51 modi per salvarla: nel centro del terremoto

51 modi per salvarla: nel centro del terremoto

Una docufiction drammatica e cruda ambientata in una disastrata Tokyo illustra le conseguenze, ambientali ma anche psicologiche, di un ipotetico terremoto di magnitudo 8.1. In 5 volumi, uno dei migliori manga usciti negli ultimi mesi.

Chi come me è nato negli anni Settanta ha vissuto svariate stagioni dei film catastrofici: sembra che in determinati periodi la fiction si popoli di opere del genere, con un gruppo di persone di svariata estrazione le cui storie si intrecciano alla luce di una calamità naturale o provocata dall’uomo.
Abbiamo visto tante di quelle opere che seguono la stessa falsariga da aver incominciato ad approcciarci a esse con una certa aria di distaccato cinismo, fino ad arrivare a guardare con disincanto l’intero genere.

E proprio questo meccanismo mentale rende arduo spiegarmi (e spiegare a chi mi legge) perché 51 modi per salvarla (aldilà di un titolo che si rivela un’esca perfetta per il lettore curioso) abbia attirato il mio sguardo e, fino al finale, sia stato a mio avviso uno dei migliori manga usciti nell’ultimo periodo.

La risposta appare, di per sé, facile da enunciare: quando un’opera spicca sulle altre dello stesso genere, la differenza sta nell’esecuzione.

Ed è qui che casca l’asino: “esecuzione” è una parola facile da scrivere, e certamente evoca un’idea chiara nella mente di chi scrive e di chi legge; sfortunatamente una parola può sì evocare un’idea, ma non è detto che questa sia, per chi legge (o sente) la parola, la stessa idea che voleva essere trasmessa da chi la parola l’ha scritta (o detta). Urge, perciò, una spiegazione più dettagliata. Questo perché l’esecuzione è un processo che comprende termini architetturali (la strutturazione stessa di un’opera, l’enfasi su alcune delle sue componenti), costruttivi (trama, intreccio, costruzione e gestione dei personaggi e dei loro rapporti) e stilistici.
Il problema, quindi, non riguarda il concetto o il genere di un’opera, bensì il dettaglio.

E in dettaglio, cos’ha 51 modi di diverso dalla maggior parte dei film (libri/fumetti) di genere catastrofico che abbiamo fruito?

Personalmente ho individuato uno stacco netto nell’impostazione: 51 modi, l’odissea di un gruppo di sopravvissuti a un disastroso terremoto nella città di Tokyo, è una docufiction, e nella maggior parte dei casi lo dimostra pienamente. Gli autori mostrano il loro lavoro e la serietà delle ricerche che hanno compiuto. Ricordando le dichiarazioni (perlopiù vox populi, alcuni giornali hanno utilizzato l’esempio che segue quando hanno illustrato le tecniche di costruzione di un edificio veramente antisismico) durante il terremoto che ha devastato L’Aquila, secondo cui “in Giappone un terremoto del genere non avrebbe portato a una tragedia simile”, sono rimasto disorientato da come, con profusione di dettagli, 51 modi le smentisca.

Un disastro naturale non segue una progressione drammatica, e per quasi tutta la sua lunghezza neanche quest’opera, cosa che va a suo merito. Veniamo portati a spasso con un senso di orripilato ottundimento per una sguaiata serie di disgrazie senza seguire un’escalation, unica traccia di verticalità il graduale avvicinarsi dei protagonisti alla loro casa. Questo ci rende, in qualche modo, la tragedia più “vera”, assieme a un altro elemento: non ci viene fatta chiara solo la tragedia, ma l’insieme delle sue conseguenze. Le scosse di assestamento, gli incendi, ma anche l’intervento delle autorità (non esente dalle sue problematiche, particolarmente cruda la rappresentazione del sistema di medicina d’urgenza del triage e del peso a livello nervoso che comporta sia per i pazienti che per il personale medico), l’organizzazione spontanea dei sopravvissuti nel bene (la vigilanza, il mutuo soccorso) e nel male (gli “avvoltoi”, le bande di stupratori, le sette che approfittano dell’avvenimento per fare proselitismo), concorrono alla catastrofe tanto quanto la scossa che l’ha scatenata, e ne sono una componente essenziale.

Ha meriti anche la scrittura, benché, personalmente, credo che vada gradualmente peggiorando con l’avanzare dell’opera. Si comincia con un’immagine potente: una serie di personaggi, la maggior parte dei quali non vedremo nel seguito, si presenta con un cartello in cui sono riportati sogni e propositi per il futuro, ottimo espediente per rendere “vere” le loro figure e per dare una dimensione tangibile alla tragedia. Seguiremo le azioni di una manciata di questi, dei rimanenti non sapremo chi è sopravvissuto e chi è rimasto sotto un cumulo di macerie, chi ha ucciso o chi è stato ucciso. Quelli che resteranno sotto i riflettori non sono delle anonime sagome o degli insiemi di caratteristiche mischiate in modo da creare appeal al lettore, ma hanno delle psicologie e reazioni realistiche.

Del resto siamo, ricordiamolo, di fronte a un’opera di stampo documentaristico, quindi la crescita dei personaggi non è di tipo drammatico ma psicologico, e i meccanismi che intervengono nella mentalità del singolo e della folla sono spesso esplicitamente illustrati.
E forse è da questo elemento che arriva la mia delusione riguardo al finale dell’opera. Esso sembra infatti tradirne le premesse, con una scelta d’impatto drammatico  che stride con tutte le soluzioni adoperate fino a quel punto – a discolpa degli autori va detto che loro stessi riconoscono lo stacco rispetto al trattamento precedente all’interno dell’opera.

L’attenzione alle psicologie dei personaggi suggerisce un altro modo di classificare questo lavoro.
Guardando attentamente gli scaffali delle fumetterie dedicati ai manga, possiamo notare l’aumento di titoli che, pur non potendo definirsi propriamente dei gekiga1, ne hanno ricevuto benevole influenze. Una zona grigia popolata perlopiù da seinen e josei2 che si distacca dalla media dei titoli proponendo personaggi meglio definiti e sviluppi meno banali rispetto alla gran parte dei fumetti action o sentimentali proposti dal mercato. Ne sono ottimi esempi i titoli di Mohiro Kito, o, dalle parti della commedia, un lavoro come Benvenuti alla NHK, o ancora un action come Battle Royale, e tanti ce ne stiamo perdendo, come le cose di Kouji Mori (l’ispirato Holyland, da cui è stato tratto un drama, vale a dire una serie televisiva “dal vivo”, e Suicide Island) nell’ambito action, o un’opera sentimentale dagli sviluppi non banali come Toradora, o la satira di Sayonara Zetsubou Sensei.

Avere in circolazione in lingua italiana, con 51 modi, un titolo appartenente a questa zona grigia è sicuramente un segnale positivo e incoraggiante.

Abbiamo parlato di:
51 modi per salvarla (opera in 5 volumi)
Usamaru Furuya (con la consulenza di Minoru Watanabe)
traduzione di Federica Lippi
Kappa Edizioni – Ronin Manga, 2010
192 pagine, brossurato, bianco e nero – 5,90€ cadauno


  1. il termine equivale, a grandi linee, al nostro graphic novel, nell’accezione che gli viene attualmente data 

  2. gli equivalenti di shonen e shojo per lettori più cresciuti. Inizialmente filoni del gekiga, ora sono intesi in maniera più sfumata 

1 Commento

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  1. Domenico

    18 Marzo 2011 a 16:55

    Mai così utile come oggi……-___-

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