Giuseppe De Nardo, sceneggiatore, è nato il 3 marzo 1958, a Napoli e ha seguito gli studi classici, laureandosi poi in Architettura. Vive e lavora a Pellezzano, in provincia di Salerno. Le prime esperienze in campo fumettistico fanno capo alla fanzine “Trumoon”, vera palestra per quasi tutti i fumettisti della scuola salernitano-partenopea. Nel 1992, la pubblicazione della sua prima storia breve per la rivista “Intrepido”. La collaborazione alla testata di punta dell’editrice Universo proseguirà fino al 1995, con la serie “Billiteri” (disegnata inizialmente da Bruno Brindisi, poi continuata da Luca Vannini e altri) e con il mensile “Billiband” (disegni di Vannini e Daniele Bigliardo). Nel 1995, De Nardo prende a collaborare con la Sergio Bonelli Editore, scrivendo per Dylan Dog (“La città perduta”, n. 137, e “Sperduti nel nulla”, Almanacco della Paura 1999). Ha debuttato nel nuovo noir di casa Bonelli, Julia, con il n. 7 della serie, “La lunga notte di Sheila”, su soggetto di Giancarlo Berardi. (dal sito della Sergio Bonelli Editore)
Benvenuto sulle nostre pagine virtuali. Parliamo di “La rivolta dei Sepoy”: sicuramente hai saputo della preparazione della collana Le Storie molto tempo fa. Sei stato contattato per verificare la tua disponibilità ad aderire al progetto oppure ti sei “offerto”?
Me lo ha chiesto Mauro Marcheselli. Sono stato uno dei primi a essere contattato. Ho risposto “ci sto” senza esitazioni.
La storia disegnata da Brindisi è quindi un tuo vecchio “spunto” nel cassetto oppure l’hai partorita per l’occasione?
Ho cercato in quel “cassetto”, ma non ho trovato niente che rispondesse in pieno alle linee guida della collana. Ho partorito per l’occasione.
Come è nato il tuo interesse per questa particolare vicenda coloniale? Cosa ti ha affascinato di quel periodo?
Come nasce un’idea? Da dove vengono le idee? È lo scrittore che trova le idee o succede il contrario? Scrivo da molti anni, ma non ho ancora le risposte. Perché l’India coloniale? Forse, perché l’India del XIX secolo è uno dei luoghi dell’avventura per eccellenza. La mia generazione è cresciuta a pane e Salgari. Thugs, bramini dell’Assam, tigri del Bengala, pirati malesi. Che meraviglia. Non solo questo. C’è anche la passione per la storia. Nella mia biblioteca i libri e le riviste di storia formano una sezione piuttosto robusta. Che macchina straordinaria sono i libri. Ti fanno viaggiare nello spazio e nel tempo. E da ogni viaggio ti porti dietro qualcosa, che resta impresso nella memoria. La storia insegna sempre qualcosa. La storia de La Rivolta dei Sepoy tocca questioni ancora oggi irrisolte, tematiche che conservano una straordinaria attualità. Ecco. Credo sia questa la principale ragione della scelta di quel luogo, di quel periodo e di quel particolare evento.
Abbiamo pubblicato, grazie alla gentile concessione dell’editore, alcune tavole in anteprima con la tua sceneggiatura a fronte. Tu che tavola avresti suggerito, perchè particolarmente importante…
La numero 23: è il momento decisivo. Il Sepoy ribelle fa un passo avanti. Rifiuta l’esecuzione di un ordine. Supera la linea di discrimine tra disciplina e ribellione. Non è possibile tornare indietro.
La storia si svolge, essenzialmente, su due piani. quello della “storia” e quello della “Storia” con la “s” maiuscola. Le vicende dei protagonisti, Jim ed Elizabeth, ti son servite per parlare delle vicende del periodo o, viceversa, il tuo interesse era per i due e il contesto è solo uno sfondo?
Le vicende personali di Jim ed Elisabeth si intrecciano con il fatto storico e formano un tutt’uno.
La vicenda per le prime circa ottanta pagine si svolge quasi in tempo reale e narra appunto una quasi normale storia di un amore ostacolato dagli eventi. Poi subentra la “Storia” e lì la narrazione si fa più “impegnativa”. Che riferimenti hai cercato e spulciato per questa parte del volume?
Difficile rispondere a una domanda di cui non si condivide l’impostazione. Gli aspetti più interessanti della storia della rivolta dei Sepoy stanno nelle ragioni che l’hanno provocata. Erano soldati dell’esercito inglese che si sono sollevati. Perché? Di questo si parla nelle prime ottanta pagine. Di un conflitto tra due civiltà di cui Jim, figlio dell’una e dell’altra, rappresenta l’impossibile sintesi.
A chi invece ti sei rifatto, nelle intenzioni e nel gusto, nella prima parte?
Ho letto libri e riviste di storia. Non c’è molto in italiano. Per fortuna esiste Amazon. Il difficile, quando si scrive di storia, è ricreare un mondo che il lettore possa trovare credibile. In quali ambienti si muovono i personaggi? Che cosa dicono? Quale linguaggio usano? Quali sono gli usi quotidiani? E l’abbigliamento? La lettura è fluida solo se questo tipo di domande trova una risposta. Ma, per trovarla, c’è da fare un lavoro enorme. Enorme. Non sono mai stato in India. E, soprattutto, non ci sono stato nel 1857. Per quanto riguarda eventuali fonti letterarie, non ne ho trovate e non ne ho cercate.
Da quanto tempo non sceneggiavi scene di battaglie, combattimenti all’arma bianca… scontri a fuoco? come ti ci sei (ri?)trovato a farlo?
In una sceneggiatura, le scene d’azione e di battaglia sono le meno problematiche. Se hai buone basi tecniche e puoi contare su un disegnatore come Brindisi, il gioco è facile. La parte dialogata è sempre la più difficile. Se sbagli i dialoghi i personaggi non funzionano. La storia non funziona.
Come è andata la collaborazione con Bruno? Lo hai monitorato passo passo o l’amicizia e stima di lunghissima data ti ha lasciato dormire i cosiddetti sonni tranquilli?
Non mi poteva capitare di meglio. Bruno è un grande amico e un grande artista. Mediocre giocatore di poker, ma disegnatore eccezionale. Non semplice esecutore, ma interprete attento e critico, che aggiunge e non toglie.
Hai in previsione/realizzati altri volumi per questa collana?
Altre due storie nella “storia”, per il momento. La prima è una spy-story, ambientata ai tempi dell’assedio di Siracusa (anno 415 a.C.). La seconda racconta le vicende di un cacciatore di taglie nell’Italia del primo 600. La preda ha un nome illustre: Michelangelo Merisi da Caravaggio.
Hai avuto modo di leggere qualche volume della serie Le Storie? Che ne pensi come avventura editoriale?
Letti e amati i primi due. Lo dico non da addetto ai lavori, ma da lettore. L’avventura editoriale è straordinaria. Le Storie sono un prodotto colto e maturo. Al di là del successo commerciale, potrebbero rappresentare il punto di arrivo del fumetto italiano, della sua straordinaria storia e dell’evoluzione del suo linguaggio. Nello stesso tempo, il punto di partenza per nuove esperienze.
Qui potete trovare alcune tavole con a fronte la sceneggiatura originale dell’albo