Gotico, diversità e fumetto: intervista a Sergio Algozzino

Gotico, diversità e fumetto: intervista a Sergio Algozzino

Al Salone del Libro 2019 abbiamo intervistato Sergio Algozzino, autore e ospite di Tunué, per farci raccontare qualcosa sul suo nuovo fumetto.

Diplomato presso l’Accademia di belle arti, ha pubblicato con Tunué: Dieci giorni da Beatle nel 2013, il racconto su Ozzy Osbourne nella raccolta Hellzarockin’ del 2012, sceneggiata da Gianluca Morozzi, e il saggio Tutt’a un tratto nel 2005. Nel 2013 vince il Premio Francisco Solano Lòpez come “Miglior disegnatore”. Nel 2014 esce il graphic novel di matrice autobiografica Memorie a 8 bit; nel 2016 il nuovo lavoro dal titolo Storie di un’attesa e nel 2017 Il piccolo Caronte con i disegni di Deborah Allo. All’attività di disegnatore e colorista affianca quella di insegnante presso varie scuole di fumetto. Il suo ultimo lavoro è Myrna e il tocco della morte, i cui disegni sono nuovamente realizzati da Deborah Allo.

Il tema fondamentale del fumetto è la diversità, che avete scelto di rappresentare in una favola gotica che ricorda molto le atmosfere dei film di Tim Burton. Da dove è nata questa idea?
La storia di Myrna e quella del Piccolo Caronte, il libro precedente fatto sempre in collaborazione con Deborah Allo, sono sicuramente e volutamente frutto di tante letture che mi piacciono molto di ambientazione gotica, soprattutto romanzi di fine Ottocento, che hanno influenzato un certo tipo di cinema. Myrna e il Piccolo Caronte sono disegnati da Deborah perché i libri che disegnavo da solo erano intimisti e quotidiani, invece in questi c’è un’atmosfera più fantastica, personaggi assurdi, toni vicino alla favola. Tra le influenze più forti ci sono sicuramente Il castello di Otranto e Frankenstein. La diversità è intesa su due fronti. Abbiamo una protagonista come Myrna, che è bellina e ha questo dono-maledizione particolare: di conseguenza lei si sente un mostro pur non essendolo esteticamente. Quando poi si va a rapportare con quelli che noi, per l’aspetto, giudicheremmo come mostri per lei non cambia nulla, perché ha conosciuto un solo altro essere umano nella vita e le sembrano normali, non ha pregiudizi dettati dalla società. Quindi abbiamo la diversità più “diretta”, ossia giudichi qualcuno per come lo vedi, e poi quella secondo la quale ci si autogiudica, anche rispetto a quello che uno pensa.

Oggi più che mai il tema della diversità, della sua accettazione e inclusione sono messi in discussione, spesso demonizzate da correnti politiche e culturali che le vedono come un pericolo per la nostra società. In molti casi, le nuove tecnologie vengono usate per passare questo messaggio negativo. Quanto è importante scrivere storie su questi temi, in particolare racconti che si rivolgano ai ragazzi e li invoglino a riflettere?
Questo è un problema che mi pongo in seconda battuta, perché la prima battuta è sempre quello che voglio raccontare io, di cosa ho bisogno per me stesso. L’istinto primario per me è raccontare qualcosa che mi sta a cuore, prima di pensare agli altri, avendo comunque un legame e un’apertura al confronto con quante più persone possibili. Quindi non è una storia che è stata pensata in un momento in cui certi temi sono scottanti. Questa è una storia che ho scritto anni fa, quando già avevo un tema solido e classico sul quale basare la trama. Non sono così contento che capiti in un momento in cui le cose sembra che stiano impazzendo del tutto.

Tu sei attivo nel campo dell’editoria a fumetti e non da più di venti anni: in un mondo in cui i ragazzi hanno mille stimoli, soprattutto tecnologici, quale è secondo te lo spazio rimasto alla letteratura e al fumetto rivolto ai più giovani?
Letteratura e fumetto sono da mettere in due compartimenti separati. La letteratura è una specie di costante nella vita degli esseri umani, anche dal punto di vista culturale: infatti anche chi non legge prova una forma di rispetto per la letteratura. Il fumetto invece ha parabole ricorrenti e costanti all’interno della sua storia, quindi ci sono delle evoluzioni continue, sia per come ci si rapporta culturalmente al fumetto, sia per quanto riguarda il suo lato economico o il numero di persone effettivamente interessate. Queste cose nel mondo del fumetto cambiano velocemente e spesso radicalmente, per cui potrei dirti che fra cinque o dieci anni può succedere qualcosa di totalmente sconvolgente che riporta l’attenzione, dal punto di vista delle vendite e di visibilità, sul fumetto. Non mi sento di dare un parere definitivo su un mezzo che rispetto alla letteratura è molto più giovane. In questo momento vale lo stesso discorso che si faceva vent’anni fa: a quell’epoca, infatti, già si diceva “i fumetti distraggono”. Rispetto al cinema, dove oggi esistono piattaforme nelle quali puoi accedere a tantissimi contenuti per pochi euro, il fumetto lo devi pur sempre comprare, perché non esiste un metodo realmente comodo per leggerlo al di fuori della carta. Nonostante tutti gli esperimenti che sono stati fatti riguardo ai fumetti online, la carta è ancora oggi il miglior modo per leggerli. Per questo dico che potrebbe succedere di tutto: potrebbe accadere che ci sia un nuovo modo di fruire i fumetti che ribalti le carte in tavola e porti nuova luce sul mondo del fumetto in generale. Rispetto alla domanda quindi non saprei bene rispondere, ma sono comunque ottimista. Verso la letteratura c’è una costante mediocrità di rapportarsi a essa: ci sono i lettori veri, che leggono sempre, e i lettori finti. Con il fumetto questa cosa non succede, perché devi essere più specializzato.

Dopo Piccolo Caronte, questa è la tua seconda collaborazione con Deborah Allo. In conclusione del volume ci sono alcuni interessanti dietro le quinte sulla nascita dei personaggi e di alcune pagine, comprese bozze e correzioni. Come si è evoluta la vostra collaborazione in questa seconda opera rispetto alla prima?
In linea di massima abbiamo lavorato un pochino diversamente, perché io, anziché scrivere solamente la sceneggiatura, ho realizzato anche una specie di storyboard blando con i dialoghi, in modo da capirci meglio. Poi ovviamente lei è stata liberissima nella forma dei disegni. Già in Piccolo Caronte avevo realizzato uno storyboard completo, ma non lo avevo mostrato a Deborah e avevo preferito spiegargli i punti che erano rimasti oscuri. L’unico cambiamento che c’è stato, rispetto a come avevamo pensato originariamente la storia, è quello di genere del protagonista, che inizialmente era un maschio. Però, avendo scritto negli anni storie in cui erano presenti personaggi femminili che fungevano da comprimari e avendo capito, dal modo in cui scrivo, che ho una sensibilità affine al pubblico delle lettrici, a un certo punto ho pensato che dovevo fare una storia con protagonista una ragazza/donna. Dal momento in cui ho deciso questa cosa, l’approccio al personaggio è cambiato molto: è diventa la Myrna poi presente nel libro. Una ragazza dell’età di Myrna ha un certo tipo di determinatezza e maturità che cercavo, mentre un ragazzino sarebbe più insicuro.

Oltre ad essere scrittore, sei anche disegnatore: in che modo questo aiuta (o limita) il tuo lavoro con i disegnatori con cui collabori?
Riferendomi ancora agli storyboard fatti, si limitavano più a uno schema visivo delle tavole, mentre sul disegno in sè Deborah era liberissima. Si capiva dallo storyboard com’era il montaggio delle vignette e le loro inquadrature singole, ma niente di più, perché non volevo minimamente influenzare Deborah. Anche sulla creazione dei personaggi e sul mondo dove è ambientata la storia, che ho comunque descritto molto, non le ho mai dato degli input o preparato degli schizzi: è tutta farina del suo sacco.

Intervista realizzata dal vivo al Salone del Libro di Torino 2019

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