Nathan Never tocca il traguardo del numero 400 con la storia I padroni dei sogni: per l’’occasione abbiamo intervistato Michele Medda, uno dei tre papà del personaggio (con Antonio Serra e Bepi Vigna) e autore di questo storico episodio. Insieme a lui abbiamo ripercorso il cammino editoriale che ha fatto di Nathan Never una tra le serie più iconiche e longeve del fumetto italiano.
“Quando mi è stato comunicato che avrei scritto il numero 400, tra tutte le storie che stavano prendendo forma, questa era quella che sentivo più adatta. Mi sembrava anche la più densa, nel senso che aveva un sapore d’attualità” racconta Michele Medda riguardo alla storia ‘one shot’ dell’albo. “Io non amo la continuity, perché ti obbliga a scrivere seguendo qualcosa che è stato già scritto. Preferisco scrivere storie che mi appassionano, che mi interessano e che mi stimolano a livello creativo”.
Dentro l’agenzia Alfa: la produzione di un Albo di Nathan Never
Il processo creativo di un albo di Nathan Never, ci spiega Medda, è lungo e articolato:
“quando scrivo la prima versione della sceneggiatura, non è mai quella definitiva. La rileggo e ci torno sopra diverse volte prima che di fatto arrivi nelle mani del disegnatore e che, peraltro, potrebbe essere occupato con altre storie quando gli arriva la mia”.
Il lavoro vero e proprio inizia con i disegni:
“il disegnatore parte dai layout, che sono delle bozze più o meno dettagliate delle tavole disegnate. A volte, ci sono autori che creano dei piccoli schizzi di tutte le pagine che chiamano ‘francobolli’. Li guardo e, quando vanno bene, passiamo alle fasi successive: le matite e poi le chine”.
Ogni fase di realizzazione viene seguita, oltre che dallo sceneggiatore, da Glauco Guardigli, attuale curatore della serie e supervisore di tutto il processo di realizzazione del fumetto, assieme a Luca Del Savio e Antonio Serra che in precedenza, per molti anni, è stato lui stesso supervisore della serie.
“Antonio è stato sempre un punto di riferimento fondamentale e, ovviamente, essendo uno dei creatori del personaggio, assieme a me e Bepi Vigna. Il suo contributo è stato sempre prezioso. Con Glauco, la collaborazione è più cauta, ma altrettanto produttiva”.
Una volta che le tavole sono pronte, Medda dà un’ulteriore occhiata ai testi: “quando la storia è completata, facciamo un’ultima revisione dei dialoghi in base alle immagini. Se il disegno esprime già chiaramente un’emozione, posso anche evitare di far parlare un personaggio, lasciando che sia l’immagine a raccontare tutto”.
Complessivamente, tra sceneggiatura e realizzazione grafica, ci vuole circa un anno di lavoro per portare in edicola l’albo completo di oltre 90 pagine.
Dal Tovagliolo al Fumetto: da Nemo a Never
Dall’attualità ci siamo spostati a ripercorrere la lunga storia di questi 400 albi. Parlando della nascita del personaggio, Medda non manca di sottolineare la dimensione collettiva del progetto:
“la nascita di Nathan Never è frutto di molte discussioni e idee che sono venute fuori tra me, Antonio Serra e Bepi Vigna. Sicuramente ci sarà stato anche il leggendario tovagliolo su cui Antonio, una sera in pizzeria, delineò le fattezze di Nathan ma sicuramente c’erano stati schizzi prima e tante elaborazioni accumulate per arrivare al risultato finale. Pensate che io, in una prima versione dell’eroe, avevo immaginato un personaggio quasi ‘fricchettone’, simile al cantautore Bob Dylan sulla copertina dell’album Desire” racconta Medda. “Quando ho mostrato l’idea a Bepi e Antonio, loro giustamente mi hanno detto ‘No, magari cerchiamo qualcosa di più classico, più da eroe”.
Alla domanda su un altro particolare “leggendario”, ovvero come si sia passati da “Nemo” a “Never”, Medda sorride ripensando con stima e affetto ad Alfredo Castelli, papà di Martin Mystère e punto di riferimento per i tre giovani autori sardi fin dal loro esordio (proprio sulle pagine della serie di Castelli), alla corte di Sergio Bonelli.
“Quando Antonio Serra aveva assemblato il primo dossier di Nathan Never con i nostri testi e alcune fotocopie di altri fumetti per dare un’idea visiva ai disegnatori, lo abbiamo passato prima di tutto ad Alfredo per avere il suo parere. E lui ci ha fatto notare che ‘Nemo’ non andava bene, perché in casa editrice quel nome si associava all’esperienza negativa della rivista ‘Full’ che aveva chiuso rapidamente, pubblicata da Sergio Bonelli, proprio con l’alias di Nemo Edizioni. Allora abbiamo deciso di cambiare, ispirandoci al nome di un personaggio di uno dei primi episodi della serie bonelliana, Dylan Dog, ‘Anna Never’. Volevamo mantenere la stessa iniziale per nome e cognome. ‘Nathan Never’… Non suonava male e, così, l’abbiamo mantenuto”.
Tanti autori, tanti stili, un Nathan
Medda ribadisce anche il valore dei tanti interpreti grafici che si sono avvicendati nella serie. La diversità di stili tra i disegnatori fu una scelta consapevole fin dagli esordi:
“il casting dei disegnatori è stato fatto nel 1990, forse anche prima, ed era molto determinato. Eravamo consapevoli che la diversità di stili sarebbe stata apprezzata dal pubblico. In effetti avevamo ragione solo in parte, perché non è stato sempre così, ma all’inizio abbiamo voluto fortemente puntare su questa varietà di interpretazioni grafiche”.
La stessa consapevolezza riguarda altre scelte stilistiche, come quella innovativa sul layout delle pagine, la cosiddetta “Gabbia Bonelliana”, definizione che però Medda non ama.
“Forse è più elegante parlare di ‘griglia’ o ‘composizione della tavola’. In effetti, la scelta di una composizione più libera della tavola era un fatto generazionale. I disegnatori classici, come quelli di Tex o di Zagor, lavoravano su strisce, e i formati degli albi erano derivati dalle strisce. Noi invece eravamo più influenzati dal fumetto americano, dai supereroi, dal fumetto francese e dal manga giapponese. Così ci sembrava naturale diversificare la composizione della tavola, giocando con strisce più alte, più basse, vignette lunghe e strette… Questa libertà nella composizione della tavola ha inizialmente creato qualche frizione con l’approccio tradizionale di Sergio Bonelli. Ma poi, in realtà, c’è stata una normalizzazione, non imposta dall’alto, ma naturale. Ci siamo resi conto che, ai fini produttivi della serie, era più veloce e pratico adottare una griglia regolare”.
Un altro tema importante emerso durante la conversazione è stato il passaggio della serie a nuovi autori, come Stefano Vietti, Alberto Ostini, e Stefano Piani, che hanno affiancato Medda, Serra e Vigna, nello scrivere Nathan Never.
“Eravamo consci che, nonostante la grande passione iniziale, con il tempo scrivere sarebbe diventato sempre più difficile. Il numero di storie da creare aumentava e la routine era un rischio concreto: abbiamo pensato che fosse giusto affidare la serie anche a scrittori diversi, che avrebbero potuto portare una freschezza nuova. Mi piace leggere le storie di Nathan Never scritte da altri, perché c’è un certo fascino nel vedere come una cosa che avevamo creato noi prende vita grazie altri contributi”.
Nathan Never e l’invenzione del futuro
Quando, nel 1991, la serie arrivò nelle edicole, non c’erano ancora internet, smartphone, né intelligenza artificiale…
“Si, forse allora ci sembrava più semplice inventare il futuro. Per me, personalmente, è stato così, perché non avevo molta esperienza di fantascienza. Se penso a certe trovate che ho messo nelle storie, come la videocassetta in Gli occhi di uno sconosciuto, mi sento un po’ imbarazzato. Ma quella storia, nonostante certe ingenuità tecnologiche, è ancora molto apprezzata dai lettori. D’altronde, se pensiamo a 2001: Odissea nello spazio, che è tuttora un capolavoro del cinema, c’era un computer grande quanto una cattedrale. L’idea di rimpicciolire le tecnologie non era ancora nell’immaginario collettivo”.
L’autore ribadisce quanto sia lui, sia Serra e Vigna fossero consapevoli che nella logica di una serie a fumetti Bonelli, che potenzialmente può andare avanti per molti anni (come effettivamente accaduto in questo caso), anche il genere “Fantascienza” andava inteso in senso molto ampio.
“L’idea di Nathan Never si è sviluppata in un contesto molto vasto, con molteplici influenze, provenienti, oltre che dal fumetto, anche dal cinema e da suggestioni culturali diverse, per cui era abbastanza naturale che queste cose si mescolassero. Dicevamo: ‘Se in un western come Tex Willer, nel tempo, sono comparsi persino dinosauri e alieni, anche noi possiamo spaziare, non dobbiamo essere legati solo a un’idea di fantascienza classica. Non possiamo fermarci ad Asimov o Dick, dobbiamo esplorare direzioni diverse e vedere cosa funziona e cosa no”.
Nathan Never, capelli bianchi e cicatrice sull’anima
Un aspetto che ha contribuito enormemente al successo di Nathan Never, secondo Medda, è la caratterizzazione del protagonista, che si distingue dalla tradizionale figura dell’eroe del fumetto italiano anni Cinquanta anni (alla Tex), ma anche dagli antieroi tout court.
“La particolarità di Nathan risiede nel suo ‘fatal flaw’, una cicatrice dell’anima che lo definisce come personaggio. Venivamo dal cinema degli anni ’70 e’80, con eroi più complessi, come Rick Deckart di Blade Runner, o i poliziotti di alcuni thriller: non più paladini senza macchia ma personaggi anche problematici. Abbiamo deciso che Nathan doveva essere un personaggio con un evento drammatico nel suo passato che lo segnasse per sempre. È questo dolore irrisolto che lo tormenta, ma che al tempo stesso lo rende umano e vicino ai lettori”.
Il successo editoriale della serie, riconosce l’autore, è coinciso con un periodo felice, di grande fermento per il fumetto italiano.
“Abbiamo avuto una grande fortuna, iniziando in un momento di grande espansione del fumetto in Italia, con Dylan Dog che cresceva a vista d’occhio, di mese in mese. Nathan Never è stato uno dei protagonisti di questo slancio” rievoca Medda con un sorriso nostalgico.
Quando infine gli chiediamo se, come accadeva agli esordi, lui, Antonio e Bepi si confrontano ancora periodicamente per definire le vicende del loro personaggio, Michele ci racconta che, nel tempo, il confronto ha assunto forme differenti.
“Antonio, da qualche anno, si è chiamato fuori, quindi non ha più un ruolo attivo se non sporadicamente su Nathan Never. Questa è stata una sua scelta che chiaramente non mi trovava d’accordo all’epoca, ma che rispetto. Nonostante ciò la sua presenza, anche se meno coinvolta, continua a farsi sentire nella supervisione del progetto, rileggendo le storie così come fa Luca del Savio ai fini di una revisione”.
Anche con Bepi Vigna si lavora oggi su percorsi paralleli.
“Non amo la continuity” ribadisce Medda “perché fa a pugni col mio modo di scrivere, che ha bisogno di una ispirazione sul momento. Scrivere una cosa perché è stata lasciata in sospeso non mi interessa. Voglio scrivere cose che mi piacciono e non mi interessa chiudere storie del passato. Il passato è passato, io guardo al presente e poi, nei limiti in cui c’è concesso, al futuro”.
Nonostante i cambiamenti nell’assetto creativo, l’affetto per il personaggio rimane immutato. In chiusura di intervista, Michele Medda sottolinea il lavoro straordinario di tutte le persone che contribuiscono alla serie:
“ringrazio il nostro meraviglioso staff che lavora con tanto impegno, davvero con costanza e dedizione. E ci tengo a dire che non è assolutamente retorica. È un ringraziamento sentito allo staff e chiaramente a tutta la redazione che lavora con noi”.
Questo sentimento di gratitudine si estende anche ai lettori, che hanno dimostrato un attaccamento straordinario alla serie, contribuendo in modo sostanziale al suo successo e alla sua longevità.
La conversazione si conclude con un pensiero rivolto al futuro della serie, quasi come un augurio di compleanno per il personaggio che, negli anni, ha conquistato una solida base di fan. Alla domanda su come farebbe gli auguri a Nathan Never, Michele Medda, con un sorriso, risponde:
“Mi cogliete alla sprovvista. Direi: ‘Altri 400 di questi numeri’, giusto per restare nell’ambito dell’utopia.”.