Per una volta una recensione comincia dal contenitore anziché dal contenuto, dall’oggetto libro che spesso non trova spazio in un articolo di critica fumettistica, sacrificato in onore della storia e delle tavole disegnate che contiene.
Ma soffermarsi sulla veste e sulla cura editoriale di un libro è importante – non è operazione da e rivolta a puri collezionisti – soprattutto quando il volume raccoglie storie già edite e dunque diventa fondamentale anche la forma materiale con cui esse vengono ripresentate ai lettori nella misura in cui consente di capire la natura e gli obiettivi della riedizione.
Dal contenitore…
Chanbara, volume edito da Bao che raccoglie due avventure originariamente comparse sui numeri #2 e #15 della collana bonelliana Le Storie, è prima di tutto un oggetto bello da osservare e da tenere in mano.
La copertina cartonata, dove su uno sfondo celeste che sfuma verso il bianco compare una scritta verticale in ideogrammi giapponesi, è arricchita da una splendida sovraccoperta in pergamena (Fedrigoni da 110 gr.), sulla quale compare l’immagine della protagonista della seconda storia del volume.
Anche la carta usata per gli interni (Magno Satin da 115 gr.) è di ottima qualità e perfettamente adatta alla restituzione delle tavole disegnate. A tutto questo si aggiunge una cura per il dettaglio molto profonda: prova ne sia la presenza del titolo Chanbara posto in alto su ogni pagina sinistra del volume a cui fa da contraltare in ogni pagina destra il titolo di ognuna dei due racconti.
Sfogliando le prime pagine, ci si imbatte nel sottotitolo del libro, La via del samurai, che spiega chiaramente l’ambientazione delle due storie contenute – La redenzione del samurai e I fiori del massacro – entrambe scritte da Roberto Recchioni e illustrate da Andrea Accardi.
Rispetto al classico (ma ormai neanche più tanto) bianco e nero della prima edizione bonelliana, i due racconti si presentano qui arricchiti del colore grazie all’apporto, rispettivamente, di Stefano Simeone e Luca Bertelè. È questa l’unica seppur fondamentale differenza rispetto alla versione comparsa su Le Storie, poiché il lettering è stato mantenuto quello originale.
… al contenuto
Al tempo della prima uscita in edicola delle due storie, Lo Spazio Bianco pubblicò due esaurienti recensioni, la prima a firma di Valerio Stivè e la seconda scritta da Antonio Tripodi, che trovano chi scrive in pieno accordo riguardo l’analisi critica lì svolta e alle quali si rimanda per un approfondimento dei contenuti peculiari dei due fumetti, sia dal punto di vista narrativo che grafico.
Indubbiamente si tratta di due dei migliori episodi comparsi sulla collana mensile bonelliana e anche due delle migliori prove autoriali di Recchioni e Accardi, tanto da far decidere alla SBE di mettere in cantiere serie (o miniserie) di prossima uscita dedicata proprio al mondo dei samurai.
Nel presente articolo ci si vorrebbe piuttosto soffermare su due aspetti che emergono come peculiari e strettamente legati alla lettura di questa edizione da libreria: l’uso del colore e l’evoluzione artistica dei due autori dalla prima alla seconda storia.
Colori e sentimento
Il compito che si sono trovati davanti Simeone e Bertelè nel momento in cui gli è stata affidata la colorazione delle tavole di Accardi, non deve essere stato semplice.
La ricchezza dei disegni e l’accuratezza del dettaglio profusa in ogni vignetta dal disegnatore richiedevano un approccio raffinato all’inserimento del colore, per non sovraccaricare le pagine con una patina cromatica troppo pesante che rendesse disegni tanto definiti troppo stucchevoli all’occhio. O che anche impoverisse e in parte annullasse il lavoro svolto da Accardi con pennini e china, che con i suoi intarsi di tessiture, sfruttava la luce sia in senso pittorico che plastico.
I due coloristi hanno svolto molto bene il proprio lavoro, concentrandosi entrambi in special modo sulle variazioni e i cambi di registro cromatici all’interno delle pagine e delle sequenze, in modo da assecondare gli analoghi mutamenti di registro narrativo che si succedono all’interno delle due storie.
Simeone ne La redenzione del samurai, gioca con pochi elementi della tavolozza, regalando alle pagine spesso una semplice bicromia o tricromia, declinati sui toni e le sfumature più adatte a trasmettere gli stati d’animo dei protagonisti e le sensazioni da far percepire ai lettori.
Indicativi di questo lavoro, i toni del rosa e dell’azzurro che accompagnano la prima tavola della storia e la sequenza della battaglia che si svolge nella foresta all’inizio del racconto; come anche lo spostamento del tono cromatico verso la gamma dei rossi accesi e dei gialli per le scene di battaglia e finanche la colorazione delle stesse onomatopee per renderle ancora di più degli elementi grafici narrativi al pari delle immagini.
In generale Stefano Simeone ha operato quasi stendendo una sorta di velo cromatico molto leggero su tutte le pagine, concentrandosi sulla variazione delle tonalità.
Luca Bertelè ne I fiori del massacro opta per un tocco più deciso rispetto al collega, con colori più pieni ma sempre scegliendo di limitare la gamma cromatica, affidandosi spesso a contrasti di colore anche netti, che però rimangono efficacemente limitati, come per Simeone, in una scala spesso tricroma che arricchisce i disegni senza soffocarli.
Anche Bertelè si affida ai toni del rosso, del giallo e dell’arancione per le sequenze di scontro, accendendo le immagini di colori vividi quando si accendono gli animi dei personaggi, e arricchendo anche lui le scene con la colorazione delle onomatopee, valorizzando questo elemento grammaticale del linguaggio dei manga, al quale chiaramente entrambe le storie sono debitrici.
Grazie al lavoro svolto da entrambi i coloristi, i ricercati disegni di Andrea Accardi, la cura profusa nella resa dei paesaggi e delle ambientazioni come quella messa nella cura del dettaglio dell’abbigliamento dei protagonisti, fanno sì che le tavole assomiglino ancora di più a delle stampe giapponesi del ‘700 e dell’800, alle quali indubitamente il disegnatore si è ispirato senza tuttavia cadere nel tranello della resa manieristica, bensì mettendosi sempre a disposizione delle necessità narrative imposte dalle storie.
Come si cambia…
La lettura in sequenza delle due storie, in origine apparse a poco più di un anno di distanza l’una dall’altra, ma entrambe legate dal filo rosso della medesima ambientazione e della presenza fondamentale di un personaggio (il vecchio guerriero cieco Ichi), permette di rendersi conto dell’evoluzione stilistica degli autori.
Da un punto di vista narrativo, Roberto Recchioni dalla prima alla seconda avventura raffina la sua scrittura in un lavoro di sintesi anche nei dialoghi per cercare di riecheggiare, per quanto possibile, gli haiku giapponesi.
Ne I fiori del massacro l’autore romano riesce ad accantonare l’uso del citazionismo pop di stampo occidentale e alcune sequenze di chiara matrice cinematografica presenti ne La redenzione del samurai, per concentrarsi in una narrazione dal forte sapore teatrale, quasi una rappresentazione su carta di una tragedia di stampo orientale.
Recchioni fa tutto questo senza comunque rinunciare al ritmo e alla dinamicità narrativa delle sequenze degli scontri e delle battaglie che in entrambe le storie si alternano e fanno da contrappunto a momenti più riflessivi e lenti.
Anche Andrea Accardi segue un percorso “evolutivo” tra la prima e la seconda storia, nel solco di un proprio stile perfettamente riconoscibile.
In nessuna tavola manca mai l’accuratezza e l’amore per il particolare e se già molte tavole da La redenzione del samurai sembrano veramente vedere muoversi i personaggi su sfondi tratti da vedute paesaggistiche giapponesi, ne I fiori la sensazione forte che ci viene trasmessa (ancora di più grazie alla colorazione) è quella che il disegnatore abbia volutamente realizzato una serie di quinte teatrali quali scenografia della vicenda, donando loro con l’uso del carboncino la matericità di paesaggi disegnati su carta di riso.
Allo stesso tempo, com’è efficace nella raffinatezza della resa dei suddetti elementi, Accardi sembra a suo agio nella cineticità degli scontri, con l’uso di onomatopee e linee cinetiche che richiamano gli stilemi manga “contaminati” però dal segno personale dell’autore, mai manierista neanche in questo ultimo caso.
Ad arricchire ulteriormente il volume, troviamo due splendide immagini a doppia pagina realizzate da Accardi quale sorta di copertina interna per ciascuna delle due storie e, in coda, una galleria di schizzi e disegni, commentati da Recchioni, che rivelano alcuni dietro le quinte della lavorazione delle storie, aprendo contemporaneamente ai già menzionati sviluppi futuri di questa serie di racconti di ispirazione giapponese.
Infine, quale ultimo contenuto speciale, Bao mette a disposizione la possibilità di scaricare in pdf la sceneggiatura completa di Recchioni di entrambe le storie, con i preliminari di lavorazione a matita di Accardi: tutto ciò per permettere ai lettori di approfondire e rendersi conto di quale sia il lavoro dietro la realizzazione di un albo a fumetti.
Abbiamo parlato di:
Chanbara – La via del samurai
Roberto Recchioni, Andrea Accardi, Stefano Simeone, Luca Bertelè
Bao Pub., 2015
255 pagine, cartonato, colori, 25,00 €
ISBN: 9788865435274