tema del caldo è stato reso con delle tavole con un filtro arancione che danno subito l’idea di stare in una cappa di caldo in contrapposizione alla palette fredda dell’ambiente meccanico e condizionato, in questo caso giocato su bianco e azzurro. Quindi siamo partiti dalla palette della città e poi ne abbiamo creata una per la montagna. Si è ragionato molto su come farla, anche perché la montagna è un ambiente naturale differente. Alla fine si è deciso di rimanere sulla stessa palette, che però assume una funzione diversa: di evidenziare una perdita di bellezza, di biodiversità e anche di rigoglio della natura.
Quindi avete lavorato prima alla storyline della città, giusto?
Sì abbiamo completato per prima la parte della città.
C’è stato un momento particolarmente complicato nella creazione della storia?
Nella scena di Margulis che parla con il regista, in cui si rivelano tante cose del suo passato, c’è stato un lavoro di lunga riscrittura. Volevamo mantenere il ritmo e rimanere molto sintetici però quella è la parte in cui il personaggio dà una lettura un po’ politica di quello che sta succedendo e di quello che tiene in piedi tutto quel mondo. Ci abbiamo lavorato davvero molto per trovare la quadra tra tutto quello che volevamo dire e il dirlo in modo sintetico, così da non fare né lo spiegone né una cosa didascalica. Dal punto di vista grafico una delle cose che ci ha incagliato lungamente era questa benedetta splash page finale. Subito si è capito che saremmo andati in quella direzione però non avevamo chiaro come visualizzarlo. Ed era un oggetto di grande preoccupazione! Dovevamo trovare una soluzione grafica che non svelasse l’altro finale perché arrivando da una parte vedi per forza qualcosa di quello che c’è dall’altra. E poi è venuta fuori questa idea diciamo di incastro tra i due, che ci sembrava efficace.
Grazie mille per il tempo che ci avete dedicato, a presto e buon lavoro!
Grazie a voi e a presto!
Intervista realizzata dal vivo a Più Libri Più Liberi, nel dicembre 2024
Francesco Memo
Sociologo di formazione, ha scritto per Doppiozero e Critica marxista, attualmente si occupa di educazione e animazione culturale alla Centrale dell’acqua di Milano. Ha scritto su disegni della compagna Barbara Borlini, con la quale ha avuto due bambine, La rosa sepolta (Hazard Edizioni, 2013), La vita che desideri (Tunué 2021) e Il limite del mondo.
Barbara Borlini
PhD in Studi Europei sul Territorio, è sociologa e ricercatrice. Autrice di pubblicazioni scientifiche ma anche storyboarder e disegnatrice di graphic novel. Ha disegnato su testi del compagno Francesco Memo, con il quale ha avuto due bambine, La rosa sepolta (Hazard Edizioni, 2013), La vita che desideri (Tunué 2021) e Il limite del mondo.