Giovanni Battista Belzoni, archeologo e avventuriero, visto da Walter Venturi

Giovanni Battista Belzoni, archeologo e avventuriero, visto da Walter Venturi

Nell’ultimo numero dei Romanzi a fumetti Bonelli, Walter Venturi si cimenta in un’opera tutta sua nei testi e nei disegni, riproponendo la figura di un personaggio del secolo scorso fuori da tutti gli schemi: Giovanni Battista Belzoni.

Venturi e il suo Belzoni

copertina

Walter Venturi approda, nella duplice veste di autore e disegnatore, nella prestigiosa collana dei “Romanzi a fumetti Bonelli”, proponendoci la figura di Giovanni Battista Belzoni (1778-1823), personaggio reale e figura epica di archeologo, quando l’archeologia si coniugava molto bene con mito e avventura e poco con scientificità.

Il confronto con personaggi storici comporta almeno un paio di rischi, spesso non sovrapponibili, ma in cui è molto facile che incappi l’autore.
Il più delle volte la produzione sfocia in un’opera eccessivamente didascalica, vincolata alla biografia del personaggio, di conseguenza poco disinvolta e scorrevole dal punto di vista narrativo.
Oppure, altra faccia della medaglia, l’autore può risolversi a restituire un personaggio completamente svincolato dall’originale e una storia del tutto avventurosa, smodatamente romanzata, stravolgente i connotati storici. 

Vediamo come Venturi ha affrontato l’implicita sfida.

Innanzitutto eliminiamo da subito il dubbio che l’autore si sia affidato a sequenze narrative eccessivamente documentaristiche. Venturi, al contrario, si serve di moduli squisitamente cinematografici, con mano esperta e sapiente, come nel fumetto seriale italiano, a nostro avviso, solo pochi riescono a fare. Prendiamo come esempio la splendida sequenza introduttiva ove una canoa solitaria viaggia sul fiume Benin (delta del Niger) verso Timbuctu, nel 1823.

fiume beninLa progressione iniziale (che di fatto, come si capirà, rappresenta la fine della storia) costituisce il filone essenziale del racconto e rappresenta l’inesorabile percorso di Belzoni verso l’appuntamento fatale della sua vita. Questo filone verrà ripreso più volte e l’ultima volta a conclusione dell’albo. Il lento cammino della canoa è sospeso in un soffuso mistero. Al lettore è celata la verità su chi sia la figura incappucciata, inquietante e misteriosa, sofferente e tossente, a mala pena riparata dal sole (che avvertiamo impietoso) da una cappottina macilenta, al centro dell’imbarcazione regolata da due indigeni. All’immagine di decadenza fa riscontro, dopo qualche tavola, una immagine di festa e di trionfo con il Grande Belzoni, il Sansone Patagonico, che, grazie alla propria erculea forza e a un meccanismo da lui stesso inventato, solleva ben undici uomini. Il flashback rispetto alla sequenza iniziale formerà la maggior parte della narrazione destinata a ricostruire la vita avventurosa di Giovanni Belzoni.

Nel corso della storia Venturi si muove con estrema disinvoltura, confermando la sua perizia nel trasferire nel fumetto il linguaggio del cinema. La vocazione filmica si avverte inoltre nell’uso incisivo delle inquadrature, che, utilizzate con sapiente metodologia, conquistano punti di osservazione inconsueti in grado di offrire una visione personalissima, seppure estremamente realistica, della scena.

Venturi è abile nel riportare i ritmi, le atmosfere, i medesimi stilemi della narrazione popolare. Ne Il Grande Belzoni ritroviamo non solo suggestioni proprie del romanzo d’appendice ottocentesco ma persino i magnetismi degli eroi popolari del fumetto italiano di un recente passato.

485157_502547183130551_1972596240_nA questo punto è bene sottolineare che il Belzoni che Venturi ci presenta non corrisponde alla figura storica dell’archeologo realmente vissuto.

Giovanni Battista Belzoni visse una vita densa di soddisfazioni e anche di riconoscimenti; in qualche misura riuscì anche ad arricchirsi. Non c’è mostra di egittologia o museo egizio che in qualche scheda non parli dell’opera di Belzoni o non presenti qualche reperto recuperato dall’archeologo italiano. Vero è che il suo nome non ha mai raggiunto la grande fama (che pure avrebbe meritato) presso il grande pubblico e neppure ottenne i riconoscimenti di cui invece godette Heinrich Schliemann (1822-1890), altro archeologo avventuroso, scopritore di Troia. Di questo Belzoni, però, non dovette dolersi più di tanto e, da quel che ci è dato sapere, non ci sono tracce nella sua biografia dei tormenti e degli atroci tradimenti che invece riporta l’autore nella sua ricostruzione.

Venturi ci descrive un personaggio collerico e nervoso, a volte irriverente nei confronti dei locali. Per la cronaca Belzoni ebbe il merito di intrattenere ottimi rapporti con le popolazione arabe, immedesimandosi con i loro costumi, indossandone gli abiti e divenendo quasi uno del luogo.

belzoni cupoL’autore ci restituisce, invece, un Belzoni dannato, la cui personalità deve molti debiti, come detto, alla letteratura popolare. Il Belzoni di Venturi assume i rilievi delle figure gotiche e romantiche declinate nelle semplificazioni confluite nella narrativa di consumo.

Come il Tamerlano di Edgar Allan Poe, Belzoni trascura l’amore inseguendo un sogno di fama e ricchezza. Come l’Edmond Dantès de Il Conte di Montecristo di Dumas padre, l’avventuriero è tradito dalle persone che gli sono più vicine. Come per le esistenze de I Miserabili di Victor Hugo, la vita dell’archeologo è fatta di cadute e di risalite, di colpe e di redenzione, di gloria e di disperazione.

Ma non mancano neppure i debiti al genere fumettistico propriamente italico.

La possanza puramente fisica che rende Belzoni quasi invincibile, l’impeto con cui assale a mani nude più nemici, incurante se siano o non siano armati, fanno parte di una illustre tradizione fumettistica autoctona che parte dal Dick Fulmine di Baggioli e Cossio e confluisce nel Blek Macigno di EsseGesse e nel Pat Mac Ryan, pard del Tex di Bonelli.

Ma a differenza dei personaggi sopra citati, in fondo degli erculei bonaccioni, il Belzoni di Venturi non riesce a frenare la cieca violenza che alligna in qualche parte del suo animo. L’imbarazzante brutalità di Belzoni si dispiega quando (pp. 170-171) uccide impietosamente un nemico già menomato e vinto o quando (p. 181) massacra con la piccozza la iena che aveva osato aggredirlo.

Nonostante i toni romanzeschi conferiti al personaggio, Venturi non riesce ad evitare del tutto il rischio (cui si accennava prima) di svolgere una narrazione posticcia e pretestuosa nel tentativo di riportare, comunque e ad ogni costo, fatti salienti della vita dell’archeologo padovano, evidentemente ritenuti essenziali alla ricostruzione della sua vicenda umana.

botte ancora

Considerata la ricostruzione assolutamente fantasiosa del personaggio, sarebbe stato preferibile che l’autore avesse ricorso a dei contenuti narrativi più compiutamente collegati tra loro, anche se del tutto inventati, piuttosto che privilegiare episodi effettivamente accaduti, i quali però appaiono forzati inseriti nel contesto della narrazione. In altre parole, in un’opera romanzesca di tal genere, contraddistinta dai ritmi veloci e dalle libertà narrative, sarebbe stato opportuno dare esclusivo risalto al filone legato all’avventura vera e propria, piuttosto che agli elementi biografici.

I disegni di Walter Venturi

L’intero lavoro si avvantaggia notevolmente dalla coincidenza di autore, sceneggiatore e disegnatore.

neo magnus

Come accennato, le inquadrature sono veramente originali ed evocative. Probabilmente questo risultato è dovuto anche al fatto che non è stata necessaria una traduzione dei concetti nelle immagini, dal momento che la mente pensante è la medesima che opera nel disegno.
Il disegno è sempre nitidissimo e alcune scene effettivamente mozzano il fiato. Ci sono tavole che riprendono scenari grandiosi e ricchi di fascino con precisione millimetrica.

La mimica facciale dei personaggi è ottimamente tratteggiata e Venturi adegua le espressioni delle facce alle specificità di ciascun personaggio. La perizia del disegnatore enfatizza i suoi caratteri con quelle sfumature assieme realistiche e caricaturali che solo Magnus riusciva a regalare.

Il più delle volte, Belzoni si staglia come un gigante rapportato agli altri personaggi. A prima vista sembrerebbe una sfasatura delle proporzioni, dal momento che l’archeologo padovano era sì alto (oltre due metri), ma non gigantesco.
Più verosimilmente, questa dilatazione delle dimensioni, alla luce della coerenza di questa e delle altre figurazioni, non pare un errore, piuttosto una enfasi volutamente applicata dal disegnatore alla sua creatura.

Conclusione

In Italia, forse a causa di un morbo esterofilo o forse a seguito di un mai psicanalizzato complesso d’inferiorità, le figure autoctone non hanno avuto una degna traduzione fumettistica.

Magari non è solo un caso, ma espressione di riscatto nazionale, il fatto che la figura di Belzoni sia recuperata proprio adesso. In fondo, Belzoni fu un immigrato di lusso in una Londra ottocentesca, diversa ma non dissimile da quella in cui numerosi giovani “cervelli” italiani tentano oggi il proprio riscatto intellettuale abbandonando una patria che li ha trascurati.

Nilo

Ad ogni modo, risulta assolutamente godibile la ricostruzione fumettistica di questo personaggio ai più sconosciuto. L’opera di Venturi rappresenta un encomiabile quanto tardo (in relazione all’intera storia del fumetto italiano) recupero di luoghi e personaggi appartenenti alla tradizione italiana, che senza dubbio rappresentano un sostrato narrativo fecondissimo e ricco di suggestioni ancora tutte da esplorare.

Abbiamo parlato di:
Il grande Belzoni
Walter Venturi
Sergio Bonelli Editore, novembre 2013
272 pagine, brossurato, bianco e nero, – 9,50€

1 Commento

1 Commento

  1. Marilyn

    12 Dicembre 2013 a 12:32

    Bellissimo articolo! Grazie speciale Antonio Tripodi. Non si potrebbe fare un corso di laurea oltre al cinema e teatro anche fumetto?

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