A corredo di ogni singola classifica abbiamo chiesto ad ogni votante di motivare brevemente il suo voto. Ogni considerazione è da ritenersi strettamente personale.
1) La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Solznick (Mondadori)
Lo so. Direte: cosa c’entra questo libro con i fumetti?! Allora. Vi chiedo io. Che cosa sono i fumetti? Fossero vere le banalità eisneriane delle vignette una in culo all’altra a formare sequenze; beh, questo libro è pieno di splendide sequenze. Poi e comunque. Questo libro deve essere incluso tra i fumetti. Perchè qui la distinzione tra leggere e guardare non ha teoricamente più senso. Come nei fumetti.
2) Lo scontro quotidiano di Manu Larcenet (Coconino)
Quella cazzo di carta avoriata schiaccia tutti i colori. Diegeticamente fondamentali nell’originale. La traduzione del titolo è di una bruttezza unica. L’edizione dei primi due volumi insieme spezza un ritmo narrativo costruito da Larcenet con estrema consapevolezza sulla decostruzione del formato francese, quello detto: album.
A parte questo. Anche così mutilato.
Un fumetto di fondamentale irrinunciabile bellezza.
3) Lupus 2 di Frederik Peeters (Kappa)
Lupus non è un romanzo grafico e non è fantascienza. C’è un’astronave, vabbene, anch’io ne ho una parcheggiata sottocasa, questo non fa di me Ian Solo. Lupus è un fumetto autobiografico spinto fino a limiti interiori cui non credevo un fumettaro potesse arrivare. Ed è la dimostrazione che un fumetto non è vero che prima si scrive e poi si disegna. Ma che un fumetto si fa. E basta.
4) Riflessi 3 di Marco Corona (Coconino)
Marco Corona è l’autore italiano di fumetti più consapevole degli ultimi tempi. Riflessi 1 e 2 e 3 è un’opera unica. Un puzzle, in cui ogni singolo pezzo si configura intelligibile solo nel complesso arrotolarsi del tempo nello e sullo spazio: cioè il fumetto. Non c’è inizio, non c’è fine, non c’è storia. C’è solo, e dici poco!, lo svolgersi quantistico e grandioso dell’improbabilità della narrazione.
5) Alice in Sunderland di Bryan Talbot (Comma22)
Una summa teorica. La più organica riflessione di un autore di fumetti sull’oggetto del proprio lavoro che mai abbia letto. A cesso i McCloud e i Benoit Peters, anche le riflessioni di Eisner. A cesso pure, sarebbe ora, l’accademica ricerca dell’unità sintagmatica del fumetto.
Dobbiamo riconsiderare il fumetto. Qui Talbot ci da una manna di spunti.
6) La magnifica desolazione di Paolo Bacilieri (Kappa)
Bacilieri è l’archivio vivente del nostro, di noi che siamo stati adolescenti negli anni ’80, immaginario. Non solo a fumetti. Tutto quello con cui sono cresciuto nelle sue storie c’è. Quando non lavora per Bonelli, ma qualche volta anche quando lo fa, lui mi commuove, perché è un maestro della originale rielaborazione diegetica di questo immaginario: Kitsch, follia, cinema fumetto e letteratura.
7) Porto Marghera di Claudio Calia (Becco Giallo)
Calia vuole portare il lettore a conoscenza dei fatti del Petrolchimico di Porto Marghera. La conoscenza che vuole trasmettere non è accidentale come quella di una qualsiasi graphic-novel, ma funzionale. Quindi questo libro è un saggio. Ora. Non sono convinto che Claudio riesca pienamente nell’intento, ma è cosa trascurabile. Lo sforzo che ha fatto apre una strada da seguire. Con estrema attenzione.
8) PHPC di Ausonia (Leopoldo Bloom)
Al di là di qualsiasi giudizio assologico, questo libro di Ausonia pone finalmente di nuovo una questione non trascurabile al lettore. Una cosa che troppi anni di semiologia d’accatto ci aveva fatto dimenticare. Che cos’è il fumetto?
Mentre leggi ti chiedi se quello è un fumetto. La risposta, spiegherò altrove perché, è si. Urge quindi la necessità di ridiscutere i luoghi comuni acquisiti sul fumetto.
9) Cronachette di Giacomo Nanni (Coconino)
Il fumetto deve misurarsi con la geometria, quella non euclidea, se vuole conservare un suo ruolo significativo e, piuttosto, significante; e deve configurarsi come una «geometria del non», cioè una geometria aperta, che accolga l’essenza del tempo attraverso lo spazio, e che segua plasticamente le loro «rotture». Cosí col progresso di queste rotture si avrà anche quello del fumetto.
10) 299 e +1 in Rat-Man #62-63 di Leo Ortolani (Panini)
Fondamentale. Non starò qui a spiegare il perché, ma quest’opera, in cui la parodia scolora in plagio e barzellette, non può che essere il punto di partenza di un serio discorso sulla (anche involontaria) reazionarietà del fumetto seriale italiano. Il finale ecumenico e positivo, che ribalta con una finta speranza, il radicalismo libertario di Miller, spiega più cose di mille saggi sul fumetto seriale italiano.
Menzione storica:
Avrei votato, ovvio, Krazy Kat. Ma l’idea di far tradurre Herriman a Luca Boschi non so se sia comica o irresponsabile. Sicuramente segnala poca considerazione per l’autore. Per non dire poi del lettering e della curatela. Riuscire a banalizzare la grafica di Ware è impresa che non sarebbe riuscita a molti. Ma lasciamo perdere. Anche per il Popeye della Planeta De Agostini stesso discorso. Tradurre Segar in quel modo è un oltraggio a un patrimonio dell’umanità. Quindi.
1) Il libro sbilenco di Peter Newell (Orecchio Acerbo)
Ci sono libri che anche se hanno delle parole scritte, prima di tutto si devono guardare. La sapete la storia del carattere tipografico di questo libro disegnato dall’autore stesso. Insomma, in questo libro anche la parte scritta è disegnata: dimostrazione lampante che le parole nel fumetto fanno parte del disegno. E che sarebbe quantomai necessario rivederne la definizione, del fumetto intendo.
2) I professionisti di Carlos Giménez (Black Velvet)
Carlos Gimenez ha disegnato il labirinto del fauno nell’ultimo film di Guillermo Del Toro. C’è una linea sottile che conduce dai professionisti al labirinto. Passando per Koula e Hom.
Anche questo libro, benché su ben altri toni rispetto al film, racconta di una scelta. Fondamentale. Quella di resistere anche solo con i fumetti alla menzogna della dittatura. Poi se volete ne parliamo distesamente. Intanto leggetelo.
3) Gli archivi di Spirit 14 di Will Eisner (Kappa)
Vero. L’Eisner teorico non mi piace. Anzi. Lo considero fallimentare. Ma quello pratico…no, non quello delle graphic novel, quello delle avventure di Spirit… quell’Eisner lì è grandissimo. Certo, per leggere le storie di Spirit scritte da Feiffer dobbiamo aspettare il 1949, quindi i volumi 18 e 19, ma intanto possiamo accontentarci.
Ed è un bell’accontentarsi. Giuro.
1) Cronachette di Giacomo Nanni (Coconino pres)
Quest’opera è poesia pura basata sulle due direttrici segniche della storia del fumetto. Per far presto: il segno libero, etereo e vagante – e che accetta anche l’imperfezione – da Töpffer a Pratt passando per Charles Schulz e certo Moebius (e tanti altri) e quelli più vicini al segno come ‘iconà o logo: Segar, Gould o Mort Walker fino a Burns, Clowes o Ware. Tra questi due opposti, vi sono ovviamente anche autori ed opere che si pongono su un piano intermedio. Cronachette è appunto intermedio in maniera quasi perfetta, un meta-fumetto sotto tutti gli aspetti, dalla scelta delle linee direttrici della grafica alle reminiscenze del segno dei maestri della storia del fumetto (mai citazionista), al gioco con uno dei meccanismi tipici del fumetto seriale (la strip, in particolare), l’iteratività. Ma se tutto alla fine è un icona rimpianta, un piccolo segno perduto, un retino sgranato fino a farci vedere il nulla dell’esistenza, allora ecco che dietro l’esercizio di stile appare un’opera piena e densa sul senso della vita. La constatazione dell’assurdo dell’esistenza e il suo opposto – l’importanza data ad un affetto venuto a mancare – si rivela per l’assenza di un gatto che sembrava dover esserci per sempre e invece non c’è più e, inconsolabili, non riusciamo a crederci. Proprio come certo fumetto del passato. Bisogna tornare alle fonti, alla fonte di tutto. Perché in questo fumetto ectoplasmico, si pensa anche al segno-poesia, alla ricerca dell’infinitesimale, alla delicatezza di un artista immenso e discreto come Henri Michaux sul quale Nanni aveva fatto un lavoro per Mano oltre dieci anni fa. Altra reminiscenza: quella degli inizi di Nanni.
2) Esercizi di stile di Matt Madden (Black Velvet)
Questo è l’unico titolo ludico tra quelli scelti : eppure è un’opera geniale e profonda, un esercizio di stile tutt’altro che vuoto, ma anche qui, il tema sottotraccia è proprio l’assurdo e il vuoto dell’esistenza. Proponendoci una variante dell’omonimo libro di Raymond Queneau, Madden, interroga in maniera vorticosa e spumeggiante, la storia del fumetto e gli eterni ed infiniti (?) possibili del suo linguaggio. E anche qui è ovviamente opera di reminiscenze (ma anche di citazionismo), fantasmi (futuri), gioco sull’assurdità dell’esistenza: perché dopo tanta densissima vivisezione dei possibili di ‘vità di una tavola, l’assenza improvvisa del suo creatore, di Madden (si veda l’ultima tavola), lascia increduli, lascia un vuoto. Far sentire la vertigine della perdita improvvisa, subitanea, assurda, lasciando solo balloon od oggetti disegnati come ultime vestigia? Si.
3) La morte alle calcagna di Marko Turunen (Canicola)
Un viaggio ipnotico con mutanti alla ricerca dell’umanità perduta. Narrato mediante brucianti flash, le immagini sono tuttavia di una straordinaria densità e di conseguenza lo è l’intera narrazione. I micro-eventi più insulsi della nostra quotidianità o le angosce più ricorrenti trasfigurate in un incubo che ha la bellezza del sogno incantato, quello fatto addormentadosi d’estate guardando la volta stellata dopo aver visto un vecchio b movie. Qui si tratta infatti di immaginario riciclato: la serie B, la pubblicità, l’estetica industriale, i fumetti di supereroi e quelli Disney; eppure si tratta ancora di reminiscenze della memoria, di proustiane madeleines mal digerite ma rielaborate grandiosamente, di pop, a tratti di trash, trasformato in oro: ciascuna immagine del finlandese Turunen pare antica. Un exploit.
4) Fun home di Alison Bechdel (Rizzoli)
La Bechdel non è una gran disegnatrice ma utilizza al meglio, anzi magistralmente, l’intreccio tra testi citati – che prendono una valenza segnica talmente si espandono nella narrazione, nelle vignette – e narrazione autobiografica, quella di un vissuto doloroso. Anche qui vi è una sorta di metafumetto, o meglio, sperimentalismo intertestuale, memoria perduta, reminiscenze, e il languore per un’assenza, un vuoto improvviso – la morte improvvisa del padre – con la conseguente commovente necessità della riappropriazione di una figura paterna sempre sfuggente ma dalla presenza fortissima, immanente. Come simboleggia l’ultimissima vignetta.
5) Siberia di Sergei Maslov (ed. Alet)
La modestia di questo autore giunto da nulla, non dal vuoto del mondo pasciuto capitalistico, ma dalla vera tragedia della vita, dalla sua durezza più totale, e la dolcezza, la finezza, l’umanità con cui racconta tutta la sua dolorosissima esperienza di vita nella Russia comunista, senza mai divenir nostalgico-reazionario, ma rimanendo sempre un umanista, è straordinaria, tocca nel profondo. È rimasto di sinistra, a prescindere da quelle che sono oggi le sue convinzioni politiche (che non conosco). Perché nei suoi fumetti c’è l’essere umano, la fiducia in esso, la vittoria della dignità dell’umile sui forti: non siamo lontani, malgrado la diversità totale (tematica, stilistica, narrativa, di matrice ideologica), dall’etica di Munöz e Sampayo. Peccato che l’editore italiano, senza dubbio con il nobile intento di far in un unico libro due titoli ad un prezzo contenuto, abbia rimpicciolito fortemente il formato rispetto all’edizione originale. Risultato: la forza del disegno di Maslov è ridimensionata non poco, soprattutto i racconti brevi del secondo volume, disegnati con pennino finissimo, dove si vede l’evoluzione grafica dell’autore e riecheggiano la pittura, il disegno russo del passato; immagini precise nella rappresentazione della natura e tuttavia eteree, riescono a farci sentire l’aria tersa, a farci percepire il cielo cristallino della Russia siberiana.
6) Dimmi che non vuoi morire di Igort & Carlotto (Mondadori)
Un grande noir impressionistico, un meraviglioso fumetto della memoria, di reminiscenze, di ombre stanche, di vestigia di una civiltà decadente, quella occidentale, ma soprattutto quella italica. Ma il fumetto vi riesce soprattutto grazie al talento visivo di Igort: proprio come per certi film molto intensi e di cui abbiamo ben compreso la trama ma di cui ci rimangono in testa, chissà perché, principalmente le atmosfere e certe sequenze potentissime, oniriche, qui, alla fine, restano nella memoria sequenze come quella iniziale o quella finale che sono di questo tipo. Forse è tutto un sogno, un illusione.
7) Tomka di Carlotto & Palumbo (Rizzoli)
Sono spavaldi, arditi, eroici, passionali, e senza retorica. E tuttavia paiono già ombre stanche di una guerra terribile, fratricida, su cui si staglia, incombente, l’altra grande carneficina, quella hitlerian-mussoliniana. E questo grazie al raffinatissimo lavoro grafico di Palumbo, estremamente sensibile, pieno di reminiscenze grafiche dal fumetto argentino di matrice espressionista ma anche dall’illustrazione d’epoca, insomma una rielaborazione sentita delle estetiche retrò, perché le atmosfere sono pregnanti, che non ha nulla del citazionismo postmoderno. Un’opera importante sulla memoria.
8) Tekkonkinkreet vol. 1 – Soli contro tutti di Taiyou Matsumoto (Kappa)
Finalmente arriva anche in Italia Taiyou Matsumoto, acclamato da tempo in altri paesi occidentali, grazie alla Kappa. In attesa di leggere le sue opere più mature, l’eccellente Tekkonkinkreet, di oltre dieci anni fa, è un ottimo viatico per scoprire l’opera di questo artista nipponico che, influenzato da Moebius, ha elaborato uno stile personale che comincia ad avere i suoi imitatori. Qui adolescenti no-future dall’estetica che rimanda ad Arancia Meccanica, sono esseri filiformi e sperduti in un mondo di ghiaccio dominato dalla Yakuza e più in generale dai forti. Un mondo punk impazzito, in cui tutto è obliquo e distorto: dalle inquadrature ai palazzi, passando per le costruzioni e, come detto, le stesse figure ‘umané. Un artista da seguire con attenzione.
9) Emporio vol. 2 di Loisel e Tripp (Lizard)
Loisel fece negli anni ’90 una rivisitazione poetica, psicanalitica, simbolica, mista a elementi autobiografici, di Peter Pan, un capolavoro non abbastanza messo in evidenza. Il classicismo del segno dell’autore, segno sensuale e ‘lussureggianté, la sua ritrosia a pose intellettuali, la sua semplicità fuorviano. Eppure il suo Peter Pan era stranissimo: il romanzo e il film Disney di partenza, sono stravolti in un’opera sociale, dickensiana, disturbata, dove pedofilia, violenza – sessuale e non – e morte sono all’appuntamento e alla fine perfino la magica isola che non c’è sarà intaccata: l’isola dell’immaginario dovrà ricorrere all’oblio, dovrà dimenticare per rimanere sé stessa o tentare di farlo. È la conseguenza logica di un’opera fondata sulla necessità della memoria, sul dolore come apprendimento per, paradossalmente, amare di più la vita. Partorita sull’onda della memoria di quello disneyano, riesce a non esserne vittima, a non rimanere lui, l’autore, eterno e regressivo Peter Pan, pur omaggiando l’opera originaria. Così. Emporio, è il suo straordinario rovescio: si fa un’opera apparentemente adulta, ma fanciullesca nella spirito, contro la facilità eccessiva con cui ci si compiace oggi, nell’elaborare sistematicamente opere senza speranza. Se hanno potenza, originalità ed esprimono una verità va bene, altrimenti c’è il rischio dell’autocompiacimento nichilista. Allora Loisel (che vive in Québec), assieme ai suoi complici ci propone un’opera intrinsecamente fatta di reminiscenze, dai toni alla Frank Capra (per sua stessa ammissione), a quelli di un mondo rurale andato perduto (il Québec degli anni ’20), ai modi di vita (per non parlare dei sapori…) autentici nel modo di rapportarsi agli altri, al fumetto, a cominciare dall’estetica arrotondata, molto disneyana, (tra l’altro, per ammissione dell’autore fatta al sottoscritto, il vecchietto della nave è una reminiscenza proletaria e contestataria del Popeye di Segar). Ma attenzione: il mondo di Emporio non è l’Arcadia, non è un mondo regressivo, non è un Isola che non c’è e che non ci sarà mai. È un cavallo di Troia che nasconde il verso significato dell’opera. Le reminiscenze da Il pranzo di Babette (romanzo e film) producono infatti un senso sull’oggi: la cucina del ristorante rinsalda non solo il senso della comunità (uno dei valori persi del mondo di oggi) ma è anche interclassista, la memoria del passato – appunto il mondo rurale del Québec anni ’20 – è utile per il mondo di oggi e l’apertura verso l’esterno – simboleggiata da Serge che apre il ristorante d’alta cucina – altrettanto portatrice di verità. Peccato che l’edizione italiana rovini totalmente l’enorme lavoro sui dialoghi che recupera – facendo anche qui un lavoro di memoria antropologica – la parlata, musicale e caustica, di quel mondo rurale. Visto l’enorme lavoro che gli autori fanno ormai sui testi, è ora che gli editori comincino a investire un po’ di più nelle traduzioni.
10) Lupus vol. 2 – La fine della storia di Frederik Peeters (Kappa)
Avete presente Guerre Stellari e certi suoi interpreti-caratteristi che si nascondono ad esempio in un locale fumoso e sono magari degli informatori o dei ricettatori? Nel Lupus di Peeters si rivisita quest’immaginario qui, ma connotandolo a sinistra. Insomma, Lupus è un Guerre Stellari fricchettone e di sinistra: abbiamo degli anarchici-nostalgico-comunisti depositari di una memoria perduta, delle multinazionali che schiacciano miseramente l’individuo, in parole povere il mondo di oggi. Ma la solitudine che ne scaturisce per l’individuo è controbilanciata dalla (ri)scoperta dell’amore anche qui interclassista. Non mancano significativi riferimenti autobiografici e reminiscenze dal fumetto space-opera, come il Flash Gordon di Alex Raymond.
Fuori programma
Brodo di niente di Andrea Bruno (Canicola)
Sarebbe il vero vincitore per quanto mi riguarda, ma i criteri di selezione lo tengono fuori. Tuttavia, quelle poche tavole in più, rispetto alla versione prepubblicata sulla rivista Canicola, aggiungono, acuiscono fortemente il senso che l’opera veicola, la sua forza poetica e simbolica: sembra quasi di leggere un inedito, malgrado la prima versione fosse già fortissima. Preti-macchie d’inchiostro – al crocevia tra la macchia impressionista e l’ìcona – visi ‘giovanilì da estetica espressionista, il cui espressionismo è in parte svuotato da…occhi dall’orbita vuota, come maschere da teatro greco appese a un muro: ho già scritto questo paragone, ma mi sembra quello più giusto. Perché quello rappresentato è un mondo antico, primordiale – siamo in un’Italia dall’epoca imprecisata, dilaniata da un conflitto interetnico e quindi interreligioso – ma è anche la metafora, più in generale, di un mondo inselvatichito, regredito al primordiale ma senza neanche la grandezza, il lirismo di quel mondo antico: non c’è più nemmeno l’epica, il primordiale si è fuso col vuoto del postmoderno. Del resto in Cina non è stato fuso il peggio del capitalismo col peggio del comunismo?
Menzione storica
1) Dreams of the rarebit fiend di Winsor McCay (Freebooks)
Perché non si rilleggera/riguarderà mai abbastanza McCay. Lui cercava il difforme, il mostruoso, l’uomo elefante, girava per le fiere, i dime museum, e si incantava con i ‘mostrì, i freaks che nessuno voleva vedere tranne che nei parchi-divertimento, in particolare il ricco pasciuto borghese. Così è forse logico che McCay prima o poi li trafiggesse: nei suoi mangiatori di crostini al formaggio, come fu scritto molto tempo fa, c’è infatti del surrealismo alla Buñuel, i borghesi pasciuti sono alle prese con le loro angosce dell’apparire. Allora, durante una cena, devono proferire un discorso e cominciano a incespicare nelle parole, e più cercano di correggere e più incespicano nelle parole e più vi incespicano e più le persone della tavolata li guardano increduli…che disonore, che angoscia, che incubo! McCay, dunque, prefigura il surrealismo, Buñuel, la psicanalisi, e tante altre cose…e che eleganza, che senso del movimento coreografico delle vignette all’interno di una tavola con spesso la staticità dei personaggi all’interno delle vignette medesime. Un autore degli exploit.
2) Popeye vol. 1 di Segar (Planeta)
Segar, diceva Eisner, mi ha insegnato a creare l’espressività dei personaggi giocando su variazioni minime del segno. E già in questo è fascinoso, nella sua teatralità da maschera. Ma il Theatre di Segar era in realtà l’America reale, proletaria, suburbana o campagnola, piena di personaggi alienati e assurdi già allora. Un fumetto socio-antropologico zeppo di invenzioni geniali e di personaggi folli, surreali e inquietanti ma divertenti. Un inno alla follia, alla diversità.
3) Tales of the crypt di AAVV vol. 1 (001)
Con tanto parlare, al giorno d’oggi, di pop art, di trash, bisognaallora riscoprire i fumetti horror della EC Comics (come quelli di guerra, come gli autori di Mad), che furono fumetti ‘sporchì, non levigati, ma contestatari e nn vuoti, e tendenzialmente, trasfiguravano in maniera tutta loro, più sporca appunto ma tutt’altro che priva di bellezza espressiva, l’estetica del cinema bn, con un lavoro potente sui chiaroscuri, trovando così una loro strada – dal basso dei comic-books (all’epoca considerato il supporto reietto nella professione rispetto a quello del quotidiano) – a quanto facevano i loro fratelli maggiori delle comic strip o sunday pages, gli ‘aristocraticì Caniff, Sickles, Raymond (quello di X9 o Rip Kirby, ovviamente), Robbins, ecc. e poi proseguita dal fumetto d’autore con autori diversi come Pratt, Muñoz, Milazzo, Miller (Sin City), ecc.
1) La Perdida di Jessica Abel (Black Velvet)
Bellissima e curatissima edizione di una storia di una grande narratrice a fumetti. Imperdibile anche solo la copertina!
2) Cronachette di Giacomo Nanni (Coconino Press)
Giacomo Nanni lavora sul linguaggio a fumetti, sulla sua grammatica e ci consegna un tratttato sul fumetto fatto di aforismi dove la storia passa attraverso lo specchio dell’alter ego di molti disegnatori: il gatto. In questo caso è una gatta Esterina, o per dire il vero, se si può dire, la sua ombra.
3) La città della luce di Inio Asano (Kappa Edizioni)
Inio Asano ci racconta il giappone moderno. Non tutto quello che luccica è oro, dice il proverbio. Asano ci spiega proprio del buio dietro le scintille.
4) Lupus vol. 2 di Benoit Peeters (Kappa Edizioni)
L’autore conclude la storia lì dove l’ha praticamente iniziata, alla scoperta delle radici di un se stesso smarrito. Il racconto segue puntuale la ricerca di un’identità che non è solo quella del protagonista, ma di una generazione intera.
5) Trés di Davide Toffolo (Coconino Press)
Tre racconti-atti per un teatro politico, pure risolto, come sempre avviene quando si viv nei sistemi dittatoriali, con l’espediente del ritrovamento casuale di un manoscritto. Sembra che ci racconti qualcosa di lontano, ma invece è più vicino di quanto pensiamo. Interessante l’alternanza della documentazione dei disegni. Il falso è vero, titolava un libro Piermario Ciani.
6) Dimmi che non vuoi morire di Massimo Carlotto e Igort (Mondadori)
Evanescente come il segno a matita che rende sbiadita la trama di un poliziesco che scava più nella psicologia dei rapporti interpersonali, sempre complicati quando c’è di mezzo una bionda che pure assume l’identità di un’altra. La storia non può che finire male, però graficamente il finale è bellissimo! Una conturbante combinazione.
7) Inchiostro di Jack di Paola Cannatella (Tunué)
Come un amore “platonico” diventa vero da una scrittura d’inchiostro di china. L’immaginario femminile in rivolta! Il segno anche se ancora ingenuo per certi versi, risponde perfattamente al tenore a metà tra l’Incantato e il disincantato della storia.
8) La magnifica desolazione di Paolo Bacilieri (Kappa Edizioni)
Visionario e originale come sempre, Bacilieri parte da uno spunto narrativo e ti trascina da tutt’altra parte con estrema scioltezza. Sa tenere in piedi in ogni modo una storia con un disegno potentissimo.
9) Lenore di Roman Dirge (Elliot)
Per chi non conosceva I mini albi originali di Lenore è una sorpresa l’edizione italiana. Comunque il personaggio gothic-fantasy rimane forte e indelebile nella memoria degli sbilenche lettori di fumetti.
10) , Shenzen di Guy Delisle (Fusi Orari)
Una scrittura vicina al diario, alla cronaca quotidiana, anche piccolissima. Una storia fatta di niente all’apparenza, uno sguardo su un Paese che sta cambiando troppo velocemente e non sa bene dove sta andando, evidentemente. La grafia minuta dell’autore prova a registrare qualcosa che è difficle da capire da chi sta dentro, figuriamoci da chi sta fuori. Così per noi.
Menzione storica:
1) La Fenice di Osamu Tezuka (Hazard)
Ammirevole il lavoro che la Hazard edizioni sta facendo nei confronti del grande maestro Tezuka. La Fenice mancava all’appello e rimane l’impressione che il formato e il taglio editoriale mantengano la straordinaria modernità della storia.
2) Dreams of the rarebit fiend di Winser McCay (Free Book)
Non possiamo che inchinarci come sempre alla dimensione fantastica e strepitosa del pioniere del fumetto che ha aperto le strade alla narrazione d’autore contemporanea con straordinario anticipo. Bella l’edizione che conserva il senso del tempo.
3) L’Acchiappastorie di Carlos Trillo e Alberto Breccia (Comma 22)
In un momento storico come quello che stiamo attraversando arriva presente l’Acchiappastorie, con il suo carico dolente e forse per noi preveggente.
1) Shining Knight – Sette Soldati della Vittoria vol.3 – di Grant Morrison e Simone Bianchi (Planeta DeAgostini)
Fumetto allo stato brado, opera d’intrattenimento che guarda in alto schivando stucchevolezze e banalità, “Sette Soldati della Vittoria” è una maxi-serie composta da miniserie in cui lo sceneggiatore Grant Morrison si appropria di un concept del passato attualizzandolo in chiave esoterica.
Sette guerrieri chiamati dal destino a combattere contro una minaccia cosmica; le loro rispettive strade, tuttavia, non si incrociano mai se non attraverso i risultati delle loro azioni individuali – apparentemente slegate – che, alla fine, si sommano conducendo uno di loro a scagliare il colpo definitivo verso il nemico; nel non-gruppo è sempre presente un traditore e c’è sempre una vittima designata.
Tra i vari capitoli della saga – che presentano una sequela interminabile di omaggi artistico-letterari: da Harlan Ellison a Michael Moorcock, da Jack Kirby a Frank Frazetta, da Freud a Jung – scegliamo quello graficamente più spettacolare, illustrato con visionario iperrealismo (e qui l’ossimoro risulta necessario) dal lucchese Simone Bianchi.
Se “Sette Soldati della Vittoria” fosse stato pubblicato una ventina di anni fa, sarebbe subito assurto allo status di capolavoro esattamente come accadde a “Il Ritorno del Cavaliere Oscuro” e “Watchmen”.
2) Alice in Sunderland di Bryan Talbot (Comma 22)
Si parte dalla vita e dalle opere di Lewis Carroll e da lì Bryan Talbot si addentra in una monumentale cronistoria del nord-est britannico che va a toccare… di tutto, di più: eventi, invenzioni, letteratura, arte, architettura, toponomastica, cultura popolare, miti e leggende, cinema, teatro, biografie e autobiografie, musica, ecc., ecc.
Didascalico senza quasi mai scadere nel tedioso, apparentemente troppo concentrato su un micro-universo distante e, in alcuni casi, alieno, “Alice in Sunderland” affascina per la capacità di mostrare come nel mondo, in fin dei conti, tutto sia collegato senza soluzione di continuità e come questo discorso valga per ogni cosa, dall’universale al particolare.
Ciò che vale per la contea di Sunderland vale per ogni regione, per ogni città, per ogni luogo. Tutto ciò che Talbot racconta – attraverso pagine bellissime e riccamente decorate, frutto di un estenuante lavoro di ricerca e composizione – fa automaticamente tornare alla mente qualcosa che riguarda la propria terra, una qualche curiosità che si relaziona al nostro mondo privato.
E sfido chiunque a non versare lacrime a profusione leggendo il resoconto del fatto di cronaca che ha poi condotto alla realizzazione delle porte anti-panico, caposaldo della legge che regola la sicurezza nei locali pubblici.
3) Jim Cutlass – L’Alligatore Bianco di J. Giraud e C. Rossi a puntate su “Lanciostory” nn. 26-30 (2007) (Eura Editoriale)
Ideato da Charlier & Giraud, gli stessi autori del ciclo western di “Blueberry”, “Mississipi Blues” – primo tomo della serie dedicata al Jim Cutlass – era stato più volte proposto in Italia, ma senza che i lettori nostrani riuscissero a sapere più nulla delle sorti del giovane avventuriero protagonista della storia. Menzione di merito all’Eura Editoriale, dunque, che in poco meno di un anno e a cadenza settimanale è riuscita a proporre – su “Lanciostory – tutti i capitoli della saga con tanto di conclusione.
Jim Cutlass appare dapprima come attore di un southern dai toni molto classici ambientato tra Alabama, Mississipi e Louisiana, ma poi – venuto meno l’apporto ai testi di Charlier e dopo alcuni anni di silenzio – il personaggio si trova coinvolto – a partire dal volume intitolato “L’Alligatore Bianco” – in vicende dai toni sempre meno realistici e sempre più fantastici e surreali.
Il passaggio dell'”umanoide” Giraud alle sceneggiature si sente tutto: il ritmo diventa fresco e giocoso, gli scambi di battute vivaci e coinvolgenti. Ma anche i disegni di Christian Rossi sorprendono per la capacità dell’autore di narrare con un uso sapiente della texture – l’oscurità delle paludi, i rituali del Ku Klux Klan, la dimora degli zombi sono resi con inquieta maestria – e una perfetta padronanza delle closures tra una vignetta e l’altra – come attestano la regia delle scene d’azione e i tempi a orologeria degli intermezzi da commedia.
“L’Alligatore Bianco” dà, insomma, il via a un’avventura che – tomo dopo tomo, ognuno correlato all’altro in maniera inscindibile – regala un crescendo di emozioni e si propone come un capolavoro di tecnica fumettistica.
4) Ice Haven di Daniel Clowes (Coconino Press)
Nelle opere di Daniel Clowes la vita di provincia diventa spesso spettro di una tragica condizione esistenziale.
“Ice Haven” segna un’altra tappa importante di un percorso che tende a dimostrare come il termine “minimalismo” nasconda in realtà la messa in scena di catastrofi cosmiche sotto forma di poco appariscenti implosioni dell’anima.
Se vi aspettate chissà che dalla fine del mondo, correte a leggere le pagine di Daniel Clowes: lui conosce perfettamente le mille, banali, sottili variazioni dell’apocalisse. E sa che il tutto avviene quotidianamente, sotto i nostri occhi addormentati.
5) Gli Occhi e il Buio di Gigi Simeoni (Sergio Bonelli Editore)
Un thriller d’ambientazione italiana, cronologicamente situato agli inizi del Novecento: ce lo saremmo aspettato partorito dal talento romanzesco di un Gianfranco Manfredi e invece ecco all’opera Gigi Simeoni che “Gli Occhi e il Buio” se lo sceneggia e disegna da solo.
Trama convenzionale quanto ritmata e ben gestita, qualche incertezza iniziale nella parte testuale, ma su tutto domina l’urgenza narrativa, la passione indiavolata dell’autore che – sorretto da sincerità, bravura tecnica e audace sensibilità storica – dà vita a un intreccio che avvince, convince e inquieta al di là di ogni dubbio e perplessità.
6) Afrika di Hermann a puntate su “Lanciostory” nn. 37-41 (2007) (Eura Editoriale)
Racconto su un uomo ossessionato dal suo ruolo marginale di difensore di un pezzo di savana? Denuncia di quell’intreccio di interessi politici ed economici destinato inevitabilmente a distruggere il cuore del continente africano? Racconto d’azione che porta alla luce tutto lo sdegno, il pessimismo e la passione politica, sociale ed ecologica di Hermann?
“Afrika” è tutto questo: un amaro action thriller senza sbalzi fracassoni che colpisce come un pugno allo stomaco, sintetizzando la sorte dell’Africa centrale in un triplice finale per niente consolatorio.
7) Mamma torna a casa di Paul Hornschemeier (Tunuè)
Storia della rielaborazione di un lutto, “Mamma torna a casa” è un concentrato di atmosfere rarefatte e impalpabili che agiscono come un bisturi sottile puntato al cuore del lettore.
Minimalismo, sì: ma, ancora una volta, il minimalismo funge da mezzo per rappresentare una deflagrante e dolorosissima apocalisse privata.
8) X-Factor di Peter David & AA.VV. – tutti gli episodi pubblicati nel 2007 su “X-Men Deluxe” (Panini Comics)
“X-Factor” è un fumetto che a rigor di logica non dovrebbe esistere: prende il via da eventi sviluppatisi altrove – House of M e Son of M -, raggruppa personaggi le cui storie si sono dipanate negli anni su una miriade di altre testate, si intreccia in continuazione con una raffica di re-boot e mega cross-over – Decimation, X-Men: Deadly Genesis, Civil War -, è di fatto incomprensibile per chiunque non legga i fumetti della Marvel e, in particolare, le testate dedicate ai mutanti della Casa delle Idee.
Eppure “X-Factor” prospera rigoglioso laddove qualsiasi altro titolo sarebbe marcito. Merito innanzitutto di un Peter David ironico e maturo che sfrutta il Marvel Universe per quello che è: uno scenario vivo e autonomo che costituisce una terra parallela visitabile attraverso disegni e vignette.
Le storie di “X-Factor” assomigliano paradossalmente a vita vissuta: sfogliando i comic-book della serie sembra di affacciarsi su accadimenti che si dipanano qui e ora mentre vi si assiste, che possiedono un’autonomia sorprendente sia nei confronti delle esigenze commerciali di continuity, sia nei confronti dei fruitori stessi.
Non importa se lettori e fan sono presenti, non importa se lettori e fan l’acquistano regolarmente ogni mese: il serial “X-Factor” starebbe sempre lì, esisterebbe a prescindere e le vicende che propone continuerebbero a evolversi anche se l’albo in questione non venisse più pubblicato.
Nouvelle Vague supereroistica occultata tra le perverse pieghe del mainstream.
9) Gli Eterni di Neil Gaiman e John Romita jr (Panini Comics)
In molti lo davano come un “disperso” eccellente, Mr Neil Gaiman. Coinvolto in una caterva di progetti extra-fumettistici dai risultati altalenanti seppur altamente pubblicizzati, il creatore di “Sandman” – serial di culto dei primi anni Novanta – non brillava da tempo nemmeno nell’ambito dell’industria dei comics, imbarcandosi in progetti che, in genere, pur viaggiando ben oltre la piena sufficienza, non guadagnavano mai certi picchi di eccellenza del passato.
Anche “Gi Eterni” non ha riscaldato gli animi dei lettori: eppure è proprio su questa maxiserie – illustrata da un John Romita jr potente ed evocativo – che Gaiman riesce a recuperare la verve degli anni d’oro.
Ne “Gli Eterni”, Gaiman recupera il concept di Jack Kirby e, senza tradirlo, ne esalta il valore mitopoietico “pop” che lo ha reso virtualmente indimenticabile.
Dialoghi impeccabili e carichi di ironia – con sapide prese in giro della cultura di massa e del politicamente corretto -, un gusto per il fantastico che si traduce in visioni di ampissimo respiro, alternanza cronometrica di azione e commedia, dramma e poesia, horror e humour nero. E un rispetto profondo per le regole dell’industria e dell’intrattenimento.
Da (ri)valutare senza preconcetti e nostalgie mal dirette.
10) Julia n. 105 – L’imitatore di G. Berardi/L.Calza – C. Piccoli (Sergio Bonelli Editore)
Bisognerebbe indagare, un giorno, sull’apporto fondamentale che lo sceneggiatore Lorenzo Calza sta fornendo alla collana “Julia”. I suoi testi sono ormai riconoscibilissimi – molto al di là della semplice menzione nei credits – e la storia intitolata L’imitatore attesta tutta la sua bravura: una sequenza d’apertura da manuale – lodi al disegnatore Claudio Piccoli – un comprimario occasionale – in questo caso un voyeur trasformatosi in testimone involontario di un delitto – che da solo meriterebbe una miniserie, uno sviluppo senza momenti di stanca, un finale all’altezza.
Il fumetto “popolare” nella sua dimensione ideale.
Menzione storica a pari merito:
Evaristo di Carlos Sampayo – Francisco Solano Lòpez su “Lanciostory” nn. 26-43 (2007) (Eura Editoriale)
Pubblicato un quarto di secolo fa sulla rivista “L’Eternauta”, la saga del commissario Evaristo, duro poliziotto della Buenos Aires degli anni Cinquanta, mantiene intatta tutta la sua forza e, se possibile, assume oggi nel nostro paese un valore ancora più forte.
Le sceneggiature oblique di Carlos Sampayo trovano in Solano Lòpez un esecutore grafico partecipe e commosso che illustra con segno denso una capitale argentina attraversata da fremiti inquietanti, del tutto simili a quelli che ci troviamo a vivere oggi in Italia.
Due episodi spiccano tra tutti: quello incentrato sul rapimento di un criminale nazista da parte del Mossad col tacito consenso del governo nazionale argentino (che richiama il recente caso dell’imam milanese Abu Omar) e quello degli zingari che fungono – come sempre – da capro espiatorio per le insicurezze sociali.
A quando un’edizione in volume che appare ormai indispensabile, magari nella collana targata Eura “I Giganti dell’Avventura”?
Ana di G. & F. Solano Lòpez – F. Solano Lòpez (001 Edizioni)
Dovrebbe leggerselo Giuliano Ferrara questo libro devastante e disturbante realizzato da un padre e un figlio costretti, negli anni Settanta, a fuggire dalle spire della dittatura argentina. Forse riuscirebbe a riflettere qualche istante in più sulla vacuità del suo proposito post-avanguardista.
Ana è la storia di una donna violata che viene travolta da una vita senza speranza; è l’atto di accusa di una persona fatta a pezzi dal potere, dalle ingiustizie sociali, dall’assenza di valori umani.
Opera sofferta, Ana è pura terapia artistica, tragedia catartica i cui pesanti inserti polemici e retorici non ledono la sua forza etica, morale e civile.
Attualissimo.
Popeye vol. 1 di E.C. Segar (Planeta DeAgostini)
L’integrale del “Popeye” di Segar è un sogno che diventa realtà.
Nel nostro paese le strisce dedicate al marinaio guercio e forzuto erano sempre state presentate in modo disorganico, con continui rimontaggi delle vignette.
Ora, invece, la Planeta DeAgostini propone in libreria dei volumi di grande formato dove strip e tavole domenicali compaiono ordinate in maniera cronologica, con riproduzioni a colori e in bianco & nero e un adeguato apparato critico.
E poi Segar è un genio dell’umorismo e dell’avventura pura: chi ha conosciuto le gesta di Braccio di Ferro soltanto attraverso i cartoni animati, si ritroverà a leggere un capolavoro denso di azione, di atmosfere magiche, di battute sagaci.
Nota di merito al traduttore: riprodurre in maniera perfetta lo slang con cui Segar fa parlare molti suoi personaggi – Popeye, in primis – deve essere stato un lavoraccio degno di un qualche premio specifico.
1) La magnifica desolazione di Paolo Bacilieri (Kappa)
2) Alice in Sunderland di Bryan Talbot (Comma 22)
3) Riflessi 3 di Marco Corona (Coconino)
4) Kane 1 di Paul Grist (BD)
5) Gea #17-18 di Luca Enoch (Bonelli)
6) Tomka di Massimo Carlotto e Giuseppe Palumbo (Coniglio)
7) Leo pulp 3 di Claudio Nizzi e Massimo Bonfanti (Bonelli)
8) Esercizi di stile di Matt Madden (Black Velvet)
9) Chi vuol uccidere Picasso? di Nick Bertozzi (Guanda)
10) Diario di un qualunquista di Gianluca Costantini (Fernandel)
Menzione storica
1) Demon di Jack Kirby (Planeta DeAgostini)
2) Gli archivi di Spirit 14 di Will Eisner (Kappa)
3) Real Love di Joe Simon e Jack Kirby (Comma 22)
1)P-HPC di Ausonia (Leopoldo Bloom)
Il libro dell’anno, che offre nuove prospettive al fumetto e ai suoi autori. È anche una storia struggente, che racconta la contemporaneità nella sua essenza più disperata.
2) La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick (Mondadori)
Dopo un’opera a metà tra fumetto e fotografia, eccone un’altra a metà tra romanzo scritto e romanzo fumetto.
Anzi, potremmo dire metà disegnato e metà scritto, e la prima non illustra la seconda ma si fonde con essa in un qualcosa di piuttosto nuovo e comunque meraviglioso. È giusto che stia in questa classifica? Per me sì, come esempio di innovazione da considerare. Faccio presente che lo ha pubblicato Mondadori…
3)Gli occhi e il buio di Gigi Simeoni (Bonelli)
Questo sì che è un vero romanzo, ricco, abbondante, coerente. Disegno svelto ma piacevole e soprattutto un grande tessitore di azioni e stati d’animo. Grande Gigi Simeoni!
4) Fun Home di
Bechdel Alison (Rizzoli)
Da rimanere senza parole. Ancora autobiografia, ancora la famiglia al centro della riflessione. La famiglia e l’omosessualità. Un lavoro che dimostra come siamo solo all’inizio.
5) Indigo Blue di Ebine Yamaji (Kappa Edizioni)
Un altro lavoro raffinato e coerente. Un piccolo capolavoro di introspezione, che conferma l’assoluto primato dei giapponesi nel rappresentare a fumetti i sentimenti dei giovani del 2000.
6) Inchiostro di Jack di Paola Cannatella (Tunué)
È il primo libro ed è una costruzione necessariamente complessa, perché si tratta di fare i conti con le proprie ossessioni e con la paura dei propri limiti. Peccato non aver realizzato una completa autobiografia, ma il libro regge comunque ed è stilisticamente pregevole ed elegante. C’è l’Italia giovanile del sud che ne viene fuori in tutta la sua bellezza e problematicità.
7) Milano criminale di Diego Cajelli e Marco Guerrieri (edizioni BD)
Forte, ironico e divertente, oltre che prova d’autore maiuscola. Peccato sia così veloce da leggere! Ne voglio ancora….!
8) Esercizi di stile di Matt Madden (Black Velvet)
Vedo che lo criticano e lo sottovalutano. Per me è un manuale di possibilità. Certo, alla lunga ripetitivo, ma secondo me gli italiani non hanno ancora capito…
9) Ice Haven di Daniel Clowes (Coconino)
Un manuale della sfiga del nerd fumettistico. Quasi l’altra faccia di quelli che non capiscono buona parte dei libri di questa lista. Tremendo. Ma necessario.
10) Neven di Joe Sacco (Mondadori)
Già dieci libri e sono ancora fuori Corradi, Calia, Spataro, De Carli, Rizzo, Ripoli, Nanni e molti altri che quest’anno si sono fatti valere alla grande. Ma Joe Sacco è stato là, ancora una volta, dove l’umanità ha vissuto una delle sue più recenti e tragiche epifanie. E ce le racconta per bocca di una persona tanto sgradevole e falsa, quanto purtroppo autentica e necessaria.
Fuori classifica causa regolamento
Brodo di niente di Andrea Bruno (Canicola)
In un momento storico in cui Vescovi e laicità si trovano in conflitto, ecco un autore che immagina una guerra civile dove i preti sono una delle forze militari in campo. Il tutto con la consueta semplicià d’animo, oltre che una prova grafica da maestro.
Menzione storica
1)I professionisti di Carlos Giménez (Black Velvet)
Storie di come si facevano fumetti una volta, ma che hanno ancora tanto da dirci. Esilarante, oltre che lettura istruttiva… Edizione ottima.
2)Ana di Solano Lopez (001)
Forse un’opera secondaria rispetto ai tanti classici riproposti nel 2007. Ma è una storia forte, dura, feroce, uscita dall’animo di un autore che ha sempre raccontato storie che hanno lasciato il segno.
3) Gli eterni di Jack Kirby (Panini)
Gli Eterni di qua, gli eterni di là… eccoli qua finalmente.
Certo, il nostro imprinting è avvenuto con un’edizione più grande, su quella carta porosa che sbiadiva i colori, ma che aveva un suo fascino. Questa edizione non riesce neanche lontanamente a far riassaporare quelle sensazioni. D’altronde è l’unica occasione sensata per conoscere uno dei capolavori di Kirby, dove le suggestioni della fantasia raggiungono il loro apice!
1) La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick (Mondadori)
Un gioiello narrativo di 600 pagine che mette in crisi tutti i tentativi di classificazione. Le immagini occupano sempre doppie pagine, come in certa tradizione del picture book, ma si inseguono rapidamente, quasi giustapposte e sicuramente in sequenza. Non ci sono balloon e tutte le parole occupano coppie di pagine a loro esplicitamente dedicate. Il libro si compone di centinaia di pagine prive di figure e di centinaia di pagine prive di parole. Eppure, il codice verbale e quello iconico collaborano nella maniera più efficace. Il miglior libro che abbia letto quest’anno (non solo tra quelli illustrati) miscela parole e immagini e mette in crisi la definizione di fumetto in cui ci piace acciambellarci.
2) Riflessi 3 di Marco Corona (Coconino)
Ignatz è, sulla carta, il progetto più bello e innovativo dell’editoria a fumetti italiana, da un sacco di tempo. Crolla miseramente nella realizzazione. Perché realizzare albi in coproduzione internazionale per finanziare gli autori rende necessarie congiunture di eventi più rare dell’allineamento di sette lune. Da un lato, autori che siano capaci di tenere il ritmo della rivista personale, senza l’assillo della produttività e senza tirar via; dall’altro, editori – in diversi paesi – pronti a evitare qualsiasi ingerenza perché consapevoli dei difficili equilibri.
A parte Marco Corona nessuno è stato capace di confrontarsi col formato. In più, Corona ha infilato un gioiello di rara bellezza e simmetria. Specchi e copula, insegna Borges, sono aberranti perché duplicano l’uomo. Qui ci sono.
3) Alice in Sunderland di Bryan Talbot (Comma 22)
Un importante testo teorico sul fumetto, innestato nella storia sociale e letteraria di una città, incistato in una meravigliosa lettura di Lewis Carroll, avvolto da tutta la tecnica e la tecnologia necessaria. Un sole gelido e distaccato, incapace di muovere il lettore a pulsioni elementari quali il pianto o il riso e, ciò nonostante, meraviglioso e necessario. L’edizione italiana è un po’ piccola se confrontata al bellissimo oggetto editoriale confezionato, negli USA, da Dark Horse. Però, c’è.
4) Cronachette di Giacomo Nanni (Coconino)
C’è un magnifico quadro di Magritte che esprime pienamente la “gattitudine”. Qui, un gatto sui binari guarda il treno come fosse un giocattolo da far deragliare. Allo stesso modo il gatto di questo oggetto, che a uno sguardo distratto potrebbe sembrare una raccolta di racconti brevi da leggere a spizzichi e bocconi assecondando l’estro del momento, osserva il fumetto. Un libro molteplice e non lineare. Frammentario e privo di conclusione. E, nonostante tutto, un libro da leggere, da copertina a copertina, senza salti e senza pause.
5) Le benemerenze di Satana di Marco Corona in Canicola 5 (Canicola)
Quelle magnifiche illustrazioni, corredate da articolate descrizioni, collocano questa breve storia in un territorio a cavallo tra il picture book e l’ex libris. E ti fanno gridare: “Ancora!”
6) Ice Heaven di Daniel Clowes (Coconino)
7) Patatine di Roberto La Forgia in Gli intrusi (Coconino)
8) Il signor Bonaventura e la flessibilità di Tuono Pettinato – in Bonaventura, i casi e le fortune di un eroe gentile (Orecchio acerbo)
9) Federica Del Proposto fumettisottovuoto.splinder.com
10) Il grande Catsby 1 di Doha (Free books)
Menzione speciale
1) Pinocchio di Jacovitti (Edizioni Di)
Pagine abbacinanti in cui si aprono squarci inattesi di immaginario disneyano. Il più bello tra i pinocchi di Jacovitti racconta moltissimo di un giovane autore capace di costruire immagini sublimi. Stupefacente poi come l’influenza disneyana accomunasse – nel segno e nelle forme – autori assai distanti, narrativamente e graficamente, quali l’italico Benito Jacovitti e il nipponico Tezuka Osamu.
2) I professionisti di Carlos Giménez (Black Velvet)
Un libro che esprime il senso profondo del fumetto. Qui ci sono solo storie brevi. Storielle che si incastrano, si inanellano e si intersecano – anche solo marginalmente – nei locali di un’agenzia per fumettisti. È ognuna di esse è carica di finzioni, trucchi e meccanismi narrativi “più umani dell’umano”.
3) Demon di Jack Kirby (Planeta DeAgostini)
E infine un libro che non ci dovrebbe stare, cedendo il proprio spazio all’ottimo Il male di Vincino. Non dovrebbe starci perché, nelle menzioni speciali, un prodotto tradotto e impacchettato, utilizzando i file di un’altra edizione nazionale, non dovrebbe aver senso. Però tutto il Demon di Kirby in un volumetto in bianco e nero, economicissimo e al tempo stesso prezioso (una carta sottilissima capace di non far trasparire quei neri pienissimi) non può non lasciare traccia. Un libro da guardare, una pagina alla volta. Dentro c’è anche una storia che vorrebbe essere letta: non ce l’ho fatta.