Il concetto di superpotere è sempre stato terreno fertile per grande metafore. Superman e l’illusione di onnipotenza dell’uomo moderno o del bisogno di adorare un qualche dio. Iron Man e il timore della tecnologia applicata alla guerra. Hulk e la paura per l’energia atomica.
Gli X-Men e la pubertà.
Gli inizi degli X-Men, in fondo, raccontano di ragazzini alle prese con cambiamenti talmente grandi e imprevisti da renderli dei freak, dei mostri, una diversità che crea un muro tra loro e le persone “normali”. Insomma,una chiara metafora dei cambiamenti, fisici e mentali, che ogni adolescente si trova ad affrontare spesso senza esserne veramente preparato.
E se leggere nel pensiero, sparare raggi ottici, creare ghiaccio dal nulla sono elementi concreti che sanciscono questa diversità e la loro unicità, la distanza con gli “altri”, e più specificatamente gli adulti, è infatti un elemento comune per tanti ragazzi, supereroici o meno.
In They’re not like us torna questo concetto, ma a Eric Stephenson non interessa tanto dar vita a un fumetto supereroistico, quanto indagare più a fondo il tema e rendere i superpoteri grimandelli contro le impostazioni della società e giustificazione alle scelte dei protagonisti.
Un approccio realistico – tanto più che i poteri non vengono rappresentati con particolare enfasi e spettacolarità – ma che spinge sul lato umano dei personaggi e sulla degenerazione potenziale insita nel concetto di ribellione laddove non esista un nemico chiaramente identificabile.
I protagonisti di quest’opera sono ragazzi per cui i poteri sono stati una sfortuna: a causa loro, non sono stati amati né tanto meno compresi, hanno subito violenze, hanno visto la paura negli occhi dei propri genitori. E si sono sentiti incompresi e rifiutati. Non è quello che succede a molti nel percorso verso l’età adulta?
I poteri diventano, in questa prospettiva, la spinta per uno strappo con la vecchia vita e per la creazione di una nuova, a dispetto di tutto e tutti, attraverso la violenza e l’abbandono di un comportamento etico e sociale. Soprusi per soprusi, odio per odio, isolamento per isolamento.
L’ingresso nel gruppo di Tabitha scombina lo status quo scelto da (o imposto ai) ragazzi e prospetta la ricerca di un altro equilibrio, di un’opzione che possa spezzare il circolo vizioso creatosi.
Non mancano alcune forzature e incongruenze lungo il racconto, ad esempio quando per evitare che un writer attiri l’attenzione sul loro quartiere, i ragazzi decidono di picchiarlo e derubarlo, come se una denuncia per aggressione e furto non creasse allerta nelle forze dell’ordine e prevedibilmente più sorveglianza. Ma nel complesso di un racconto teso e inquietante come questo, sono leggerezze che si perdonano facilmente.
I disegni di Simon Gane sono realistici, non molto dinamici ma chiari nella rappresentazione degli eventi, meno efficaci invece nella differenziazione dei personaggi che in alcune parti rischiano di confondersi tra loro. Le espressioni vengono lievemente esasperate per sottolineare meglio le reazioni dei protagonisti, grazie a occhi grandi e inquadrature che li mettono in evidenza.
I colori, curati da Jordie Bellaire, nelle scene di giorno sono accesi, intensi, mentre in quelle notturne uno strato di ombre blu appiattisce la palette. La presenza del colore anche come sfondo in buona parte delle vignette rende più nette le scene nelle quali i personaggi si stagliano sullo sfondo bianco, solitamente con lo scopo di aumentarne la drammaticità.
Il primo volume di They’re not like us appare autosufficiente e autonomo, anche se con un finale aperto che tuttavia non lascia un senso di incompiuto. C’è quindi la curiosità di scoprire come continuerà la serie regolare, se seguendo ancora le vicende di questi ragazzi o magari raccontando altre storie e altri adolescenti in cerca di un posto nel mondo, a ogni costo.
Abbiamo parlato di:
They’re not like us Vol.1 – Buchi neri per la gioventù
Eric Stephenson, Simone Gane
Traduzione di Leonardo Rizzi
Saldapress, 2016
152 pagine, brossurato, colori – 14,90€
ISBN: 9788869192194