“Brutti, sporchi e cattivi“. Il titolo del film di Ettore Scola è perfetto per riassumere interiorità ed esteriorità di Megg, Mogg e Gufo. Una strega depressa, un gatto parlante pervertito e un animale notturno antropomorfo sono i protagonisti di Special K, volume edito da Coconino Press, scritto e disegnato da Simon Hanselmann.
L’autore torna a occuparsi delle disavventure dei personaggi pochi anni dopo la pubblicazione di Megahex, storia nata sul web, accolta con grande benevolenza dal pubblico americano e da nomi prestigiosi, quali Robert Crumb e Daniel Clowes.
Anzitutto, è bene specificare che non è necessario possedere conoscenze pregresse, perché il fumetto risulta subito intelligibile. Senza presentazioni e didascalie, i personaggi vengono mostrati nell’atto di vivere la loro vita, o meglio nel loro pirandelliano lasciarsi vivere.
La prima impressione di essere spettatori di una commedia dal registro basso trova conferma nel susseguirsi delle situazioni, in una cadenzata discesa nel tugurio dell’amoralità.
La quotidianità raccontata da Hanselmann è figlia di una costante ricerca dell’esagerazione che non lascia tregua tanto agli sventurati attori quanto al lettore, chiamato ora a sorridere amaramente, ora a interrogarsi circa le finalità del dramma che si svolge davanti ai suoi occhi.
Disadattati e disfunzionali, depressi e sbandati, sporchi e sboccati, depravati e dipendenti da qualsiasi sostanza, Megg e i suoi coinquilini, ai quali si aggiunge Lupo Mannaro Jones, summa di tutti i comportamenti più turpi, sono le vittime di un macrocosmo capace di forgiare un microcosmo eccessivamente autoreferenziale, in cui tutto può accadere, purché abbrutisca l’essere umano.
“Nec vitia nostra nec remedia pati possumus“, scrisse Tito Livio nella Praefactio della sua opera imponente, Ab Urbe condita. Lo storico patavino affermava che nel periodo della decadenza romana i rimedi erano intollerabili alla pari della degenerazione dei costumi. Non c’era scampo, in sostanza. Lo stesso dicasi per i protagonisti di Special K, sadicamente rassegnati ad annientarsi.
Le relazioni tra loro sono malsane, vanno dal sesso tra uomo e animale allo sfruttamento minorile, passando per i soprusi sui più deboli, nella fattispecie ai danni di Gufo, l’unico capace di suscitare qualcosa di più della semplice pena. Allontanato, picchiato, deriso e annientato, egli è un diverso tra i diversi: inaccettabile, perché desideroso di ottenere una vita più dignitosa e gratificante.
La sceneggiatura si concretizza grazie ai disegni senza che nulla sia lasciato all’immaginazione, quasi azzerando lo spazio bianco tra le numerose vignette che affollano la maggior parte delle tavole. Infatti, tra gli estremi costituiti dalla splash-page e dai 35 pannelli per pagina, la griglia si assesta sui 12 riquadri per foglio, nei quali le inquadrature indugiano sulle espressioni facciali e sugli oggetti, oscillando tra i diversi punti di vista dei personaggi.
Talvolta sembra di scorrere lentamente una pellicola fotografica con impresse tante istantanee catturate in un breve lasso di tempo. La sensazione di staticità, già propria della premessa narrativa – la reiterazione di comportamenti e situazioni non sempre uguali ma molto simili –, trova amplificazione nella scelta di mostrare tutto, perfino un battito di ciglia e uno sbadiglio.
In questo modo la recitazione, talvolta parodica, dei personaggi diventa fondamentale: i gesti sono eloquenti e riflettono lo stato d’animo in modo efficace anche in quei casi in cui i dialoghi sono assenti. Se si esamina un singolo scatto si rinviene il movimento, ma è curioso notare come nella somma dei momenti questo moto paia fossilizzarsi, con un effetto particolare e paradossale.
Tale operazione sembra motivare la suddivisione del fumetto in tanti capitoli non tutti collegati tra loro. Si può parlare di finestre che si aprono e si chiudono svelando un po’ alla volta questa strana quotidianità, a cui spesso fanno da sfondo le pareti spoglie del salotto dell’appartamento in cui vivono i tre amici.
Chi non sbadiglia, diversamente dai personaggi indolenziti di Hanselmann, è il lettore costretto a vestire i panni del voyeur, morbosamente attratto ma non assorbito dalla storia, affascinato e allo stesso tempo respinto dall’orgia psichedelica dei viaggi lisergici. Egli non è un animale parlante, non ha la carnagione di colore verde acido, sintomatico della presenza di sostanze stupefacenti nel corpo, non ha neppure gli occhi fucsia, dettaglio da non trascurare, perché rivelatore di uno stato di alterazione quasi perenne.
L’acidità del carattere di Megg e Mogg è spesso ribadita dalle tinte scelte da Hanselmann, il quale, però, non si limita a un’unica declinazione del colore distribuendo lungo il racconto sequenze in scala di grigio; tavole che richiamano l’impressionismo; campiture nere e sfumature tipiche dei pastelli.
Cosa resta alla fine del trip della strega e dei suoi bizzarri amici? Cosa resta allo spettatore di questo dramma dis-umano? Oscenità, grottesco, turpiloquio, depravazione e scatologia sono le note di una ballata cacofonica in cui nichilismo, mediocrità, ridimensionamento e spogliazione dell’Io vengono urlati.
Nell’alzare il volume, l’autore ha ottenuto come risultato un rumore che arriva a frastornare, non solo a calamitare. Con le orecchie indolenzite si segue fino alla fine uno spartito che ha come punto di forza i tempi giusti, ma come punto debole un’esagerazione parodistica e, forse, fine a se stessa.
Abbiamo parlato di:
Special K
Simon Hanselmann
Traduzione di Tiziana Lo Porto
Coconino Press, ottobre 2017
260 pagine, brossurato, colori – 24,00 €
ISBN: 9788876183683