Michele Rech in arte Zerocalcare, dopo un po’ di gavetta e la collaborazione alla rivista Il Canemucco di Makkox, raggiunge la notorietà grazie alla pubblicazione online le sue strisce in un blog. Immediato il successo per un fenomeno che è rimbalzato in rete come una pallina da ping pong impazzita. Successo che Zerocalcare ha bissato nel 2011 con la pubblicazione cartacea della sua prima storia a fumetti: “La profezia dell’Armadillo” pubblicato da Bao Pubblishing dopo una prima versione autoprodotta grazie ancora al supporto di Makkox.
Michele esordisce come fumettista nel 2001 realizzando “La nostra storia alla sbarra” racconto a fumetti sulle giornate del G8 di Genova. Il suo habitat naturale oltre alle pareti di casa sua all’interno delle quali sopravvive consumando merendine e serie televisive sono i centri sociali, per i quali ha realizzato moltissime locandine per concerti e manifestazioni. Zerocalcare ha collaborato anche con il quotidiano “Liberazione”, il settimanale “Carta” e il mensile di Repubblica “XL”, con la rivista “Canemucco” e l’esperimento di comics online Zuda lanciato della DC Comics (a oggi chiuso).
Il 19 ottobre in tutte le librerie e fumetterie uscirà il suo secondo libro: “Un polpo alla gola”. Tre atti per ben 192 pagine, presentato nel suo caratteristico bianco e nero retinato.
Ciao Michele! Inizio subito con una domanda di rito. “La profezia dell’armadillo” è alla quinta ristampa, ormai sei una celebrità! E’ vero che “hai fatto i soldi”? Traduci sempre i documentari di caccia e pesca? Ti aspettavi questo successo?
Il fatto è che in Italia il mercato del fumetto è cosi ridotto che “fare i soldi” significa guadagnare quanto uno che sta in un call center. Poi certo, è meglio fare i fumetti che stare in un call center, mica dico di no. Di sicuro non mi aspettavo che la Profezia circolasse così tanto, ma visto che sono saggio e so che queste cose si sgonfiano da un giorno all’altro per sicurezza mi tengo sia le traduzioni che i ragazzini a cui faccio ripetizioni, che almeno sono un reddito fisso ogni mese…
So che hai girato molto in “tour” in tutta Italia per presentare il tuo fumetto, com’è stato scontrarsi direttamente con il calore dei tuoi fan?
È l’unica parte del mio lavoro dove non sto solo tumulato in casa col punk hardcore o le serie tv, quindi mi fa piacere incontrare il mondo esterno. E nonostante la mia timidezza patologica per la quale mi dovrebbero dare la pensione d’invalidità, mi diverto e mi incuriosisce sempre un sacco vedere che faccia hanno le persone che si leggono quello che scrivo. Mi stupisce sempre un sacco.
Passando a “Un polpo alla Gola”, com’è nata questa storia? So dal tuo blog che ci hai lavorato quest’estate, è stata una richiesta del tuo editore o la storia è nata da te?
L’editore mi aveva dato carta bianca e io ne ho approfittato per provare a costruire una storia diversa dalle mie solite che, per alcune caratteristiche , sapevo che non avrei mai sviluppato da solo o in autoproduzione (lunghezza innanzitutto, quasi 190 pagine, o mi obbliga qualcuno con cui ho firmato un contratto o l’autodisciplina viene a mancare dopo pagina 30…). In realtà la storia nasce da un episodio autobiografico della mia infanzia che ho sempre voluto raccontare perché si presta particolarmente ad un atmosfera mistery, ma si sviluppa poi in un intreccio di fantasia. Ho cercato di mantenere la descrizione delle situazioni e delle emozioni il più possibile legate alla mia esperienza personale, inserendo elementi di fiction solo quando servivano a far avanzare la storia dal punto di vista narrativo. Era un esperimento che tenevo molto a fare e sono un sacco contento che ci siamo trovati con Bao su questo punto, senza che mi chiedessero di fare la fotocopia dell’altro libro.
Immagino che Makkox abbia letto Un polpo alla gola, gli è piaciuto? Ha fatto una delle sue storiche battute che ci puoi raccontare?
No, ma che ha letto… io mi vergogno un sacco quando lavoro e non faccio leggere niente a nessuno se non a chi lo sta pubblicando -se proprio me lo chiede- perché magari giustamente vuole sapere come procede il lavoro, e ogni volta prima di mandare anche mezza pagina faccio un mare di premesse “è ancora una bozza incompleta che possiamo modificare…”.
“Un polpo alla gola” è un fumetto che parla dell’infanzia descrivendola come un periodo della vita oscuro e pieno di violenza, la storia si svolge in una scuola governata da una sorta di “legge della giungla”. Perché? C’è una frase che mi ha colpito moltissimo, la pronuncia la professoressa Arbizzati: “Nessuno guarisce dalla propria infanzia”, per te è così?
In realtà non penso che l’infanzia sia un periodo più oscuro di altri, mi pare che ogni fase della vita sia una giungla, semmai con animali diversi. Però rigetto l’idea, di cui sono vittima anch’io quando mi capita qualche sfiga di quelle “adulte”, per cui l’infanzia sarebbe un periodo felice senza preoccupazioni. È vero che non devi pagare l’affitto, ma andare a scuola con una maglietta ridicola che tua madre ti ha obbligato ad indossare e per la quale verrai deriso da tutti, a 8 anni, è una cosa che ti pesa quanto finire in mano agli strozzini a 50.
E’ sempre presente anche in questo fumetto un “pantheon” di personaggi che interagiscono col protagonista e che provengono dal tuo immaginario fatto di film, serie televisive, musica. Per capirsi vediamo apparire: David Gnomo, Kurt Cobain, He Man, Joe Strummer, Che Guevara e l’immancabile Dart Fener. L’impressione è che tu viva proprio così, interagendo con essi anche nella realtà. Pensi che la televisione o comunque i prodotti come serie e film siano entrati così profondamente nella nostra vita quotidiana?
Si ma non lo vedo come un incubo, credo che sia normale che la nostra vita sia permeata delle storie, dei personaggi, delle musiche che abbiamo intorno. A me quelle cose mi hanno scandito la vita, sono proprio parte del mio DNA, figure di riferimento ed esempi positivi e negativi che riconosciamo tutti, quindi mi pare naturale citarli, mi sembra un linguaggio comprensibile ed immediato.
In “Un polpo alla gola” mi ha fatto tantissimo ridere la frase “Non esiste nulla che mi abbia mai fatto battere il cuore più del game boy, nulla”. Ho cercato di trovare un equivalente femminile ma non ci sono proprio riuscita.
Neanche io! All’inizio volevo che tutto il libro fosse molto più corale e rispecchiasse pensieri ed emozioni di tutti e tre i personaggi principali, due maschi ed una femmina. Ed ho cercato l’equivalente femminile del game boy, dei cavalieri dello zodiaco e di altre pietre miliari della formazione dell’identità di ciascuno. Ma evidentemente in quegli anni l’universo femminile era così lontano dal mio che non sono riuscito a trovare niente che non fossero stereotipi senza tempo tipo le barbie, quindi ho desistito e mi sono concentrato sulle mie esperienze. Ma se non lo trovi neanche tu allora forse non era un problema mio, c’è proprio una lacuna nell’intrattenimento femminile…
C’è un fumetto o un fumettista che per te è stato particolarmente importante o che ti è particolarmente piaciuto?
Apparte l’imperitura Tank Girl di Jamie Hewlett, quando devo fare bella figura regalo La mia vita disegnata male di Gipi o Lo scontro quotidiano di Larcenet. Due fumetti bellissimi che mi hanno fatto reinnamorare delle storie disegnata male. Se ci fosse un faro in lontananza, per me sarebbero loro.
Quest’anno parteciperai al Komikazen esponendo le tavole di “La nostra storia alla sbarra” un racconto a fumetti sulle giornate del G8 di Genova (nella mostra collettiva “Nuova Storia d’Italia a fumetti”, dal 13 ottobre all’11 novembre 2012, MAR Museo d’arte della città, Ravenna). In passato hai realizzato anche il fumetto “La politica non c’entra niente”, che trae spunto dall’omicidio di Renato Biagetti. Cosa ne pensi del fumetto di realtà, pensi che potrai ancora fare qualcosa di simile in futuro?
Credo che il fumetto, come tutte le forme di narrazione, sia un modo per costruire immaginario, memoria, coscienza. Il “fumetto di realtà” mi interessa nella misura in cui mi interessa sottrarre la narrazione di certi eventi alla sola stampa mainstream, che spesso li semplifica o li distorce, come nei casi che hai citato: l’aggressione fascista che ha portato all’omicidio di Renato Biagetti, impropriamente dipinta come rissa tra balordi, o la vicenda del G8 di Genova, con le condanne a 15 anni di carcere per gli ultimi 10 manifestanti, gli unici che pagheranno per tutto quello che è successo quei giorni. Mi piace l’idea che questi fumetti siano il frutto di un intelligenza collettiva però: che nascano dai protagonisti di queste storie, da un assemblea o da un insieme di persone che decidono cosa raccontare e con che taglio, dove il disegnatore è solo l’ultimo anello della catena, quello che mette su foglio un pensiero condiviso.
KOMIKAZEN
Nuova Storia d’Italia a fumetti
Dal Risorgimento al berlusconismo in 150 tavole
A cura di Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini
Dal 13 ottobre all’11 novembre 2012
Inaugurazione sabato 13 ottobre ore 19 alla presenza degli autori
MAR Museo d’arte della città – Ravenna Via di Roma n. 13
Orari: dal martedì al sabato 9-13.30. Martedì, giovedì, venerdì e domenica 15-18. Lunedì chiuso
Anna
15 Ottobre 2012 a 00:40
Io sono una donna, classe 1984, e le pietre miliari della mia infanzia sono le medesime dei racconti di Zerocalcare, incluso gameboy, che all’epoca, quando finalmente me lo regalarono per natale, praticamente conquistai il sacro graal! Forse è anche per questo che amo le storie di zero, da grande nostalgica quale sono! :)
La redazione
18 Ottobre 2012 a 10:11
Con questo commento ti sei guadagnata l’ammirazione di tanti lettori maschi. E magari qualche invito a cena! ;)