SM50: Il “nuovo” Supereroe, Spider-Man

SM50: Il “nuovo” Supereroe, Spider-Man

Un estratto da: Supereroi e superpoteri. Miti fantastici e immaginario americano dalla guerra fredda al nuovo disordine mondiale di Alessandro di Nocera

Totalmente differente, invece, lo scenario caratterizzante le imprese dell’Uomo Ragno. Nato da un’ennesima idea di Stan Lee ma stavolta visualizzato graficamente da Steve Ditko il rivoluzionario eroe in costume ha sempre compiuto – fino ai giorni nostri – le sue imprese in una New York ancora più realistica, più viva di quella rappresentata sulle pagine degli albi dei Fantastici Quattro. Cresciuto in un tranquillo quartiere suburbano assieme ai suoi zii, il giovane Peter Parker, almeno al suo esordio, incarnava il prototipo un po’ standardizzato del classico bravo ragazzo mingherlino, ingenuo, rispettoso, dall’animo sensibile e, forse proprio per questo motivo, soggetto a piccoli ma continui maltrattamenti psicologici da parte dei suoi compagni di scuola, ritratti – come da consuetudine – in versione all american boys. Un diverso escluso dal «gruppo» ma comunque protetto dalla pace delle villette di periferia, dalla dolce routine della vita familiare. Una situazione di assoluta, quotidiana normalità tesa ad accentuare lo scarto, la fusione-dicotomia tra la vita di tutti i giorni e gli imprevedibili eventi fantastici pronti a innescarsi in conseguenza di un banale incidente di laboratorio. Il giovane Peter, morso inavvertitamente – nel corso di un esperimento scientifico dimostrativo aperto al pubblico – da un ragno contaminato dalle radiazioni atomiche emesse da un potente condensatore, si ritrovava all’improvviso a possedere le stesse proprietà di un gigantesco aracnide umano, che gli ponevano di fronte insperate possibilità di riscatto, di rivalsa, di guadagno e di successo, ma che a tutti gli effetti lo avrebbero anche costretto a soggiacere impotente a un’inarrestabile reazione a catena di tragici episodi. Avvenimenti talmente traumatici da spingerlo in molti casi a cercare il modo di liberarsi di quegli incredibili, maledetti doni del fato.

Bisogna notare a questo punto che l’idea di contrapporre alla figura del mite Peter Parker, deriso da tutti, la stupefacente identità segreta di un Uomo Ragno campione d’audacia costituisce un’idea di fondo tanto semplice e «vecchia» quanto dotata di un fondamentale elemento di novità. L’Eroe, per la prima volta, non veniva più rappresentato come un essere privilegiato, capace di diventare una sorta di semidio per naturali caratteristiche fisiche e strutturali (come l’extraterrestre Superman) o grazie a lunghi anni di allenamento confortati da un’ingente base economica e/o da una tradizione dinastica di tipo aristocratico (vedi Batman o Wonder Woman). Il nuovo superessere si nascondeva, al contrario, dietro l’Uomo della strada, dietro il ragazzo piccolo-borghese, l’analista, il dottore: persone comuni con aspirazioni altrettanto comuni, costretti dal destino, magari controvoglia, a diventare dei giustizieri. Il rifiuto dei superpoteri acquisiti o la loro errata utilizzazione si ponevano, perciò, in netta contrapposizione con la naturalezza con cui gli eroi del passato accettavano la loro missione. L’Uomo Ragno, in particolare, rendeva pienamente esplicite sia le teorizzazioni di Stan Lee circa la necessità di ideare alfine dei «supereroi con superproblemi», sia la considerazione cardine della poetica marvelliana che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità». Difatti, secondo le inesorabili leggi del contrappasso, Peter, agli esordi della sua carriera in costume, rifiutandosi di bloccare un criminale in fuga, avrebbe causato indirettamente la morte dell’amato zio, assassinato per mano di quello stesso bandito. Lo sconvolgimento della tranquillità domestica e il senso di colpa per una morte che poteva essere evitata avrebbero così spinto il ragazzo sulla strada di un’espiazione disperatamente ricercata attraverso un’interminabile, spossante lotta alla criminalità.

 

Una battaglia senza quartiere che continua ancora oggi, senza soste, tra gli enormi canyon artificiali emersi attorno agli alti costoni dei grattacieli e alla lunga prospettiva delle avenues, nel pieno centro della Metropoli: scenografia perfetta per gli spettacolari duelli sostenuti dal supereroe in calzamaglia contro i suoi pittoreschi nemici. l’Avvoltoio, il dottor Octopus, il Folletto Verde, Electro, Kraven il cacciatore, Lizard l’uomo rettile e così via: malefiche creature ibride che, spesso, a differenza di quanto accadeva nel passato con le figure classiche dei malvagi divorati da contorte ambizioni di dominio universale, nutrono soltanto i prosaici desideri di ricchezza di un comune criminale di strada o al massimo di uno squallido boss malavitoso. Personaggi grotteschi, pregni di un valore simbolico-visionario più ampio e suggestivo che mai: il male che si radica in maniera endemica nel contesto cittadino viene rappresentato, per la prima volta in un fumetto supereroistico, in modo prepotentemente epocale. Uomo-ragno contro uomo-uccello, contro uomo-sabbia, contro uomo-meteora: «Due forze umane si contrappongono usando diverse strategie per strutturare e dirigere gli elementi naturali e mentali circostanti, per regolare l’opposizione tra positivo e negativo». La catastrofe tecnologica di fine millennio ha indubbiamente favorito il sorgere di quella che potrebbe essere definita, anche alla luce di quanto si dirà più avanti, una nuova architettura mitologica post-industriale. Una modernissima narrazione di stampo epico, tutta azione, sebbene alleggerita da continui inserimenti di situazioni da romanzo sentimentale che nei fumetti supereroistici della Marvel hanno fatto il loro ingresso proprio con le storie dedicate al ragno umano. E, ancora, il minimalismo caratterizzante la vita privata di Peter Parker, l’affetto quasi morboso nutrito nei suoi confronti dalla zia May, la nascita del suo primo legame d’amore con la segretaria Betty Brant, i problemi economici, l’attività di studente e il lavoro part-time di fotografo, i piccoli equivoci, i malintesi e le delusioni sono tutti elementi di non scarsa importanza per poter capire a fondo i motivi del successo dell’Uomo Ragno.

Nascevano così – lo si è detto – eroi altamente problematici come Silver Surfer e Capitan Marvel, figure insolite e senza dubbio sorprendenti pur nella loro aulica e «costruita» retoricità, nella loro artificiosa purezza. Allo stesso tempo, però, anche le avventure interpretate da personaggi già noti e di successo lasciavano trapelare accenni forti e insistenti a quegli scottanti argomenti sociali e politici ai quali l’opinione pubblica d’oltreoceano – sollecitata dalla crescente potenza persuasiva dei mass-media, che proprio in quel periodo si rendevano per la prima volta protagonisti di molte, importanti lotte civili e democratiche, intraprese spesso in controtendenza rispetto ai pur forti interessi governativi – guardava con timore sì, ma anche con grande attenzione. Stava sorgendo piano piano la ferma volontà di comprendere le menzogne e le verità nascoste dietro il fastoso proscenio di una nazione che si riscopriva invece pregna di assurde contraddizioni. Basta considerare i fondamentali mutamenti grafici, narrativi e testuali avvenuti in un breve volgere di tempo nell’ambito del serial dedicato all’Uomo Ragno. Concepite all’inizio degli anni Sessanta, le avventure vissute dall’aracnide umano, pur mantenendosi distanti – per l’atmosfera minimalista conferita loro da Stan Lee e Steve Ditko – da quei roboanti clamori tragici, epici o ipertecnologici che contraddistinguevano invece le gesta dei Fantastici Quattro, Hulk, Thor, Iron Man e che non di rado avevano veicolato dei precisi e allarmanti messaggi xenofobi e sciovinisti, rivelavano però anch’esse, sia dal punto di vista formale che da quello contenutistico, una generale tendenza al conservatorismo. Il favoloso Peter Parker/Spiderman sembrava, infatti, impegnato a salvaguardare in primo luogo l’ordine e la pace di quello che in fondo appariva come nient’altro che il suo piccolo, insostituibile mondo fatto di amene villette monofamiliari, di genitori premurosi, di vicini di casa amichevoli e simpatici e di bravi giovani, forse un po’ cialtroni ma in fin dei conti innocui e spensierati. I supercriminali da lui affrontati si palesavano quindi al di là delle loro effettive intenzioni, come meri agenti perturbanti, incombenti sul tranquillo e monotono tran-tran caratteristico – secondo uno stereotipo in pratica obbligatorio – dei quartieri residenziali della Big Apple. E, ancora, i vari personaggi inseriti nel cast ruotante intorno al protagonista principale della saga, poco tratteggiati nelle loro peculiarità individuali, interpretavano ruoli rigidamente configurati, immediatamente riconoscibili.

Tutti quegli elementi, insomma, che potevano apparire in un certo senso stravaganti, estranei alle regole fondanti quel microuniverso di normalità, venivano automaticamente esclusi se non addirittura stigmatizzati dagli autori del comic-book in questione. Risulta illuminante a tale proposito, una breve, famosa sequenza in cui Lee e Ditko, facendo scontrare verbalmente Parker con alcuni dimostranti riuniti in un sit-in universitario, non perdevano l’occasione di dipingere i fautori delle proteste nei colleges come dei polemici scansafatiche bramosi di una facile popolarità:

P. PARKER: «Un’altra protesta studentesca!! Cosa vogliono questa volta?!!».
INTERLOCUTORE: «Non hai sentito? Contestano l’assemblea di protesta di stasera!».
E poi:
1° MANIFESTANTE
: «Ma che hai, non ti interessa salvare il mondo? Comunque è una scusa per saltare le lezioni…».
2° MANIFESTANTE: «…E forse metteranno la tua foto su Newsweek!».

Tale fastidiosa, pregiudiziale impronta ideologica era destinata a scomparire del tutto, grazie anche all’avvento di John Romita nel ruolo di nuovo curatore della parte grafica della testata. Estremamente attento alle mode, agli interessi e ai fermenti generali che esplodevano nell’ambito dei nuovi centri di aggregazione giovanile (i pub-café, le discoteche trendy), il disegnatore di origine italiana impresse, difatti, una nuova spinta alla collana, influenzando in positivo anche l’operato di Stan Lee. I racconti, divenuti più sfaccettati, maggiormente intrecciati tra di loro a costituire un flusso di avvenimenti continuo e incalzante, si riagganciavano spesso ai più scottanti fenomeni d’attualità quali potevano risultare, ad esempio, la condizione dei detenuti nelle carceri – soggetto scomodo sul quale si cominciava finalmente a dibattere, affrontato anche in pellicole cinematografiche di successo, da L’uomo di Alcatraz (1962) a Nick Mano Fredda (1968) e Papillion (1973) – i rapporti interrazziali, il femminismo, la condizione degli anziani, le discriminazioni etniche e i conflitti di classe esistenti all’interno delle strutture accademiche (inquadrati in un’ottica alfine libera da preconcetti), l’emarginazione dei «diversi», lo spaccio e il consumo di sostanze stupefacenti. Anche gli spettri generati dal conflitto vietnamita venivano rievocati – per la prima volta in un albo a fumetti di questo genere – in maniera realistica, attraverso la narrazione delle drammatiche memorie di guerra di Flash Thompson, vecchio compagno e rivale di liceo di Peter Parker, ritornato alla vita civile non senza avere riportato dei seri traumi interiori.

Attraverso le storie dell’Uomo Ragno, che proprio in quegli anni raggiungevano i vertici delle classifiche di vendita, la figura del Supereroe si ritrovava dunque a recitare in uno scenario mai fino ad allora così movimentato, e a rivestire un ruolo che lo poneva spesso di fronte a delle situazioni impossibili da risolvere, anche con l’eventuale impiego di superpoteri. Il giustiziere mascherato incominciava, insomma, a scontrarsi con dei limiti concreti, con i paradossi di un mondo divenuto troppo complesso e ambiguo, con la sua debolezza di essere umano. Nel giugno del 1973 Spiderman – venendo meno a qualsiasi ottimistica e prevedibile attesa – non riusciva a salvare la vita di Gwen Stacy, sua girl-friend, uccisa senza pietà davanti ai suoi occhi dal terribile Folletto Verde: in un evento all’epoca molto criticato che si inseriva tuttavia perfettamente, trovandovi una sua giustificazione, nel clima pesante e sfiduciato degli anni Settanta. Il paladino senza macchia non aveva avuto la forza di liberare la principessa dalle grinfie del drago: restava spazio soltanto per l’angoscia, il rimorso e per un’inutile nonché amara vendetta. I comics supereroistici perdevano definitivamente quella allegra patina di innocenza che, in una maniera o nell’altra, li aveva da sempre contraddistinti addentrandosi in territori più foschi.

 

Tratto da:
Supereroi e superpoteri. Miti fantastici e immaginario americano dalla guerra fredda al nuovo disordine mondiale
Alessandro Di Nocera
Castelvecchi, 2006
393 pagine, brossurato, bianco e nero con inserto a colori – 20€
ISBN: 88-8210-213-0

 

 

 

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