
Anche le prime pagine della storia creano buone aspettative per il prosieguo del racconto: Barbara Baraldi sceglie di portare il lettore direttamente nell’azione, con un’adrenalinica scena che vede Dylan misteriosamente legato e imbavagliato all’interno del bagagliaio di un’auto, per poi proseguire con diverse sequenze in retrospezione molto ben ritmate, che concludono il prologo e danno inizio alla storia vera e propria.
Purtroppo, queste buone premesse non trovano riscontro nello svolgimento e nella risoluzione del racconto e, chiudendo il volume, la sensazione è che Perderai la testa si configuri come un’occasione sprecata dall’autrice.
Pure in presenza di idee affascinanti e qualche felice intuizione che, calate nella poetica dilandoghiana, avrebbero potuto portare alla riuscita del numero, il risultato finale le vede declinate in maniera poco convincente, proprio come, ci si perdoni il parallelo culinario, una ricetta mal realizzata può vanificare la bontà degli ingredienti di base.

Per esempio, fuggendo dal galà di beneficenza, Dylan è inseguito da quattro uomini e viene investito da un’auto con alla guida una ragazza che guidava guardando lo smartphone. Dylan riesce a rimanere attaccato al tettuccio dell’auto, e i quattro rimangono con un palmo di naso. Ma la ragazza non si accorge di nulla (sic!) e guida per chissà quanto tempo, fermandosi a un semaforo rosso e rimanendo stupita quando vede Dylan calarsi dal parabrezza e andare via come se nulla fosse successo.
Ma anche nell’incipit non si vede il motivo per cui Sophie debba rapire Dylan per convincerlo a lavorare per lei, e qui l'”errore” è doppio, perché alla mancanza di conseguenze di un gesto simile, che Dylan accetta subito dopo averlo contestato, si aggiunge in qualche modo una costruzione della trama che forza le caratteristiche del personaggio: è davvero necessario organizzare un rapimento per convincere Dylan a seguire una bella ragazza (e collega) a Parigi per indagare su un inspiegabile caso di decapitazioni, dopo che pure una misteriosa Maria Antonietta gli era già apparsa pregandolo di aiutarla?
Inoltre, sfugge il modo in cui Dylan debba aiutare Sophie, che riesce tranquillamente da sola a portare a termine il suo compito, visto che l’intervento in effetti risolutivo dell’indagatore dell’incubo nella scena lungo la Senna è del tutto incidentale e non prevedibile.
Queste e altre scene appaiono come una serie di eventi scollegati fra loro, che condividono sì i personaggi e le ambientazioni, e in alcuni casi sono anche riuscite come unità a sé stanti, ma cui manca la necessaria organicità affinché la storia funzioni.

Segnaliamo infine una svista nel rappresentare Erzsébet Báthory, deceduta nel 1614, che appare assieme ad Antonio Varelli con dei costumi di un paio di secoli dopo, che fa coppia con le due relative alla Gioconda. Nella prima, il re di Francia Francesco I nel fumetto diventa Federico I, poi si racconta di come Vincenzo Peruggia trafughi la Gioconda arrotolando la tela e nascondendola nella giacca, cosa impossibile visto che la Monna Lisa è dipinta su tavola.
Sono dettagli che nell’economia di una storia riuscita probabilmente non si sarebbero neppure notati, ma che invece risaltano nel contesto di un numero francamente dimenticabile.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog #385 – Perderai la testa
Barbara Baraldi, Emiliano Tanzillo
Sergio Bonelli Editore, settembre 2018
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,50 €
ISSN: 977112158000980385
