Anche i fumettisti pagano le tasse: intervista a Tonio Vinci

Anche i fumettisti pagano le tasse: intervista a Tonio Vinci

Davide Calì incontra Tonio Vinci per parlare con lui del manuale "Fumetti e Tasse" edito da NPE.

Ebbene sì, se ancora pensavate che quello dei fumetti fosse il regno dei balocchi, arriva un libro di Tonio Vinci a disilluderci: Fumetti e Tasse.
Scherzi a parte, l’autore ha messo insieme una serie di utilissime informazioni base in un manuale che parla di fiscalità, di rendiconti, diritti d’autore, previdenza sociale e un sacco di altre cosette alle quali spesso uno non pensa mentre disegna, ma che sono fondamentali nel momento in cui si decide di intraprendere il fumetto da professionisti, evitando gli errori e soprattutto alcuni falsi miti ancora molto diffusi.

Ho incontrato Tonio Vinci e gli ho fatto qualche domanda, giusto per stuzzicarlo.

Ciao Tonio, innanzi tutto, come ti è venuto in mente di affrontare il tema della fiscalità per i fumettisti?
Sono laureato in Economia e ho svolto il tirocinio per fare il commercialista (non sono iscritto all’Albo) e ho lavorato per circa dieci anni all’interno degli studi di commercialisti. Quando ho iniziato a pubblicare fumetti ho studiato quale fosse la modalità più idonea e fiscalmente conveniente per giustificare in dichiarazione dei redditi il mio compenso e mi sono fatto un’idea precisa (in riferimento alla normativa). Poi ho iniziato a frequentare le fiere da fumettista e spesso ero seduto allo stesso tavolo con gli autori che ammiravo e che leggevo prima di diventare autore a mia volta. Quando a cena veniva fuori l’argomento fiscale notavo una poca conoscenza della materia da parte di questi grandi professionisti (alcune volte davvero importanti), che il loro consulente gli aveva indicato in maniera, non dico sbagliata, ma non maggiormente idonea a gestire una creazione di un’opera di ingegno (diciamo nella maggioranza dei casi si trattava di fumetti, per dirlo in maniera semplice).
Io non proferivo assolutamente parola sul fatto che ci fossero soluzioni fiscali diverse, non volevo “insegnare” nulla a questi autori immensi, ascoltavo le loro osservazioni “non completamente esatte” sapendo che c’erano modalità migliori ma le tenevo per me, non ritenevo giusto spiegare cose a chi non te le chiedeva, stavo al mio posto. Poi i dialoghi su questo modo di utilizzare la fiscalità sono diventati sempre più frequenti ed ho capito che “l’ignoranza” su questo argomento era più diffusa di quello che pensavo.
Il libro Fumetti e Tasse è una raccolta degli articoli che ho scritto in diversi anni sulla rivista Scuola di Fumetto, ampliata con inediti. Con Edizioni Npe abbiamo pensato di creare una fonte sempre disponibile per chi ha dubbi o paure sull’argomento.

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In Francia esiste una Charte des auteurs che regolamenta, o quantomeno suggerisce comportamenti, nella relazione tra autori e case editrici, proponendo anche tariffe fisse per alcune attività. Pensi che ci sarà mai qualcosa di simile anche in Italia?
No, non penso ci sarà! O se dovessero farla avrà minima efficacia o sarà presa poco in considerazione. Conosco poco e solo per aver aiutato diversi autori che lavoravano con la Francia, la fiscalità e la burocrazia francese, da quello che mi pare di aver capito non è poi più snella e risoluta di quella italiana. Quello che, invece, conosco per letture e per narrazione tradizionale è la partecipazione, l’unione di intenti, il consociativismo e lo sciopero tipico del popolo francese che, almeno da fuori, fa sembrare tutti tenacemente legati per la lotta dei propri diritti. Altra cosa è poi se questo porti dei risultati e alla soluzione dei problemi, leggendo non sempre penso sia così ma almeno ci sono degli intenti. Adesso non vorrei essere impopolare o addirittura banale ma l’italiano, in linea molto generica, è infinitamente più individualista, sempre pronto a risolvere il proprio problema, atavicamente intento a lottare per la propria singola sopravvivenza e questo porta spesso ad accettare dei compensi bassissimi e a prendere le briciole che gli danno per fame.
Devo per forza citare l’Associazione Autori di Immagini che ha patrocinato il nostro libro con cui ho avuto modo di collaborare e che ho visto essere formata da autori che in maniera totalmente volontaria cercano di arginare questo individualismo di cui è intriso l’italiano. Sono pronti a dare consigli, a fornire documentazione, modelli di contratti e a rendere consapevole l’autore della sua svalutazione artistica. Senza dimenticare che sono un interlocutore laddove le istituzioni aprono un dialogo per codificare o ufficializzare una professione. Purtroppo, credo non basti, credo che le loro forze siano insufficienti per attuare un cambiamento nella mentalità professionale italiana ma è pur sempre uno scoglio sicuro a cui aggrapparsi. Ho avuto modo di vedere altre associazioni o professionisti che dovrebbero aiutare in questo ambito e non mi hanno impressionato per la loro efficacia e genuinità.

Sempre in Francia, molti fumettisti stanno abbandonando la professione per via degli anticipi troppo bassi e di un’editoria speculativa che investe nelle serie, ma se non vendono abbastanza alla prima uscita, le abbandona. E in Italia? Come vanno le cose secondo te? Si vive facendo fumetti?
Questa è una domanda che ha bisogno di una risposta articolata: il mercato, anche in Italia è davvero complesso, se tu poni questa domanda a chi disegna Dylan Dog ti risponderanno positivamente (anche se forse con contrazioni economiche), lo stesso a chi disegna per Disney, per Astorina, diciamo per il seriale. Se fai la stessa domanda a Zerocalcare, Gipi, Bevilacqua, Sio ti risponderanno positivamente. Per tanti altri dipende cosa intendi per “fare fumetti”, che io intendo come tutto quello che gravita intorno al Fumetto. Io quest’anno ho disegnato tre libri e ne ho scritti due, ho avuto degli anticipi relativamente bassi per ognuno (per un libro invece lo ritengo alto) ma sommandoli ho avuto dei compensi che mi hanno fatto vivere economicamente per alcuni mesi, poi sto disegnando della tavole per una fiaba per “commissione” e vengo pagato bene e a pagina, poi ho disegnato cinquanta etichette  di vino che mi hanno dato un compenso pari ai libri, poi ho fatto lezione in un carcere, il laboratorio delle Tasse, il tutto mi ha fatto guadagnare una cifra pari a quando lavoravo negli studi. Quindi posso dire che io sono un autore non famoso ma che vive con i disegni. Dico questo perché in Italia c’è un pudore e una vergogna sui guadagni: non si può dire che guadagni. Invece bisogna parlare di questo, solo così diventa ovvio che se mi paghi disegno, altrimenti no! Andrea Pazienza diceva che mentre disegnava non pensava mai al soldo, ci pensava prima e dopo aver disegnato, il che mi sembra un concetto geniale che riassume l’onestà nel disegno e l’attenzione al doveroso compenso dopo averlo consegnato.
In definitiva, per rispondere alla tua domanda, si vive con i fumetti in Italia se ti dai da fare, se cerchi, se ti muovi, se lavori bene, se spazi in altri ambiti; io penso sempre ad un idraulico che per un periodo sistema pochi gabinetti ma gli chiedono spesso di riparare i condizionatori, quindi lui fa quello e vive bene.

Secondo te chi oggi si avvicina al fumetto quante speranze ha di farne una professione vera e propria?
A questa domanda davvero non ti so rispondere perché io per primo non credevo che per me sarebbe diventata una professione, mi sono stupito di come gli eventi mi hanno portato a diventare un professionista. Io dico ai ragazzi che la cosa fondamentale è l’urgenza, devono davvero non poter fare altro che questo, devono avere un’ossessione, non dovrebbero poter vivere senza disegnare, altrimenti gli dico sempre di “lavorare alle poste” (e non ci sarebbe nulla di male). Sono anche un tipo molto concreto e consiglio sempre di tenersi un “piano B” nel frattempo, imparare a fare i caffè al Bar, magari part- time, studiare lingue, cercare un modo per vivere mentre trovano la propria strada come autori. Come posso dire io ad un ragazzo di non farlo, dissuaderlo, dirgli che non ce la farà mai se io invece ogni giorno vivo grazie al disegno?! Posso dire che sarà molto dura, non illuderlo mai ma poi sta tutto a lui. Come mi pare di aver sentito dire anche a te il mondo editoriale è grande, si può pubblicare in  Nuova Zelanda, in Argentina, in Belgio, le possibilità di fare questa professione sono nulle ma anche illimitate.

In generale, in Italia, la scuola non è famosa per sfornare persone che poi vanno lavorare (almeno seguendo la specializzazione che hanno studiato). E le scuole di fumetto? Fanno eccezione? Secondo te sono utili per chi vuole intraprendere il fumetto come professione?
Io lavoro alla Scuola Internazionale di Comics di Pescara e sono uno stretto collaboratore da molti anni e sarei troppo fazioso se ti dicessi quanto servono, come sono utili e belle.  Preferisco riportarti la mia storia: abitavo a Reggio Emilia e passeggiando ho visto la sede locale della Scuola Internazionale di Comics, ho visto che c’era un corso serale, dalle 18:00 alle 22:00 se ricordo bene, mi sono iscritto ma proprio come hobby (parola che odio). Quando ho iniziato a frequentarla mi si è spalancato un universo, ero diventato una spugna, domandavo, assorbivo, imparavo ma poi la bellezza di conoscere Marco Nizzoli, Giuseppe Camuncoli, Matteo Scalera, tutte persone che vivevano grazie al Fumetto mi dava una fiducia e una consapevolezza diversa. Tecnicamente poi mai e dico MAI avrei imparato la prospettiva senza la scuola, mai avrei usato il pennello per la china. A me non solo la scuola è servita ma mi ha cambiato la vita, grazie alla scuola non sto tutte le mattine in un ufficio del catasto (per citare quello che diceva Hugo Pratt nelle sue interviste), disegno e pubblico le storie che voglio, giro l’Italia, quella scuola mi ha “portato in carcere” che è una delle esperienze più incredibili e belle della mia vita! Questo non vale per tutti: Camuncoli credo non abbia frequentato la scuola, ha fatto solo un breve corso, eppure la prospettiva la conosce benissimo. Diciamo che io parlo per me e io senza la Scuola Internazionale di Comics non sarei mai diventato un autore. Con lo stesso spirito genuino io insegno e cerco di trasmettere questo entusiasmo ai ragazzi.

Fumetti E Tasse 1

Quali doti dovrebbe avere, secondo te, qualcuno che oggi desidera fare fumetti da professionista?
Bellissima domanda. L’aspetto tecnico è un elemento fondamentale, in base al mercato a cui ti rivolgi devi essere professionalmente maturo, è un mestiere totalmente meritocratico, se non sei bravo lo zio assessore non ti fa lavorare (come invece avviene in centinaia di altre professioni in Italia), certo potrebbe farti fare un fumetto didattico finanziato dalla Regione ma se non sei bravo di quel lavoro puoi solo vergognarti e finisce lì! La capacità professionale è la parte più ovvia, quella che magari tutti vedono ma la parte che nessuno vede e che non vedevo nemmeno io prima è il sapersi gestire. Io vengo da un Sud che per moltissimi anni (adesso, soprattutto in Puglia, è cambiato) non ha conosciuto la parola “imprenditorialità” e quelle poche volte veniva subito associata negativamente a Berlusconi, alla destra, alla cattiveria. Invece l’imprenditorialità è una cosa stupenda, fa in modo che tu possa credere in te, possa riuscire a capire che puoi fare molte cose se sei bravo, organizzato, attento. Chi non ha il padre imprenditore non verrà mai reso partecipe di questa cosa, ti diranno di trovarti un “impiego” e basta! Io l’imprenditoria la farei studiare a scuola. Quando ho capito che sarei stato un bravo professionista se avessi imparato a gestire il mio lavoro ho iniziato ad avere i primi risultati e la cosa entusiasmante è che ricevi le risposte in maniera diretta dal tuo lavoro, vieni valutato per quello che sei: se lavori bene sei tu ad ottenere risvolti positivi e non hai un capo che (lasciatemelo dire) il più delle volte in Italia non sa fare il tuo lavoro, ti spreme e guadagna su di te.
Io oggi la dote che consiglierei a chi vuole fare il fumettista è essere preparato tecnicamente e essere un buon imprenditore di sè stesso.

Oggi, tutti parlano delle AI come una minaccia per chi svolge professioni creative, inclusi sceneggiatori e disegnatori di fumetti. Pensi che il pericolo sia reale?
Anche questa è una narrazione che mi annoia, non perché non possa essere un problema, ho letto a fondo quello che può fare ma non riesco a preoccuparmi. Forse perché amo troppo disegnare e mi concentro su quello o anche perché per il mio carattere se dovessi perdere ogni grande opportunità di guadagno per via delle AI cercherei altri modi per vivere e non smetterei mai di disegnare. Mi sembra come con la musica: dicono che per le piattaforme musicali i guadagni dei musicisti si siano ridotti notevolmente ma la musica no. Vedo grande musica in giro, non voglio fare nomi ma non credo che la tecnologia possa cancellare l’emozione che dà la musica o un disegno o un racconto fatto dall’uomo. Mio figlio che ha 11 anni compone con garage band ma io gli dico che non lo fa lui ma fa tutto il programma, gli crea l’arpeggio, poi fa la rullata di batteria, lui mette solo insieme dei bottoni. Ho visto che ha iniziato a suonare lui, cerca di fare la pennata di chitarra nel programma, il risultato è molto peggiore ma lo capisce anche lui che c’è una differenza tra creare e fare finta. Poi se c’è da combattere o unirsi contro l’utilizzo illecito o immorale di AI sono il primo a farlo ma mi sembra come una cosa talmente idiota dire di aver fatto una illustrazione fantastica quando non hai fatto nulla che mi sento di perdere del tempo se devo spiegare perché.

Ma i fumettisti ci vanno in pensione?
I fumettisti che lavorano senza partita iva hanno un grande privilegio, possono DECIDERE se andare in pensione o meno, non sono obbligati a versare i contributi per la pensione ma possono scegliere se farlo. Non versando obbligatoriamente all’Inps non devono assoggettarsi ad un’aliquota molto onerosa (38,5% dei propri guadagni solo per la pensione) ma possono decidere di crearsi una pensione integrativa (in questo caso sarebbe unica). Con questo tipo di pensione possono decidere quanto versare, se fermarsi, se aumentare etc, tutte cose che lo Stato non ti permette di fare, c’è una maggior flessibilità derivante dal fatto che ti relazioni con un’azienda privata (assicurazioni garantite e monitorate dallo Stato). Quando e se il commercialista ti dice di aprire la partita iva altrimenti non puoi avere la pensione, non è del tutto vero.

Intervista rilasciata via mail a marzo 2024.

Tonio Vinci

Laureato in Economia, esercita per dieci anni la professione di commercialista e cura una rubrica sulla fiscalità dell’autore sulla rivista «Scuola di Fumetto».
Si diploma presso la Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia, insegnando poi nella sede di Pescara e di altre città d’Italia.
Pubblica vignette per Il Male di Sparagna, Animals, Sbam Comics, Collettivo Imago, Antologia di Stefano Benni per Kappa Editore; disegna strip e vignette per l’Agenda Ridens; collabora con Su.Go., Neos Magazine, Fatigatur, Argentovivo, Passaparola, CGIL Emilia Romagna, Kief Book;pubblica fumetti per la rivista «Oblò».
Sceneggia e disegna i fumetti O’Stablmend (Hazard Edizioni), Nonni (Tunué), NOI (Oblò ApsEditore), Rossetto (Rw/Astromica), pubblica su «Antifanzine» ed espone in importanti gallerie d’arte.

A questo punto, se volete saperne di più:
Fumetti e Tasse
Tonio Vinci
Edizioni NPE, 2024
72 pagine, brossurato, colori – 12,90 €
ISBN: 9788836272105

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