Coney Island: Gianfranco Manfredi ci porta al magico luna park

Coney Island: Gianfranco Manfredi ci porta al magico luna park

Abbiamo chiesto a Gianfranco Manfredi di rispondere a qualche domanda per presentarci "Coney Island", la nuova miniserie della Sergio Bonelli al debutto il prossimo 27 marzo.

G. ManfrediIl prossimo 27 marzo la Sergio Bonelli Editore farà debuttare in edicola il primo numero di una nuova collana mensile di mini-miniserie, contenenti storie di vario genere che si svilupperanno nell’arco di tre o quattro episodi.
Questa nuova serie di “romanzi a fumetti a puntate” esordirà con
Coney Island, storia scritta da Gianfranco Manfredi e disegnata dal duo Giuseppe Barbati & Bruno Ramella. Abbiamo raggiunto lo sceneggiatore per porgli qualche domanda che possa introdurre i lettori a questo nuovo progetto.

Coney-Island cover
Copertina di Coney Island #1 di Corrado Mastantuono

Salve, Gianfranco. Bentornato su Lo Spazio Bianco! Hai parlato di Coney Island come una sorta di “Boardwalk Empire che incontra Mandrake”. Da dove nasce questa storia e di cosa parla?
Il set principale è il grande parco dei divertimenti di Coney Island, dove negli anni 20, più di un milione e mezzo di cittadini di New York andavano a divertirsi durate il week end. Era la nascita dell’industria dello spettacolo di massa. Gli artisti del varietà venivano dal circo, ma ai grandi tendoni erano subentrati i teatri, o addirittura le piazze e i luoghi pubblici, dove si era esibito il grande Houdini. Gli spettacoli di magia erano al top. Negli stessi anni il cinema riempiva le sale e i gangster riempivano le strade. Il mix di ambienti che ho creato in questa serie, stava nelle cose, e mi interessava molto descriverlo, attraverso le vite incrociate di alcuni personaggi.

C’è un personaggio principale nella vicenda o è più una storia corale?
Entrambe le cose. Corale nel senso che i diversi personaggi si raccontano in prima persona e i loro racconti vanno a comporre una sorta di puzzle. Ma c’è un protagonista principale, ossia il mago Mr Frolic, che emerge nella storia come figura centrale. I suoi sono trucchi da palcoscenico oppure è un vero sensitivo dotato di facoltà paranormali? Questa è la stessa domanda che si ponevano gli appassionati di Houdini, anche se Frolic è un mago molto diverso, non un “escapista”, ma un illusionista che mescola numeri classici (colombi che compaiono dal nulla, levitazioni, lettura mentale) e numeri così sensazionali da far dubitare che si tratti di “trucchi”.

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Vignette tratte da Coney Island #1

In origine avevi presentato a Sergio Bonelli l’idea di Coney Island come proposta per una serie regolare. Questo forse significa che le avventure che racconti nei tre numeri della miniserie potrebbero non esaurirsi e che potrebbe esserci un seguito?
Lo spero, anche perché avevo già in mente degli sviluppi. Però l’epoca e il contesto sono interessanti in sé e dunque è anche possibile sviluppare un progetto affine e parallelo, non necessariamente legato a Coney Island.

Questo è l’ultimo lavoro del compianto Giuseppe Barbati. Hai lavorato tante volte in passato con la coppia Barbati & Ramella, ma hai definito quello su Coney Island il miglior lavoro di sempre: c’è stato un impegno particolare da parte di tutti coloro che sono stati coinvolti?
Ho la fotografia di Giuseppe sulla scrivania. Lo ricorderò sempre con grande affetto e rimpianto. Questo lavoro ha richiesto più di quattro anni di lavorazione. Quattro anni sono tanti. Ne succedono di cose, nella vita privata. Si attraversano anche momenti duri e il lavoro non è più un semplice lavoro, può anche diventare qualcosa cui ti aggrappi, per esprimere ciò che senti e per reagire creativamente a ben altre preoccupazioni. Per nessuna serie prima avevo fatto tante ricerche: di ambienti d’epoca, di costumi, di personaggi, di illustratori, di fotografi, biografie di divi dello spettacolo del tempo e di singoli gangster. Mi sono visto un’infinità di film dell’ultimo periodo del muto. Questa ricerca mi ha davvero appassionato. I lettori si troveranno di fronte a un vero e proprio romanzo. C’è molto da leggere, ma c’è anche molta azione. I disegnatori hanno dovuto affrontare problemi non semplici: rappresentare insieme la vita quotidiana dell’epoca con estrema precisione, e dare vita a situazioni molto mosse con lunghe sequenze d’azione a perdifiato. Un lavoro come questo è davvero unico. Non si può replicare a volontà. Con Barbati e Ramella ho collaborato dai tempi di Nick Raider e poi continuativamente con Magico Vento e altre serie. Credo che con questo lavoro abbiamo raggiunto un vertice espressivo frutto di tutti questi anni di lavoro comune.

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Vignette tratte da Coney Island #1

Coney Island inaugura un nuovo tipo di serie Bonelli composta da miniserie. È questo secondo te il presente/futuro del fumetto popolare, cioè serie pensate a stagioni, come la tua Adam Wild, Lukas e Orfani, oltre a serie di storie singole come Le Storie e questa nuova collana che inauguri con la tua storia?
Si è parlato di “stagioni” giusto per dare un riferimento ai lettori, ma i tempi di produzione dei telefilm sono molto diversi da quelli del fumetto. Per il fumetto, la definizione “stagioni” è piuttosto incongrua. Si tratta piuttosto di programmare un tot di numeri a seconda del tipo di racconto. Possono esserci graphic novel in due, tre, quattro, sei numeri o più (come nel caso di Volto Nascosto e Shanghai Devil) , cioè mini-serie o mini-mini serie. Inoltre possono esserci serie lunghe senza una scansione anno per anno, ma studiate un po’ “a fisarmonica”, dunque più adattabili a seconda di come i lettori le hanno accolte: più lettori ci sono e più la serie dura, in sostanza. E questo non lo si può decidere prima in modo troppo vincolante. I moduli sono variati e varieranno ancora, al di là delle definizioni del momento.

Intervista realizzata via mail il 12/03/2015

 

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