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    Zio Paperone, Tartarughe Ninja, Superman: i nuovi mondi di Jason Aaron

    Tra gli ospiti principali di Milan Games Week e Cartoomics 2024, lo scrittore ci ha parlato dei suoi lavori più recenti.

    Attivo sulla scena fumettistica da ormai 20 anni, Jason Aaron ha segnato una stagione importante nei fumetti Marvel con storie come Thor: God of Thunder (sua l’invenzione di Jane Foster come nuova Thor), Avengers, ma anche Wolverine, X-Men, Hulk e diverse miniserie di Spider-Man, solo per citare alcuni dei suoi lavori più celebri. Dopo aver scritto praticamente tutto per la Casa delle Idee, nel 2024 è tornato alla DC Comics, dove tutto è cominciato, quando sotto l’etichetta Vertigo ha pubblicato Scalped, una delle produzioni Vertigo più apprezzate degli anni 2000. Oltre a scrivere una particolare miniserie di Batman (Batman: Off World), è tra i protagonisti del lancio dell’Absolute Universe, una reinterpretazione dei supereroi DC in un nuovo universo, per il quale Aaron sta scrivendo Absolute Superman (in coppia con Rafa Sandoval). Ma quest’anno lo sceneggiatore non si è fermato qui: oltre a scrivere il particolare mash-up Marvel/Disney Paperone e il decino dell’infinito, Aaron è impegnato anche nel rilancio delle Teenage Mutant Ninja Turtles per IDW.
    Proprio per queste due opere è stato uno dei protagonisti della Milan Games Week e di Cartoomics 2024, dove lo abbiamo incontrato per parlare di questo nuovo e prolifico capitolo della sua carriera.

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    Ciao Jason e grazie per il tuo tempo. Sei presente a Milano con il rilancio di Teenage Mutant Ninja Turtles (Tartarughe ninja) e anche per presentare la storia Zio Paperone e il Decino dell’Infinito. Vorrei innanzitutto chiederti qual è stato il tuo rapporto di lettore con le storie Disney.
    Ho un rapporto particolare con Zio Paperone, ho scritto una piccola introduzione che parla proprio di questo. In realtà è incentrata su Don Rosa e su tutte le storie di Zio Paperone che Rosa ha realizzato e che sono state pubblicate soprattutto negli anni ’80 e ’90. Non le ho lette all’epoca, l’ho fatto assieme a mio figlio quando sono state pubblicate in raccolta: erano storie della buonanotte quando era piccolo. Lui le amava e io le amavo: ora ha 19 anni e ancora parliamo di quanto siano incredibili. Ce n’erano un paio in cui ricordo di essermi fermato e di essermi chiesto: “Ma la gente sa quanto sono belle queste storie?”. Non solo come racconti di anatre parlanti, ma anche come storie di avventura. Ho fatto delle ricerche su Google per vedere i giudizi su questi lavori, e ho scoperto che alcune di queste storie sono state acclamate come tra le migliori mai scritte e disegnate nella storia del fumetto. Una volta, in un podcast, mi hanno chiesto qual è il personaggio che non avevo mai scritto e che mi sarebbe piaciuto scrivere, e io ho risposto Zio Paperone. E Dan Buckley, il presidente della Marvel, ha ascoltato quel podcast e l’ha fatto diventare realtà. Quindi posso dire che quel libro esiste perché ho letto le storie di Don Rosa a mio figlio.

    Nello scegliere le tante varianti del protagonista, hai optato per versioni del passato di Paperone più che a versioni parallele: al di là dell’omaggio a Don Rosa e Carl Barks, quali valori diversi le une dalle altre ritieni che abbiano le singole varianti messe in campo?
    La storia è al 100% una lettera d’amore a Don Rosa e a Carl Barks. Si apre con una rivisitazione della prima storia di Zio Paperone di Barks, Natale sulla Montagna dell’Orso. Sapevo di voler fare qualcosa che fosse molto ispirato ai classici, ma si trattava anche di un fumetto Marvel e io sono uno scrittore Marvel, quindi volevo fare qualcosa che fosse in quello stile. È un tipo di storia più sensazionale di quelle in cui normalmente compare Zio Paperone, e riunisce diverse versioni del personaggio provenienti da universi alternativi, che si alleano e affrontano insieme un’avventura nel classico stile Marvel. Ho messo insieme versioni molto diverse: quella western, il Buckaroo delle Badlands, il Signore del Castello McDuck, facendole diventare sue varianti temporali. Alla fine, lui è stato tutti questi personaggi, giusto? Ha avuto tutti questi ruoli diversi. Non è una cosa nuova nella mia carriera: quando ho lavorato a Thor, ho giocato con diverse versioni del personaggio che viaggiano nel tempo e fanno squadra. Questo è stato ispirato dal mio amore per le storie di Conan il Barbaro di Robert E. Howard, dove ogni storia ha per protagonista un Conan di un’età diversa, in un paese diverso, che faceva un tipo di lavoro molto diverso. Mi piace l’ampiezza del personaggio, che ha vissuto una vita lunga ed epica. Ho cercato di fare lo stesso con Thor, in misura ancora maggiore: si tratta di un dio, un personaggio che esiste da migliaia di anni e che esisterà ancora per migliaia di anni. Penso che si possano vedere i fili di ciò che ho fatto con Zio Paperone sia in Thor che in Conan, perché Paperone è un personaggio simile, un uomo che ha vissuto una vita incredibilmente epica: ha viaggiato in tutto il mondo, ha vissuto tante avventure diverse, è stato un cercatore d’oro, un cowboy, un bambino che lustrava scarpe per le strade di Dublino. Tutte queste versioni lo rendono il più grande avventuriero del mondo.

    Parlando invece di Teenage Mutant Ninja Turtles, ti chiederei anche in questo caso quale sia il rapporto con i personaggi, dal punto di vista di lettore ma anche da quello produttivo, vista la loro particolare storia editoriale.
    Per me tutto risale ai primi fumetti prodotti da Mirage Studios nella metà degli anni Ottanta. È stato allora che ho iniziato a interessarmi di fumetti. C’era un’esplosione di case editrici indipendenti e le Tartarughe Ninja erano in prima linea. Il primo numero che ho letto, credo, è stato il numero 4, è da lì che ho iniziato a seguire la serie. Prima dei film, prima dei cartoni animati, prima dei giocattoli, sono stati i fumetti originali che hanno definito le Tartarughe per me. Avevo l’età perfetta, guardavo tutti i film che si ispiravano al genere, leggevo i fumetti di Frank Miller. Ero già ossessionato da tutto ciò che Kevin Eastman e Peter Laird stavano rielaborando con il loro lavoro. Quando IDW mi ha chiesto di realizzare una nuova serie per il 40° anniversario di quei personaggi, ho guardato solo alla serie originale. Ho amato la recente serie della IDW, sono stati 150 numeri di fumetti davvero fantastici che hanno ampliato il cast dei personaggi e il mondo delle Tartarughe, ma per me aveva senso tornare a ciò che mi aveva colpito da bambino, a ciò che mi aveva fatto innamorare di quei personaggi all’epoca, a ciò che li aveva definiti per me, soprattutto in occasione del 40° anniversario. Tutto quello che mi ha spinto a voler scrivere fumetti un giorno ha ispirato molte delle cose che ho fatto, da libri brutali e maturi come Scalped, fino ai miei lavori per la Marvel. É un po’ lo stesso discorso che ho fatto per Zio Paperone e Conan. Quindi ho preso tutto ciò che mi ha influenzato da bambino, l’ho mescolato e ne ho fatto una versione più cupa e ruvida. È quello che ho fatto per 20 anni nella mia carriera. Non pensavo che avrei realizzato un fumetto delle Tartarughe Ninja, non pensavo ne avrei avuto la possibilità, ma quando si è presentata l’occasione, ho capito che avrei dovuto assolutamente scrivere questo titolo, perché è una delle cose che mi hanno reso uno scrittore di fumetti. E ho capito che ho una storia da raccontare con questi personaggi. Che, ancora una volta, in qualche modo, come nel caso del fumetto su Paperone, rende omaggio a ciò che è venuto prima, ma credo che abbia un tocco diverso, in quanto non abbiamo mai visto questi personaggi sotto questa luce. E credo che la gente stia rispondendo bene a questa nuova storia proprio per questo motivo: conoscono questi personaggi, li amano, ma non li hanno mai visti in questo modo.

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    Il tuo approccio è stato definito da molti piuttosto grim-n-gritty: la prima storia vede Raffaello in carcere, e le altre si concentrano sui diversi personaggi, un gruppo diviso alla ricerca di se stesso. Si vede bene l’ispirazione alle Tartarughe di Eastman e Laird nelle atmosfere. Come ti sei approcciato a questo rilancio? E in quale direzione andrà la tua run?
    Come ho detto, il fumetto originale di Eastman e Laird dei Mirage Studios è stato di grande ispirazione per quello che sto cercando di fare con questa nuova serie. Volevo tornare alla grinta, alla crudezza, alla grande azione, alle grandi scene di combattimento. E poi anche approfondire i personaggi, perché scrivendo le Tartarughe Ninja ho imparato molto presto che ogni fan ha la sua Tartaruga preferita, e gli piace discutere sul perché quella sia la migliore. Io non ne ho una preferita, o almeno non voglio dirlo, perché amo scriverle tutte e quattro allo stesso modo. I primi quattro numeri di questa run sono stati un’esperienza davvero fantastica: mi piace scrivere storie incentrate sui personaggi e mi piace lavorare con artisti diversi. Le prime storie sono piuttosto autoconclusive, incentrate su un fratello diverso che si trova da qualche parte nel mondo da solo, isolato in una situazione strana e pericolosa. Raffaello è in prigione; Michelangelo è in Giappone, è una grande star della TV, ma la vita non è piena di gioia e divertimento. Nel terzo numero vediamo Leonardo, che intraprende una sorta di ricerca spirituale lungo il fiume Gange in India, dove le tartarughe di fango dal ventre molle sono solite mangiare i resti dei defunti che, una volta cremati, vengono gettati nel fiume. Il quarto numero è incentrato su Donatello, che è intrappolato in questa fossa di combattimento negli Stati Uniti e deve combattere per proteggere gli altri mutanti. L’idea è quella di prendere questi ragazzi, dividerli, vedere come sono cresciuti in direzioni diverse. Sono ancora “Teenage” Mutant Ninja Turtles, sono ancora adolescenti, quindi per certi versi sono ancora bambini, ma ne hanno passate tante nel corso della loro vita. Sentono di sapere chi sono, ma i pezzi della loro famiglia non si incastrano più come prima. Si sentono come i Beatles di Abbey Road e Let It Be, quattro ragazzi di band diverse che stanno ancora cercando di far funzionare le cose insieme. Il primo arco si propone di stabilire dove sono andati a finire, spiegare perché si sono divisi, per poi rimetterli insieme e vedere le scintille volare nelle loro interazioni.
    Se penso a Guerre Stellari, intendo il primo film, la parte che preferisco è quando i personaggi si riuniscono e passano 45 minuti a insultarsi. Qui è lo stesso per me: mi piace guardare questi personaggi che sono fratelli, che si amano, ma allo stesso tempo si odiano più di chiunque altro, perché nessuno riesce a farli arrabbiare di più. Il divertimento sta nel vedere questi personaggi che a volte combattono letteralmente tra loro, a volte si prendono a pugni nel bel mezzo di un combattimento contro dei ninja che stanno cercando di ucciderli. Il primo arco narrativo si intitola Ritorno a New York e parla del loro ritorno alle origini, al luogo da cui provengono, ma anche, di nuovo, in un modo che non abbiamo mai visto prima. Il loro rapporto è diverso. Chi stanno combattendo è diverso. E dove andranno a finire sarà qualcosa di nuovo che non abbiamo mai visto prima.
     
    Dopo molto tempo alla Marvel, sei passato in DC. Ci sono differenze nell’approccio al genere supereroistico che hai sentito, da creatore, nel passaggio da una all’altra?
    Per me non c’è una vera differenza. Voglio dire, è chiaro che ogni azienda è diversa, ad esempio per il modo in cui funziona la redazione, e certamente sono diverse le relazioni con le persone con cui lavoro. Sono stato alla Marvel per molto tempo, ho rapporti piuttosto stretti con la maggior parte degli editor e delle persone con cui lavoravo. Con la DC, invece, è tutto nuovo, non conosco la maggior parte delle persone con cui collaboro. Ma credo che in termini di lavoro vero e proprio, quando mi siedo a scrivere una sceneggiatura, il tipo di storie che cerco di raccontare non sia diverso. Sono cresciuto con i fumetti della DC, più che con quelli della Marvel, le loro storie e i loro personaggi mi hanno avvicinato ai fumetti, mi hanno fatto diventare un lettore regolare, un fan di lunga data, mi hanno fatto venire voglia di crescere e scrivere fumetti un giorno, e farlo per la DC è come se fosse sempre stato destinato a succedere.
    Il primo libro che ho realizzato per la DC è Batman: Offworld, che è una strana storia di Batman nello spazio, ed è stato un omaggio ad alcuni dei fumetti che mi hanno reso un fan negli anni ’80: New Teen Titans, Batman Dark Knight Returns, sono stati libri fondamentali per me. Anche Atari Force, una gemma dimenticata degli anni ’80.
    Batman Offworld ha rappresentato il mio esordio alla DC Comics come autore, in grande stile, e rendeva omaggio a ciò che mi ha portato lì, ponendo le basi per tutto ciò che farò in futuro. Absolute Superman è il primo grande albo della mia prima serie ongoing per DC. Quindi iniziare la mia carriera alla DC con Batman e Superman non è un brutto modo di cominciare. E molto altro arriverà in futuro.

    Scalped

    Tecnicamente, dovrei comunque parlare di ritorno in DC, dato che la tua vera affermazione è arrivata con Scalped per la Vertigo, che ha esordito ormai 17 anni fa. Adesso che la casa editrice ha annunciato il ritorno dell’etichetta, mi verrebbe da chiederti un ricordo di quel periodo e del valore per te di quella serie, che considero uno dei migliori prodotti della Vertigo del 2000.
    Scalped è stata la mia prima serie, una delle più lunghe. È il lavoro che mi ha permesso di fare tutto quello che è venuto dopo. Tecnicamente parlando, la prima cosa che ho fatto nel mondo dei fumetti è stata la vittoria del concorso Marvel Comics Talent Search nel 2001, nonostante non mi abbia portato nulla nell’immediato. Scalped mi ha davvero aperto le porte per tornare alla Marvel, per cui ho lavorato in esclusiva per circa 15 anni.
    In realtà, per la prima volta dopo anni, ho da poco riletto i primi 30 numeri perché la DC ha appena pubblicato un omnibus, una nuova edizione con copertina rigida, che raccoglie tutta la prima parte. Rileggendoli, sono rimasto colpito da quanto siano crudi questi fumetti. Sento di essere cambiato e cresciuto molto come scrittore da quei giorni, ma credo che sia un fumetto traboccante di passione, perché volevo disperatamente sfondare nel mondo del fumetto. A chi vuole sfondare dico che bisogna essere fortunati. E credo che questo sia ciò che si vede in Scalped: ho scritto questo libro come se fosse l’unica occasione che avrei mai avuto, quindi ho dato il massimo in ogni pagina. Amo ancora i personaggi che abbiamo creato, mi mancano in un certo senso. Sono personaggi che mi sono rimasti dentro, che una parte di me vorrebbe scrivere di nuovo, ma so anche che non voglio scriverli mai più. Ho detto quello che dovevo dire con quella serie. Mi è piaciuto molto il periodo trascorso alla Vertigo e credo che, a prescindere da quanto tempo resterò nel mondo dei fumetti, continuerò a considerarmi uno scrittore della Vertigo. Sono davvero orgoglioso di aver fatto parte di quel gruppo di creatori e di aver avuto una delle ultime serie di ampio respiro per l’etichetta. Per me è stata come una scuola. Credo di essere diventato uno scrittore migliore nel corso di Scalped grazie al lavoro alla Vertigo, a Karen Berger, a Will Dennis e a tutte le persone con cui ho avuto modo di lavorare.

    Nei tuoi fumetti, supereroistici e creator-owned, hai sempre affrontato temi importanti, attuali e sociali. In questo preciso momento storico, visti gli avvenimenti degli ultimi anni, non ultime le elezioni presidenziali americane, cosa pensi che possano raccontare le storie a fumetti?
    Qualunque sia la storia che sto cercando di raccontare nei fumetti, non importa quanto ridicola possa essere l’impostazione o il concetto, se sto scrivendo il Dio del Tuono che vola nello spazio o se sto scrivendo mutanti o supereroi che combattono gli alieni, se non c’è qualcosa di emotivamente rilevante, qualcosa che risuona con me, allora non risuonerà con i lettori. Quindi penso che si debba sempre mettere qualcosa di sé, e una parte di questo è lo stato del mondo, lo stato del mio Paese. Tutte le cose che sto scrivendo in questo momento sono qualcosa su cui ho lavorato o che ho pensato per mesi prima delle elezioni. Ma credo che quello che sto facendo su Absolute Superman, per certi versi, diventi più rilevante solo ora che è effettivamente pubblicato, là fuori nel mondo. Come scrittore, cerco sempre di mettere nella pratica lavorativa quello che voglio dire, sullo stato del nostro mondo, su come vedo le cose. Sono molto più interessato a comunicare con quello che scrivo che attraverso un tweet arrabbiato.

    Arriviamo all’ultima domanda, quella sul lancio dell’universo Absolute e il tuo coinvolgimento con Absolute Superman. Che cosa vuol dire re-immaginare, in maniera piuttosto radicale, un’icona del fumetto mondiale come questa e che cosa pensi possa rappresentare questa sua versione in relazione al momento storico contingente?
    L’aspetto più entusiasmante dell’universo Absolute è stato quello di considerare questi personaggi come se li stessimo creando oggi. Se nessuno avesse mai sentito parlare di Superman fino ad ora e io avessi creato quel personaggio, che aspetto avrebbe? In che modo sarebbe diverso da quello creato nel 1938?
    La storia di Superman era una storia di immigrati, scritta da due giovani immigrati, Jerry Siegel e Joe Schuster, ed era una storia di immigrazione molto idealizzata. In che modo è diversa nel 2024 rispetto al 1938?
    Naturalmente c’è un lato più oscuro in questa incarnazione, quindi una volta che ho preso in considerazione questo aspetto, tutto il resto è andato al suo posto. La natura di Krypton, il periodo trascorso da Kal-El lì, come è cambiato, cosa è successo una volta arrivato sulla Terra, cosa sta facendo quando lo incontriamo per la prima volta e dove va a finire. Quindi mi piace l’idea di fare una storia di Superman che per me è la quintessenza del personaggio. Si tratta di una storia che riguarda la provenienza del personaggio, il significato che ha avuto per i suoi creatori originari, il motivo per cui ha combattuto negli anni ’30 e ’40, ma anche di una storia che non abbiamo mai visto prima, in cui gran parte delle origini di Superman a cui si è abituati sono radicalmente diverse. Si possono cambiare tanti pezzi del personaggio, cambiare il suo percorso, ma il cuore è ancora lì, quello che rappresenta, il motivo per cui ha resistito così a lungo come grande icona contemporanea.
    Quindi per me è al 110% una storia di Superman, ma sarà piena di sorprese. Ci sono sorprese nel numero 1, che la gente ha già letto. Ci saranno grandi sorprese nei numeri 5 e 6. Ci saranno sorprese nel numero 12. Quindi è una cosa continua. Continuiamo a scuotere tutto ciò che ruota attorno al personaggio, ma al tempo stesso raccontiamo una storia che credo mostrerà alla gente perché Superman è oggi più importante che mai.

    Intervista realizzata alla Milan Games Week e a Cartoomics 2024 il 22 novembre.

    Si ringrazia Angelica Mamprin per l’aiuto nella traduzione

    Jason Aaron

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    Jason Aaron è uno degli sceneggiatori americani più acclamati degli ultimi decenni. Ha scritto per le case editrici più prestigiose, tra cui Marvel (Avengers, Hulk, Wolverine, Wolverine e gli X-Men, ma soprattutto Thor, che è stata di ispirazione per i film della Marvel Cinematic Universe sul dio asgardiano e gli è valsa un Eisner Award), la collana Vertigo della DC Comics (con serie che lo hanno imposto all’attenzione di pubblico e critica come The Other Side e Scalped), Image Comics (Southern Bastards), Boom! Studios (C’era una volta alla fine del mondo). Dal 2024 è approdato in DC Comics, dove ha scritto Batman: Off World e per cui sta scrivendo Absolute Superman.

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