Nell’introduzione de Il sesto Dalai Lama, fumetto pubblicato da Oblomov Edizioni, si legge: “Il Dalai Lama, maestro supremo del buddhismo tibetano, è anche il capo politico del Tibet“.
La storia narrata in questo primo volume è ambientata alla fine del diciassettesimo secolo, quando il Tibet è dominato dal Dalai Khan mongolo, la situazione socio-politica è piuttosto ingarbugliata e il quinto Dalai Lama è morto da alcuni anni. Il filo conduttore del fumetto sceneggiato da Guo Qiang per i disegni e i colori di Zhao Ze diventa allora la ricerca di un successore che non solo funga da punto di riferimento teologico-culturale, ma soprattutto sappia dirimere le questioni più spinose.
Protagonista di un racconto che non perde di vista la dimensione corale è Lozang Rinchen, uno schiavo adolescente, cresciuto all’insegna di umiltà, genuinità e buona educazione. Gli insegnamenti di base hanno trovato terreno fertile in un’indole docile, attenta alle piccole cose e protesa all’eroismo nella declinazione dello spontaneo sacrificio personale in cambio della salvezza del più debole.
Il giovane è un ponte tra due anime costantemente in contrasto, dal momento che si trova a rivestire il ruolo di inconsapevole mediatore tra molteplici opposizioni quali città e campagna, gioventù e maturità, ricchezza e povertà, grandezza e marginalità, individuo e comunità.
Lozang Rinchen vive a stretto contatto con la natura, in una ridente vallata circondata dai monti, bagnata da acque incontaminate e popolata da orsi e altri animali. Si reca nelle sfarzose città dominate dai templi buddhisti soltanto in occasione delle feste religiose, ma tende a distaccarsi dalla compagnia dei coetanei per guardare lontano e forse pensare, con malinconia, all’esistenza semplice che è solito condurre nel locus amoenus. Ricorda Giacomo Leopardi sul Monte Tabor, con gli edifici dalle elaboratissime architetture, restituite con cura dalle matite, a fare le veci della siepe “che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude“.
Sebbene sia uno schiavo e quindi sia povero, il ragazzo fatica a rinunciare alla libertà di cui gode la sua anima: non bastano le gerarchie per imbrigliarne lo spirito, i riti religiosi non lo impressionano e restano sullo sfondo, del tutto inferiori nella portata rispetto a ciò che è naturale, inalterabile per l’uomo. Allora, più delle maschere tradizionali, delle danze e delle variopinte decorazioni di cui la civiltà abbonda, conta l’inesorabile alternarsi delle stagioni che porta con sé i continui mutamenti del cielo, la cui presenza costante ci chiede di considerarlo come un vero personaggio della vicenda.
La volta celeste irraggiungibile è lo specchio dell’animo dei giovani che popolano il racconto: la loro purezza, la loro capacità di guardare oltre lo status nella comunità, azzerando le differenze nel nome dell’amicizia sincera, si scontra con il mondo degli adulti, un mondo corrotto dagli intrighi politici, dalla doppiezza del potere e dalla violenza. Per raggiungere il vertice della piramide sociale diventa lecito condannare un innocente al rogo; per tentare di assicurarsi l’indipendenza si può insabbiare la notizia della morte del quinto Dalai Lama e “guidare” con mano invisibile il processo di reincarnazione che presiede la scelta del successore.
Questi temi, tanto classici quanto importanti, sono veicolati da poche linee di dialogo semplici e immediate, più elaborate solo quando si rende necessaria la spiegazione del contesto storico-antropologico. Si riscontra in entrambi i casi la pacatezza di un linguaggio piano, quasi neutro, che muta in un’unica occasione, quando l’azione prende il sopravvento con la messa in scena di uno scontro armato da cui scaturisce un rapido inseguimento. Come a marcare il passaggio dalla tranquillità alla rottura dell’equilibrio, le battute ricordano quelle degli action movie statunitensi.
In generale, però, è il silenzio la vera voce del libro: in un’estetica che privilegia la dimensione orizzontale concedendo alcune deroghe quali splash-page dal forte impatto, l’attenzione si sofferma sulla quantità rilevante di vignette mute, nelle quali sono protagoniste le piccole cose, visualizzate con occhio sensibile da Zhao Ze. Con Il sesto Dalai Lama possiamo respirare paesaggi alieni rispetto alla nostra quotidianità fatta di urbanizzazione feroce e ritmi forsennati; la narrazione rarefatta dà importanza a dettagli e sfumature valorizzati dalle tonalità tenui degli acquerelli: il chiaro di luna e lo scintillio delle stelle sostituiti dall’alba rosata, gli alberi in fiore, i monti innevati, le gradazioni del verde delle pianure, gli intarsi dei mobili, le finezze delle costruzioni magniloquenti, le fogge degli abiti…
Anche le emozioni riescono a ritagliarsi la spazio che meritano, palesandosi in particolare sui volti dei più giovani, forse gli unici che possono permettersi di lasciare trasparire ciò che provano. Il segno sottile delinea visi tondi con orecchie appuntite in modo singolare e occhi grandi che si riducono a fessure in presenza della paura o della gioia che obbliga a spalancare la bocca. Degli adulti, soprattutto dei Mongoli, colpiscono le barbe lunghe ma attentamente modellate che adornano le fisionomie solcate dalle fatiche di combattimenti e questioni di palazzo.
Infine, si segnala la presenza di un flashback colorato con tonalità tendenti al marrone e al grigio e l’inserimento, in concomitanza con il passaggio da un capitolo all’altro, di alcune illustrazioni a tutta pagina. Vi sono sintetizzate sequenze rilevanti della storia senza un cambio di stile, ma con la manifesta volontà di arrivare al pubblico più con la potenza dell’immagine che con la soavità che contraddistingue buona parte dell’opera.
Abbiamo parlato di:
Il sesto Dalai Lama #1
Guo Qiang, Zhao Ze
Traduzione di Martina Caschera
Oblomov Edizioni, 2019
128 pagine, brossurato, colori – 20,00 €
ISBN: 9788885621619