Ark

Ark

Alessandro Rak, grafica Andrea Scappetta Grifo Edizioni, 2004 - 128pp. B./col. - 15euro

Copertina di ArkLe Edizioni Grifo/Edizioni Di, senza clamori o particolare enfasi, stanno mettendo in pratica un’attenta e meritevole valorizzazione di autori italiani provenienti dalle autoproduzioni, o in ogni modo poco conosciuti: Maurizio Rosenzweig con il suo Davide Golia e Superanarchico di Maurizio Manfredi sono i due titoli in catalogo che testimoniano questa tendenza. La nuova scommessa dell’editore è l’opera prima (o quasi, lo si è visto su uno Schizzo Immagini) di Alessandro Rak, con il contributo per il design ed il lettering di Andrea Scappetta.

L’anagrammatico Ark (difficile vedere un caso nel suo nome), protagonista di questo volume, ammicca in copertina con i suoi occhi scuri ritratti a colpi di pennello su uno sfondo totalmente bianco. Alternando un fitto e nervoso tratteggio in nero ed un uso caldo ed equilibrato dei colori, l’autore ci guida lungo il percorso irto di metafore di questo strano uomo senza naso e con la sigaretta sempre in bocca. Sorta di ectoplasmatico eroe disilluso, Ark espone direttamente e sfrontatamente al lettore, partecipe e depositario, i suoi pensieri, la sua crescente delusione verso tutto e tutti, l’addensarsi della sua ira.
Quanto dell’autore è presente nel personaggio? I toni tanto personali, intensi e schietti, ci portano a pensare che il legame sia ben maggiore di una semplice condivisione di lettere del nome.

Tutto ha inizio con un abbandono, come un arrivo al contrario.

Città sozza, lurida, SCHIFOSA. Così le dissi…
… e poi, OGNUNO per la sua STRADA…
Lei chiassosa, poi muta, comunque indifferente.
IO distrutto, affranto.

Ark, ed il suo cuoreLa città, la moltitudine che ti abbandona, ti ignora, ti teme e per questo ti isola. Città nella cui solitudine non puoi nemmeno trovare pace, perché non è l’isolamento come scelta, non è la quiete come benedizione, ma è piuttosto prigione e condanna: così Ark sceglie la libertà, anche se arrivati a certe condizioni, la scelta è un obbligo.
La libertà permette di essere se stessi con la proprio crudeltà e la propria miseria d’animo, di sedersi a parlare con la morte come con un vecchio amico, di offendere i poeti che rubano il romanticismo agli altri come fosse loro di diritto, e solo loro; di uccidere per mangiare senza rimorsi, di ridere dei propri limiti troppo spesso accettati solo per seguire le masse, di parlare e di tacere quando e quanto vogliamo.
Eppure, nel finale il disprezzo di Ark finisce per colpire anche sé stesso, la sua paura mascherata da coraggio. Disprezzo per essere fuggito, per essersi chiuso nella propria armatura di rifiuto di fronte alla paura degli altri, per aver pensato di poter ignorare la miseria della condizione umana, e di esserne superiore. Sul cadavere scheletrico della grassa e rigonfia città, Ark offre al letture il proprio cuore, strappato dal suo stesso petto.

La mia vergogna, i miei imbarazzi, il mio orgoglio, i miei pensieri più ridicoli……tutto vostro.
ABBIATENE CURA.

Il percorso fantastico ed a tratti grottesco, calato in tavole di un infinito bianco, interrotto solamente dal colore di altri spazi senza fine come la notte o il mare, è un percorso intimo spontaneamente doloroso e vibrante. Senza che vi sia una storia vera e propria intesa come sviluppo di eventi, l’opera si muove lungo piccoli episodi e riflessioni solo marginalmente legate a quelle precedenti o a quelle successive.

C’é bisogno di fumetti così, fumetti colti senza per questo sembrare pretenziosamente alla ricerca dell’ignoranza del lettore, fumetti che parlano di sentimenti che non siano solamente amore o amicizia, tematiche spesso abusate, ma che sappiano parlare di ossessioni e paure senza vergogna.

Il costo, certo troppo elevato, in un certo qual modo è il prezzo da pagare nella speranza che in futuro aumenti la richiesta, e l’offerta, di fumetti di questo genere.

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