Uomini sulla Luna racconta la missione, organizzata dal Professor Girasole, che porta Tintin e solito gruppo di compagni di avventura sul nostro satellite. Hergé dipana l’intreccio in maniera lineare, mettendo in scena piccoli incidenti tecnici che mettono a rischio l’incolumità della compagnia.
I nostri eroi (Dupond & Dupont compresi) si confrontano con un tradimento e il tentativo di impadronirsi del razzo syldavo da parte della misteriosa potenza che già aveva tentato il colpo con il razzo sperimentale X-FLR6.
In tutto questo, Hergé coglie l’occasione per porgere ai piccoli lettori alcune nozioni scientifiche sulla Luna e le caratteristiche tecniche del viaggio e, nella conclusione, arriva a delineare un limite del suo eroe e dell’avventura per ragazzi.
Rispetto a Obiettivo Luna, Uomini sulla Luna si presenta come un’avventura dalla struttura più ordinaria; soprattutto, viene meno l’atmosfera di ambiguità e oppressione che aveva caratterizzato la parte terrestre della vicenda. Qui abbiamo certamente un ambiente ostile (il razzo che viaggia nel vuoto, con limitate riserve di aria, e la Luna stessa) e un avversario misterioso, ma siamo nel contesto di una contrapposizione netta e definita, laddove nel centro di ricerca syldavo regnava un’atmosfera di sospetto che coinvolgeva le stesse finalità del progetto e, di conseguenza, lo stesso impegno e ruolo di Tintin, Haddock e Girasole. Se nella prima parte si respirava la tensione della Guerra Fredda, qui la situazione è molto più semplice, gli ostacoli da superare chiari, come le difficoltà e i rischi da affrontare.
In continuità con la prima parte, abbiamo invece la felicità delle scene comiche, equamente distribuite fra il Capitano Haddock e i due poliziotti e caratterizzate da un’irresponsabilità che raggiunge livelli surreali quando il Capitano ubriaco abbandona il razzo. In questa lunga scena – da pag.4 a pag. 11 -, il tono passa dal buffo al drammatico: Hergé crea uno scivolamento di tono graduale e inarrestabile, che inizia con Haddock che recupera il suo amato whisky e termina con la sua consapevolezza di aver messo a repentaglio la propria vita e quella di Tintin.
L’efficacia di questa sequenza nasce dal fatto che Hergé muove Haddock secondo la meccanica base del comico (che beneficia di un lasco dovere di verosimiglianza), mentre sviluppa le conseguenze dei suoi atti secondo le dinamiche dell’avventura, che richiedono una maggiore osservanza delle regole dello scenario. Il racconto si muove quindi fra due tonalità e, segnale della maestria dell’autore belga, la catena degli eventi sembra scorrere con ferrea consequenzialità senza dissonanze o discontinuità. Semplicemente, iniziamo ridendo della dabbenaggine di Haddock e ci ritroviamo a temere per la sua vita e quella di Tintin.
Troppa gente a bordo: la roulette russa di Hergé
Nel dittico lunare la morte compare tre volte. Se nel primo episodio era quella di un componente di un commando, semplicemente annunciata dal sistema di comunicazione del centro di ricerca (resta per così dire immateriale), nel racconto della missione è una presenza incombente, parte integrante dello scenario e la cui prossimità Hergé fa entrare in gioco fin dalle prime battute.
Quando a bordo del razzo compaiono improvvidamente gli agenti Dupond e Dupont, Girasole fa subito notare che la missione dovrà essere ripensata, perché il consumo di ossigeno addizionale causato dai due ospiti imprevisti diminuisce il tempo a disposizione. Sottolineare la limitatezza della riserva di ossigeno porta in primo piano un vincolo fondamentale dell’avventura, sul quale Hergé farà leva al momento della comparsa di un terzo clandestino per innalzare bruscamente la tensione.
Il lettore è infatti messo di fronte a una questione non aggirabile: non c’è abbastanza ossigeno per tutti e il ritorno a terra della missione richiede che qualcuno muoia. La verosimiglianza su cui Hergé ha basato la storia diventa improvvisamente un vicolo cieco poiché, a meno di ricorrere a deus ex machina quali la comparsa di un’altra nave o la scoperta di ossigeno sulla Luna (dove peraltro Hergé fa comparire del ghiaccio), non c’è via d’uscita. In particolare, la situazione mette in crisi gli ideali dei quali Tintin è portatore, poiché non esiste una soluzione “pulita”, che salvi tutti.
La parte finale dell’avventura diventa così un crudele gioco a eliminazione.
I limiti dell’eroe (dove sveliamo il nome del traditore)
Il finale di Uomini sulla Luna lascia l’amaro in bocca: abbiamo scoperto che Wolff è il traditore ed egli ha raccontato la sua storia. Una storia che lo rivela certo incauto, addirittura irresponsabile, ma soprattutto fragile e succube delle proprie debolezze; vittima di una macchina che lo ha agganciato e trascinato, facendo forza sulle sue insicurezze. Il suo racconto, la sua scelta finale di ribellarsi, di non accettare la condanna dei suoi compagni di avventura, lo ha del tutto redento ai nostri occhi. Eppure muore.
E la sua morte finisce per comunicare una morale rigida che non lascia spazio non tanto al perdono quanto alla possibilità di cambiare, di ricostruire la propria identità. Certo, Tintin, Haddock e Girasole scagionano Wolff anche pubblicamente, ma resta il disagio perché, dal punto di vista narrativo, il suo riscatto è legato alla sua scelta di sacrificarsi.
Hergé mette in scena il sacrificio di Wolff in maniera sintetica e intensa nelle ultime due strisce di pag. 53. Dopo aver evidenziato la carenza di ossigeno, lo inquadra disteso prono sulla sua cuccetta; “Tutti sono addormentati, questa è la mia occasione“, leggiamo e immediatamente sappiamo che cosa sta per fare. Si alza e sta per lasciare la cabina, quando uno dei poliziotti si risveglia dallo stordimento dell’anossia e lo apostrofa (ultima vignetta della terza striscia).
È il momento di massima tensione: tutto si ferma per un istante, tutto sembra poter cambiare, Wolff potrebbe tornare indietro. Segue un breve dialogo (quanto aspiranti suicidi delle storie sono stati salvati con un dialogo!), ma il poliziotto ricade a terra e Wolff esce calandosi attraverso la botola. Sparisce così, un’uscita di scena silenziosa e in tono minore, con grande testardaggine ma senza un briciolo di enfasi.
Di lui ci resterà un messaggio che ci racconta ancora più di una persona spaventata dal ritorno, che non vede un futuro plausibile, una reintegrazione nella vita “normale”1.
Più che salvare i suoi compagni di viaggio, più che espiare le proprie colpe, Wolff sembra fuggire dal futuro. Il suo messaggio dichiara di fatto di non aver niente da perdere e niente a cui tornare. Ecco che allora possiamo indicare un’altra componente del disagio che questa avvenura ci lascia addosso: Tintin ha conquistato la Luna, ma non è stato in grado di salvare Wolff, perché, semplicemente, non ha capito la complessità del suo dramma e il suo bisogno di aiuto.
In questo senso, Uomini sulla Luna dichiara un limite alle capacità dell’eroe e, come già segnalato al debutto del Capitano Haddock, un ulteriore limite all’ambito dell’avventura per bambini. Intrighi, comicità e avventura sono all’interno dei confini; il confronto con gli aspetti più complessi dell’animo umano resta al di fuori. Hergé li allude (ovviamente inevitabile la tentazione di metterli in relazione con la vicenda personale dell’autore), apre uno spiraglio su ciò che più è inquietante nell’uomo, ma ritrae il racconto e lo sguardo, decidendo che Tintin non è il luogo adatto per una simile esplorazione.
Come già nel precedente volume, i curatori Jean-Marie Embs, Philippe Mellot e Philippe Goddin sottolineano la ricerca dell’accuratezza della ricostruzione dei vari scenari della vicenda e propongono una serie di tavole inedite e di materiali di lavorazione.
Riferimenti
Daniel Couvreur: La face cachée de l’aventure lunaire.
Dossier pédagogique – Objectif Lune disponibile gratuitamente sul sito ufficiale di Tintin.
Abbiamo parlato di:
Tintin – Uomini sulla Luna Hergé
Traduzione di Giovanni Zucca
In allegato a La Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, Aprile 2017
29+62 pagine, cartonato, colori – 7,99 €
ISBN: 977203975726270017
Per l’edizione in volume, l’editore Casterman farà modificare a Hergé il testo del messaggio, timoroso che potesse spaventare eccessivamente i piccoli lettori; Hergé trasformerà “vous savez bien que j’aurai disparu à jamais dans l’espace” – “voi sapete bene che sarò scomparso per sempre nello spazio” in “peut-être un miracle me permettra-t-il d’en réchapper aussi” – “forse un miracolo mi permetterà di sopravvivere” ↩