David Smith è un giovane scultore che, passato un breve momento di gloria, si trova ora a fronteggiare il naufragio della sua carriera artistica. Nel giorno del suo ventiseiesimo compleanno, David incontra il defunto zio Harry con cui stringe un patto: vivere solo altri duecento giorni in cambio del potere di plasmare la materia a suo piacimento.
Quella che Scott McCloud propone è la storia della ricerca della gloria e della rivoluzione, di un atto che lasci un segno indelebile; il sogno che tormenta ogni artista e che lo porta a riflettere sul senso della sua Arte.
Attraverso questo interessante spunto McCloud porta avanti una genuina e quasi autobiografica riflessione sulla vita e su quanto l’Arte influisca su questa.
L’opera gode di un promettente e iconico avvio fatto di piccole cose, gesti, contatti e apprensioni materiali che sembrano indicare una sincera connessione spirituale con la realtà circostante.
Grande potenza si sprigiona anche nel finale, che guarda all’esistenza in maniera schietta, premiando il tutto rispetto all’egoismo personale.
McCloud sembra aver raggiunto la matura consapevolezza di un’arte collettiva e quindi della vita stessa (che ne è il senso), come strumento totalizzante al servizio di un’interezza che ci prevarica. La sua ricerca si proietta verso una perpetua speranza nei valori della generosità e della prosecuzione personale attraverso le generazioni seguenti, mediante l’ultima grande opera di David: una sorta di Grande Madre, inno alla vita che rimanda al messaggio con cui Ingmar Bergman concluse il suo Settimo sigillo, trovando felicità e senso nelle piccole cose e nella vita di una famiglia semplice, che col sacrificio di Antonius Block aveva ingannato per poco persino la morte.
Nonostante questa intessitura di fondo, il risultato è la delusione amara di un’occasione persa.
David Mazzucchelli definisce il suo personaggio Asterios Polyp un “architetto di carta”, cioè un soggetto con capacità teoriche e inventive enormi ma che, barricato dietro la sua visione complessa di antinomie del mondo, non riesce infine a veder realizzata nessuna delle sue opere, ritrovandole solo nei progetti su carta.
Tale è l’impressione che McCloud non smentisce con Lo scultore: uno dei più grandi teorici del fumetto e della perfetta narrazione, ha costruito la sua opera su un infallibile congegno, che tuttavia all’atto concreto sminuisce le sue potenzialità, proprio perché fatto solo d’ingranaggi.
McCloud predilige una precisa idea narrativa: egli teorizza una narrazione semplice, asciutta e immediata, quella che definisce una “rimozione dell’autore”.
Con questo meccanismo l’autore ha (almeno idealmente) l’intento di giocare per sottrazioni, fino a lasciare la minor traccia di se stesso. Il suo obiettivo è quello di presentare una storia che si racconti da sé, senza alcuna intromissione.
McCloud prende le distanze da quegli autori che mostrano immediatamente se stessi nel proprio tratto, nella densità narrativa e nel crogiolo del flusso interiore del creatore, e rende la storia non soltanto un mezzo ma il fine principale dell’opera.
Tuttavia ciò che risulta agli occhi del lettore è una vicenda scorrevole ma trascurabile e a tratti noiosa, già vista e ripetuta in infinite salse: McCloud, con la sua salomonica chiarezza, rende la storia arida, immediatamente evidente e toglie al lettore ogni possibilità di piacevole dubbio, riflessione o pausa, che non sia quella derivante dalla semplice fruizione.
Una sorta di patto faustiano e una relazione d’amore che si intreccia sulle elucubrazioni semplicistiche da parte di David sull’arte stessa.
I protagonisti sono unidimensionali, e i loro patimenti si risolvono in frasi e contesti a effetto di enorme pochezza. McCloud descrive la loro storia d’amore in maniera piatta e convenzionale, ricalcando al più un piacevole romanzo d’appendice; rappresenta la morte in pagine bianche – un espediente che autori come Paco Roca nel suo Rughe hanno saputo gestire, al contrario, con enorme padronanza – e sfocia nella riflessione sulla necessarietà della morte, che viene sbrigata in questo passaggio:
“David: Ma perché?! Potevi salvargli la vita!
Zio Harry: È contro le regole.
D: Allora infrangile! Chi te lo impedisce!?
H: Non si può.
D: Perché no?
H: Ecco, mettiti questo penny sul palmo della mano, con la testa in su. Ora rovescialo, che si veda croce. Ora mettilo con entrambi i lati in su.
D: Cosa vuoi dire?
H: Testa e croce allo stesso tempo.
D: Non si può è o l’uno o l’altro.
H: Cosa vuol dire che non si può?
D: Che… Non si può.
H: Giusto. Come per le mie regole.”
Non era forse questo il metodo migliore per raccontare il rapporto di un uomo con la sua Arte, che è un legame fatto di istinti, dogmi e arcani, quella che Alan Moore definirebbe “magia”.
Per temi simili la scelta della dimensione univoca è forse quella meno affascinante, e ciò emerge particolarmente nei momenti più interessanti dell’opera, che sono proprio quelli in cui McCloud è inconsapevolmente più presente (al contrario di quanto vorrebbe), rompendo i suoi tabù ed esponendo idealmente se stesso e il suo personale concetto di Arte, come avviene nel finale.
L’impianto grafico e formale funziona invece alla perfezione: storytelling impeccabile, croce e delizia, e vignette che accompagnano mano nella mano il lettore senza mai abbandonarlo.
La scelta della bicromia in blu è certamente molto azzeccata: questa è la principale componente dell’opera che riesce a trasmettere il suo tono malinconico e a ricreare atmosfere di interiorità che permettono in parte l’immedesimazione del lettore.
Il tratto è pulito, morbido, sinuoso e dalla spessa modulazione, oscillando fra esigenze realistiche e lievi contaminazioni della scena underground statunitense.
In conclusione, McCloud confeziona una storia che ha alla base spunti interessanti ma che non regge le aspettative.
Una narrazione solida e sostenuta da un’eccellente padronanza formale del mezzo, ma poco originale, che non riesce a creare affezione ed empatia nel lettore, rischiando di annoiare.
Lo scultore è una ricerca artistica mancata in cui, nonostante le ammirabili intenzioni, McCloud è rimasto vittima della sua stessa costruzione teorica su carta.
Abbiamo parlato di:
Lo scultore
Scott McCloud
Traduzione di: Michele Foschini
Bao Publishing, aprile 2015
487 pagine, cartonato, bicromia – 21,00 €
ISBN: 9788865432792
davide
2 Agosto 2016 a 00:28
Mi sento di non condividere gran parte della recensione. I motivi sono molti, complessivamente mi sembra un’analisi piuttosto forzata e superficiale, anche se lardellata di citazioni. In particolare, la critica relativa all’impossibilità di immedesimarsi mi pare incomprensibile. Si tratta, a mio avviso, di un fumetto stupendo che, al contrario di quanto scritto qui sopra, tratta molteplici temi con profondità, intrecciandoli fra loro, lasciando al lettore la possibilità di guardare la trama da più punti d’osservazione. In breve, una delle migliori storie a fumetti che abbia letto. La consiglio a tutti, indipendentemente dalla fama dell’Autore, che, a mio avviso, non dovrebbe influenzare così tanto (nel bene e nel male) il giudizio del lettore, meno che mai quello di chi è chiamato a recensire.
Davide
Simone Cilli
4 Agosto 2016 a 14:06
Ciao Davide,
ti ringrazio innanzitutto per il commento e per i toni critici ma pacati.
Da dove iniziare a risponderti? Non credo che la mia analisi sia superficiale, al contrario ritengo (seppur il fumetto mi sia piaciuto poco) di aver messo per bene in luce anche gli aspetti positivi di quest’opera.
McCloud è un bravo narratore, sa gestire bene il ritmo di una storia, ma in questo caso pecca d’intenti.
Lo Scultore non voleva essere infatti una semplice storia d’amore, ma anche una riflessione sull’arte e sul fare arte. E in questo l’ho trovata un’opera piuttosto carente.
Certamente è comprensibile come una storia di questo tipo, sentimentale e ben funzionante nonostante la mancanza di particolare originalità, possa piacere e piaccia anche ad una buona fetta di lettori.
Apprezzo molto McCloud per le sue riflessioni sul fumetto (e ritengo altre sue performance, come ad esempio Zot, molto superiori a Lo Scultore), ma posso garantirti che non mi sono fatto influenzare dalle aspettative nella mia critica.
Il problema di quest’opera è appunto che McCloud ha impiegato praticamente un decennio per quello che doveva essere un punto di svolta nella sua carriera, una conferma, ed è venuto fuori con nulla più di un feuilleiton. Per cui, evidenziati gli aspetti positivi di questa storia così semplice (ma anche un po’ anonima e poco originale nel suo genere), non ho potuto far a meno di notare la volontà di McCloud di avventurarsi in una riflessione che nei suoi intenti avrebbe dovuto essere di spessore, ma che nei fatti è risultata quanto meno banale.
Detto ciò devo darti atto del fatto che in molti hanno apprezzato questo fumetto, e non esiterei ad affermare che un’opera del genere sia ideale per chi si approccia ai fumetti per la prima volta o sta muovendo i suoi primi passi nel medium.
Ti segnalo d’altro canto che il mio parere negativo non è isolato nella critica di settore. Qui puoi trovare un articolo di Tonio Troiani per Fumettologica con cui sostanzialmente concordo http://www.fumettologica.it/2015/05/lo-scultore-scott-mccloud-recensione/. Sicuramente potresti citarmi a tua volta varie opinioni critiche a favore de Lo Scultore, ma mi premeva mostrarti come il mio parere non fosse poi così isolato, per cui forse una certa fondatezza nella mia critica non è poi così impensabile.
Un saluto!