Di sfide e di rifugi: intervista agli autori di “The Hut”

Di sfide e di rifugi: intervista agli autori di “The Hut”

La montagna: un luogo di sfide contro sé stessi. Marco Preti, Marco Madoglio e Paolo Antiga ci parlano del fumetto sull'alpinismo "The Hut".

La montagna: un luogo con cui l’uomo spesso sceglie di misurarsi ma che non sempre è adatto a essere abitato o sfidato.
Il primo volume della collana edita da Versante Sud racconta della brevissima ma tragica missione di due tecnici, durante il quale il passato riprende le sue vere sembianze e Jacopo ed Eric si ritrovano a fronteggiare diverse sfaccettature del proprio sé. Per calarci nell’appassionante mondo dell’alpinismo e scoprire qualche retroscena abbiamo fatto una chiacchierata con Marco Preti, Marco Madoglio e Paolo Antiga.

Marco Preti: nato a Brescia nel 1956, regista/scrittore specializzato in documentari e fiction in luoghi di natura estrema: montagna, oceani, deserti, jungla, viaggi e avventura. A 30 anni passa dall’alpinismo professionale al documentarismo e alla fiction per la tv. Nel 1985 fonda la The Coral Climb Film Productions.
Marco Madoglio: soggettista e sceneggiatore. Recentemente ha scritto la graphic novel Doctor G  per L-ink edizioni. Ha collaborato con Il Giornalino (Le avventure di De Pennutis & Falcon, Il Quaderno Avventura), Super G (Sulla Strada di Emmaus, premio Fede a Strisce 2015 al Cartoon Club di Rimini), le Edizioni Inkiostro (con alcune storie brevi pubblicate su Denti), le SDF Edizioni (Banande e alcuni fumetti didattici) e ha lavorato per l’Editoriale Jacabook e la DeAgostini. Informazioni più dettagliate e aggiornate si possono trovare sul suo blog Scribacchiare.
Paolo Antiga: nato a Treviso nel 1985. Diplomatosi alla Scuola del Fumetto di Milano nel 2008, ha pubblicato per varie case editrici come Editoriale Jacabook (La storia degli animali a fumetti, in 6 volumi) e Edizioni Inkiostro (Denti 1), e ha svolto collaborazioni in ambito pubblicitario. Nel 2011 collabora con il dipartimento creativo di Fabrica nella lavorazione del numero 80 della rivista Colors. La sua storia a fumetti contenuta nell’albo, intitolata Kru Nam, nel 2011 si aggiudica il Premio Carlo Boscarato come miglior storia breve al Treviso Comic Book Festival.

Spoiler alert: riveliamo qualcosa della storia, ma per capire di quali sensazioni e atmosfere stiamo parlando il consiglio è di leggerla, tutta d’un fiato.

Marco, giusto per far immergere fin da subito il lettore in un’atmosfera di sospetto la storia comincia con una sorta di ricatto…
Marco Preti:
Una banalissima scusa per poter giustificare l’alpinismo. Nel cinema o nei racconti noi che andiamo in montagna ci sentiamo in dovere di giustificarci: la gente non lo capisce, spesso si chiede il perché si vada a fare una gita, in inverno, in certi posti. Un pubblico che di montagna sa poco crede che una cosa del genere si faccia o per soldi o per amore, per fa colpo su quella che vuoi che diventi la tua ragazza. Tutti i film di montagna hanno sempre questi due moventi, come La montagna in cui recita Spencer Tracy. Non conviene neanche spiegare cos’è il piacere di andare in montagna, racconteresti un’altra storia, faresti altri tre film.
Per quanto riguarda il ricatto, poi, spesso in certi ambiti non hai scelta, e se vuoi lavorare in un gruppo devi accettare delle condizioni, altrimenti cedi il posto a chi aspetta, e normalmente di gente che aspetta ed è disposta a tutto ce n’è parecchia.

Come nasce il progetto?
MP: Avevo in mente di fare un film e stavo cercando il budget per partire. Quando ho conosciuto Marco [Madoglio, ndr] gli ho chiesto di dare un’occhiata al finale della storia, perché avrebbe potuto finire in mille modi differenti: c’è qualcuno che dice che il finale è bellissimo, altri che è troppo forte.
Marco ha riscritto il finale come lo vedeva. La sua visione e il taglio che ha dato, erano molto interessanti, però anche un po’ troppo splatter, molto da “disegno”, era un po’ di più di quello che avessi in mente io: se me lo immagino al cinema lo vedo molto più semplice. Vedo una storia che alla fine ti rendi conto essere una suggestione: non è successo niente, però potrebbero ritrovare tutti e due i personaggi morti, o anche vivi: ci son tutte le opzioni, anche terrificanti, in cui loro arrivano e uno è impiccato, l’altro morto, e compare il cane dopo che sono andati via. La storia è talmente antica e semplice che ben si presterebbe a essere portata a teatro o al cinema. Se dovessi farne un film girerei tutte le scene, e poi sceglierei. Sarebbe interessante utilizzare anche la realtà virtuale.

In che senso “antica”?
MP: L’idea antica è quella della contrapposizione della montagna e l’uomo; una montagna grande, imponente, una presenza eterna con il rifugio sotto, che sembra l’avamposto degli uomini, quegli uomini che si sentono capaci di tutto, anche di farsi una casettina lì per essere più vicini alla cima.
È bello che la montagna si scrolli di dosso tutte queste formichine umane che vogliono andare su, e il fatto che tu stia in un ambiente e che cominci a sentirti tutte queste ansie è la prova che non è un posto fatto per l’uomo: son posti senza vita in cui non ci sono piante né animali, cosa ci fai tu lì? Diventa quindi antico anche il fatto che in due ci si spalleggi per farsi coraggio, per andar su, e che cambi tutto nel momento in cui resti da solo.
Nel film non è tutto così forte, anche se rimane la storia del passato di Jacopo: è importante sapere che è una persona che ha già avuto un’esperienza traumatica in montagna, spaventa più facilmente.

Dal film al fumetto: come vi è venuta l’idea?
MP: L’idea di farne un fumetto è venuta a Marco [Madoglio, ndr], visto il suo lavoro di sceneggiatore: mi ha passato qualche tavola di fumettisti per capire meglio quale mano fosse la più appropriata, e quella di Paolo sembrava la più coerente.

Paolo, com’è stato dare un “volto” a questo racconto?
Paolo Antiga: La lavorazione di The Hut è stata per me anche un momento di sperimentazione con le tecniche.
La base della tavola è un cartoncino grigio su cui ho lavorato con china e acrilico per creare i volumi. Penso sia stata un’ottima scelta e secondo me conferisce all’intero volume un’atmosfera molto spettrale e a tratti surreale. Al di là degli schizzi preparatori per studiare i personaggi e le ambientazioni, la difficoltà più grossa per me, non essendo un esperto di montagna, è stata quella di lavorare sull’attrezzatura dei protagonisti e sui movimenti che compiono durante la scalata tenendo presente che uno dei due è un navigato esperto mentre l’altro doveva apparire a tratti impacciato o comunque impaurito e teso. Ringrazierò sempre il buon Marco [Madoglio, ndr] per avermi fornito giga su giga di foto, filmati e documentazione varia senza la quale sarebbe stata durissima lavorare.
Nel complesso posso dire di avere affrontato queste tavole più di pancia rispetto ad altri lavori, cercando di lasciarmi trasportare il più possibile dalla storia e dalle sue atmosfere cupe e tese.

In effetti, per una persona che non va in montagna i primissimi piani e i dettagli tecnici non sono molto semplici da capire. Potreste spiegarmi meglio la dinamica di quando Jacopo ed Eric cadono uno da una parte e uno dall’altra?
MP: È semplice: quando stai camminando su una cresta e scivoli l’unica maniera che ha il tuo compagno per tenerti è buttarsi immediatamente nella direzione opposta. Uno poi tiene ferma la corda e l’altro comincia ad arrampicarsi per tornare sulla cresta. A meno che uno dei due non la tagli…

Dalla storia trapela il fatto che la montagna non sia esattamente un posto per l’uomo, sicuramente non per tutti gli uomini, e che va affrontata in maniera consapevole e con molto rispetto.
MP: Sì, a questa idea si aggiunge anche il fatto che gli scienziati vedano sempre le cose solo da un punto di vista dei numeri: devono mettere una webcam e gli anemometri, i misuratori di temperatura, corrente e precipitazioni. Questi dati sono importanti da studiare, però quel tipo di cime – su cui già talvolta ci sono croci o filo spinato per la prima guerra mondiale – dovrebbero essere un posto libero: invece tutti vogliono metterci sopra qualcosa come simbolo di conquista. La montagna è ancora il luogo mitico dell’ascesa, e lo è per tutti, il simbolo dell’ascesa per eccellenza.

Si sente molto nella storia la forza di una natura tutto sommato inaggirabile: Jacopo a un certo punto pensa di potercela fare nonostante la sua poca esperienza. Eric invece, essendo più esperto riesce a cavarsela anche in un momento in cui pensi di averlo perduto.
MP: La struttura viene da un racconto di Guy De Maupassant dal titolo L’albergo, contenuto nei Racconti fantastici: mi piaceva recuperare un racconto di fine Settecento più di duecento anni dopo. Dentro c’erano altre storie tipo La morte sospesa (di Kevin Mac Donald, titolo originale Touching the void, ndr), ma quando ho scritto la storia avevo appena sentito di questi due inglesi: uno dei due a un certo punto cade perché l’altro decide di tagliare la corda, non riusciva più a tenere il compagno, e se ne ritorna al campo base. L’altro, pur cadendo e spaccandosi molte ossa, riesce a raggiungere a sua volta il campo base, e si salva. Ne hanno tratto un libro e anche un film. La storia l’ho scritta prima che venisse pubblicato il libro: avevo sentito questo racconto da degli amici inglesi. Ci sono poi altre leggende che ho ascoltato in giro, in particolare i racconti su questo rifugio sul Monte Bianco di cui si dice che di notte si senta il vecchio rifugista che non c’è più da un sacco di anni camminare e bussare alle porte. In realtà basta arrivare in un rifugio in alta montagna e accendere la stufa: essendo tutto in legno e pietra quando inizia a scaldarsi senti diversi rumori. Se ci stai da solo hai una gran paura.

A proposito di questo: che ruolo ha la paura nell’alpinismo?
MP: Non hai paura nel momento in cui sei in grande equilibrio con te stesso, quando sei determinato a fare una cosa e quando la sfera emotiva e quella fisica, il conscio e l’inconscio lavorano assieme. L’inconscio fa partire l’adrenalina quando ne hai bisogno. Sei in uno stato non tanto di esaltazione ma di sicurezza e di forza, e riesci a fare qualcosa di magnifico.
Questo è però un rapporto che devi sviluppare tu con te stesso, in modo di arrivare a quel tutt’uno.
La gran bella cosa dell’alpinismo non è solo saper rimanere attaccato per un piede alla cima della montagna, ma è anche la capacità di affrontare la montagna, con il brutto tempo, ad esempio, o i tempi lunghi; questa determinazione fa forse dell’alpinismo lo sport più bello che c’è. Come sport oltretutto non costa niente: vai sulla montagna in esplorazione con un paio di scarponi, se ti specializzi poi l’attrezzatura costa un po’ di più, ma comunque poco. I tempi però, quelli sì sono lunghi: mentre certi sport sono adrenalinici e non durano niente e ti butti – come nel base jumping –, in montagna invece ci puoi stare dei mesi, magari con la voglia di tornare a casa, e non puoi, dici “no basta scendo” e invece devi salire, oppure vuoi salire e ci metti tre giorni a scendere con la neve.

In quel caso con l’istinto come te la giochi?
MP: Quelli bravi sono veramente tostissimi, poi l’età ti cambia: c’è stato un periodo in cui andavo in montagna e non avevo paura di niente; facevo le cose senza la corda, me la sentivo, tutto era più piccolo e più facile. Lasci passare un po’ di tempo e si rovina quel rapporto. E Jacopo, nella storia, l’ha già rovinato: lui si impone di andare in spedizione, ma non vorrebbe, e quando ci va riemergono tutte le sue paure, che poi crescono ancora di più a causa del senso di colpa per aver fatto cadere il compagno, che si collega all’amico che aveva fatto cadere in passato rubandogli la giacca a vento. È come se i nodi venissero al pettine tutti insieme e tutto si incanalasse dentro a questo rifugio in cui non tornerebbe per nulla al mondo, ma gli tocca farlo. L’obbligo. Nelle storie si usa spesso questo espediente per far conoscere meglio il personaggio: lo metti di fronte non al bene o al male, ma a due beni o a due mali, e lui deve scegliere. Qui non puoi scegliere niente: i due mali sono o rimanere al freddo a congelare nella neve o entrare; Jacopo sceglie quello che al momento è il minore dei mali, e alla fine deve fare i conti con se stesso, il nemico più grosso che ha e che abbiamo.

Luci e ombre, nella storia e in montagna.
MP: Marco [Madoglio, ndr] ha fatto tutte le inquadrature e ha lavorato anche sulle luci, l’opera è sua. Io gli ho fatto vedere le fotografie, il piccolo trailer che avevamo filmato, ho tenuto un po’ le fila con l’alpinistica ma è Marco che ha fatto questo fumetto, Paolo l’ha disegnato, io ho messo la storia.

L’ombra che ruolo gioca quando sei lì?
MP: La montagna è micidiale perché cambia faccia d’estate e d’inverno.
Ci sono le pareti sud che sono assolate, le pareti nord che hanno il ghiaccio: la montagna ha tutte queste facce e sfaccettature che sono importantissime, e ha sempre un versante più familiare che è descritto in termini alpinistici come la salita “normale”, la via di ascesa più facile. Via che i protagonisti della storia prendono, perché nessuno di loro sta facendo alpinismo: stanno andando a lavorare. E lavorare in montagna è molto diverso che lavorare in un altro luogo.

Paolo, dal punto di vista grafico, invece? Le tavole presentano particolari molto luminosi, non solo le luci delle candele e delle torce, ma anche della neve. Un contrasto netto con l’atmosfera e gli altri elementi della pagina.
PA: Ho cercato di lavorare su questo aspetto proprio per creare un contrasto tra gli ambienti esterni ed ariosi in contrapposizione al senso di claustrofobia che doveva dare il rifugio. Non a caso anche la scelta della griglia bianca per le scene diurne e la griglia nera per gli interni serviva proprio ad enfatizzare questo aspetto.
In alcuni casi (per somma gioia della tipografia) ho quasi ecceduto con il nero: volevo che anche il lettore si sentisse all’interno del rifugio, che facesse fatica a distinguere gli elementi e le figure, che si sentisse coinvolto e sperduto assieme ai due protagonisti.

Che pubblico pensate possa avere The Hut?
Il libro è distribuito da Versante Sud [casa editrice di libri e guide di alpinismo, arrampicata, mountain bike e outdoor, ndr], ma l’idea è di rivolgersi non solo al pubblico di settore. Ora è distribuito in tutte le librerie sia generaliste che specializzate.

Per concludere, un’anticipazione sui prossimi titoli della collana.
Essendo questo il nostro primo fumetto sulla montagna è stato anche un bell’esperimento, per il prossimo il team di lavoro dovrebbe essere lo stesso. Il fumetto è già scritto e l’idea dell’editore è quella di andare avanti.

Abbiamo parlato di:
The Hut – Il rifugio sarà la tua tomba
Marco Preti, Marco Madoglio, Paolo Antiga
Versante Sud, 2016
112 pagine, brossurato, bianco e nero – 19,00€&
ISBN: 978-88-98609-85-7


Intervista svolta dal vivo e integrata per e-mail nel mese di febbraio 2017.

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *