Esce, pubblicato da Camena Edizioni, le Panas, il secondo volume della serie Le terrificanti scoperte del dottor Kraus. L’autrice, Ilenia Loddo, prosegue il suo racconto grafico di alcune delle leggende meno conosciute della sua terra natia, la Sardegna. Come nasce questo progetto? E quali sono le peculiarità dell´horror sardo? Ecco le risposte di Ilenia alle nostre domande.
Ciao Ilenia, benvenuta sullo Spazio Bianco!
L’occasione per questa chiacchierata è l’uscita del secondo volume de Le terrificanti scoperte del Dottor Kraus, una serie ambientata nella tua isola natia, la Sardegna. La prima domanda è, inevitabilmente, come nasce l’idea di questi racconti basati su leggende sarde?
L’idea è nata un po’ per caso, circa due anni e mezzo fa. Mi è capitato un giorno di trovare online una locandina de ‘’Is Animeddas’’, il nome sardo che viene dato alla festa che ormai tutti conosciamo come Halloween. In questa locandina erano raffigurati dei bambini, tutti in fila, con un sacco di iuta in testa e due buchi per gli occhi. Era una foto piuttosto inquietante che mi ha aperto gli occhi su quanto materiale avessi proprio vicino a me su cui poter lavorare, specie in riferimento al genere che amo di più, l’horror, che fino ad allora in effetti avevo ignorato. Così ho deciso di fare ammenda e creare un progetto che valorizzasse i racconti della mia terra, quelli oscuri, studiando il tema e ideando un progetto che avesse un taglio ‘fresco’ e si presentasse come una guida illustrata alla scoperta delle creature mostruose della Sardegna.
Il protagonista che racconta di queste leggende non è però sardo ma austriaco. C’è un motivo particolare dietro questa scelta? Come nasce il Dottor Kraus?
Il Dottor Kraus è nato dall’esigenza di creare un personaggio che facesse da filo conduttore tra i diversi volumi e divenisse non semplicemente la voce narrante, ma una guida che potesse coinvolgere il lettore, entrare in empatia con lui e accompagnarlo in questa scoperta.
Ho scelto di introdurre un narratore che non fosse sardo per rimandare indietro l’idea che le leggende dell’isola, secondo me poco conosciute perfino da noi sardi, non siano solo per un pubblico nostrano ma siano così belle e articolate da non aver nulla da invidiare alle leggende del resto del mondo, con le quali per altro esistono davvero tantissime similitudini. Ho pensato quindi che fosse un modo per far uscire le leggende di cui narro dalla ‘nicchia’ e renderle fruibili a tutti. La scelta poi del personaggio austriaco non ha un vero e proprio perché: ho fatto una ricerca per trovare il nome che suonasse meglio e ho trovato Rufus Kraus perfetto per il personaggio che avevo creato, soprattutto a livello fonetico.
Un aspetto che da studioso del fumetto e di fenomeni di cultura popolare ho particolarmente apprezzato è l’approfondimento sul folklore sardo che si intuisce esserci dietro al tuo lavoro. Addirittura i libri hanno una bibliografia alla fine, cosa non così scontata per un volume illustrato. Anche la forma data al racconto è – per così dire – accademica. È il dottor Kraus che espone le sue ricerche sotto forma di dati, annotazioni, osservazioni. Vorrei quindi chiederti di parlarci della ricerca che c’è dietro a queste leggende, quanto hai inventato o quanto invece hai citato e ripreso, quanto viene dai libri o quanto invece da una tradizione di racconti orale.
La parte della ricerca è fondamentale in ogni progetto e lo è stata soprattutto in questo caso in particolare. Diciamo che tutto quello che viene dai libri su cui mi sono documentata è frutto di racconti orali, perché cosi sono nate queste leggende, una spiegazione a fatti inspiegabili che è poi diventata una storia. Ad esempio pare che le Cogas, streghe vampiro che vanno in cerca di sangue giovane, siano nate per trovare una spiegazione alla grave mortalità infantile che affliggeva la Sardegna in tempi antichi. Tutto quello che racconto nel mio lavoro è frutto della ricerca e delle letture riguardo queste credenze popolari tramandate oralmente e che sono state trascritte da grandi autori sardi, come Dolores Turchi o Grazia Deledda. Derivando da racconti orali, anche tra i vari testi che ho letto ci sono contraddizioni e differenze, per esempio all’interno dello stesso territorio sardo una stessa creatura è chiamata in diverso modo a seconda del paese, vedi le Panas che sono chiamate anche Pantumas o Paltuggiane.
Il mio lavoro è stato soprattutto raccogliere più materiale possibile e selezionare le informazioni per poter costruire una storia che fosse coerente e risultasse verosimile, seppure nella dimensione fantastica. Mi sono poi permessa di aggiungere qualche dettaglio macabro e caricare di tinte più scure alcune parti della leggenda, per mantenere salda la natura dark del progetto. L’unica cosa che ho inventato da zero è proprio il Dottor Kraus.
Hai scelto di raccontare, almeno per il momento, storie di fantasmi, di mostri. Insomma, ti sei dedicata al genere horror. Come mai proprio l’horror? E pensi di rimanere – per il momento – su questo genere?
Potrei dire che è stato il genere horror a scegliere me più che il contrario. Da che ho memoria l’horror è sempre stato un genere capace di stimolare in me una curiosità quasi morbosa. L’horror è più che una passione ed è la mia prima scelta quando penso al cinema, alla letteratura e all’arte. A sette anni il mio film d’animazione preferito era Nightmare before Christmas di Tim Burton e le mie letture preferite erano i Piccoli Brividi. Nel tempo questa passione si è unita a quella per il disegno e mi ha permesso di costruire un identità ora che l’illustrazione è diventata il mio mestiere. Mi piace raccontare e illustrare storie horror di ogni tipo, dai racconti per bambini a quelli per adulti, dall’horror più sottile a quello più splatter. Apprezzo anche gli altri generi, ma nell’horror trovo uno stimolo molto più profondo e di conseguenza ogni progetto che mi viene in mente nasce sempre da una visione dark.
Anch´io divoravo i Piccoli Brividi, mi ricordo ancora Il pupazzo parlante! Invece, a livello fumettistico, ci sono fumetti horror che apprezzi particolarmente? In generale mi piacerebbe sapere di più del tuo rapporto con il mondo del fumetto, ci sono autori a cui ti ispiri o a cui ti senti particolarmente legata?
Quando si tratta di horror, ogni cosa mi entusiasma, se di qualità ovviamente. Ma spazio anche tanto tra i generi, perché nonostante il mio rapporto viscerale con l’orrore, ci sono autori di tutt’altro genere che adoro e mi ispirano. Devo dire poi che mi sento sicuramente più vicina all’illustrazione, nonostante i confini delle discipline nell’arte non siano così definiti. Per questo traggo ispirazione da fumettisti e illustratori, ma anche da registi e scrittori. Tra i tanti però mi sento di nominare in particolare Ashley Wood, e Bernie Wrightson, Gigi Cavenago, con le sue palette incredibili, e Gabriele dell’Otto.
Edward Goreys, con il suo modo ironico di raccontare il macabro ma anche artisti fuori-genere come Rebecca Dautremere o Roger Holmos. Potrei continuare all’infinito e, visto che tra le altre cose gioca in casa, non posso non citare Daniele Serra che tratta proprio il genere che amo.
Ciò che mi diverte di più quando realizzo una tavola è creare l’atmosfera, scegliere l’illuminazione, disporre gli elementi. Mi ispiro infatti moltissimo al cinema, sono una divoratrice di film, soprattutto thriller e horror, e mi faccio spesso ispirare dalla fotografia e le inquadrature dei film che amo.
Mi vengono in mente Il Gabinetto del Dottor Caligari, con una scenografia meravigliosa, Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola, Sleepy Hollow di Tim Burton, ricco di atmosfere cupe.
La scelta dei mostri da raccontare è caduta, in questi due primi volumi, su creature femminili, le Panas e le Cogas. Personalmente ho sempre trovato i mostri femminili più inquietanti di quelli maschili. Questi ultimi inoltre, hanno spesso qualche qualità che in parte li redime – il mostro di Frankenstein è incompreso, Dracula è affascinante, il lupo mannaro è vittima della sua stessa maledizione. I mostri femminili invece sembrano spesso più sinceramente malvagi, se mi passi questa generalizzazione. Senza andare indietro sino alla mitologia con Medusa o le sirene di Ulisse, penso a una tradizione riscontrabile ad esempio nelle favole, con la figura della madre-matrigna. C’è l’orco cattivo, ma che si nasconde nel bosco e che magari basterebbe lasciare in pace. Invece la strega che attira con la casetta fatta di dolci o ancora peggio la matrigna che è già dentro casa sono un mostro più subdolo e per certi versi inquietante. Possiamo dire che storicamente il genere horror come tanti altri campi della cultura è stato colonizzato prevalentemente da uomini (con grandi eccezioni, come l’opera di Mary Shelley appena menzionata) e quindi anch’esso è inevitabilmente caratterizzato spesso da una visione di stampo maschilista, o in ogni caso maschile, che si riscontra nella caratterizzazione di queste creature mostruose (come, per esempio, questa possibilità di redenzione). In ogni caso sono rilevabili delle differenze tra la mostruosità maschile e femminile. Prima di tutto condividi questa breve analisi? Vedi una differenza di questo o di altro tipo nei mostri in generale e nelle in particolare nelle creature del folklore sardo che racconti? E vedi magari un cambiamento in tempi più recenti?
Condivido questa breve analisi, soprattutto sul fatto che per tanto tempo la visione maschilista ha condizionato, ovviamente, la nostra cultura e quindi anche tutte le forme di espressione. Un esempio eclatante è proprio la costruzione della strega come creatura diabolica, nata come si sa dalla necessità di condannare donne probabilmente scomode o troppo emancipate nella società del tempo.
Le stesse Panas di cui parlo nel volume, sono donne morte di parto condannate a lavare i panni per sette anni come penitenza per essere morte in un momento impuro, quello del parto, un’ingiustizia tutta al femminile che deriva da un’interpretazione maschilista del significato di ‘impurità’, presente in ogni religione antica.
Ma aggiungo che, andando al di là della visione maschilista o femminista, credo che di base esista una differenza tra creature femminili e maschili, così come esiste nella realtà tra uomo e donna, diversità che è a parer mio importante e bella, se non sfruttata in modo errato: mentre l’uomo si contraddistingue oggettivamente per la virilità, la donna è per natura un essere aggraziato, salvo eccezioni. Va da sé quindi che il mostro maschile avrà presumibilmente (non sempre) come caratteristica la forza bruta, mentre la donna è più probabile che utilizzi doti diverse, più intellettuali e forse per questo subdole, azioni che vanno a compensare la forza fisica che non le si addice.
Credo sì che esista un’impronta maschilista nei racconti di un tempo, ma che ce ne siano anche tanti nei quali non trovo traccia di questa impronta, o per lo meno in cui l’uomo non è giustificato nell’essere un mostro e la donna non è mostro solo per la sua cattiveria.
Ad esempio nella mitologia greca, penso a Lamia (che ho conosciuto proprio nella fase di ricerca e documentazione) una divoratrice di bambini divenuta tale a seguito dell’omicidio dei suoi figli da parte di Era, moglie di Zeus, che li aveva uccisi dopo aver scoperto che erano figli del marito. Lei è diventata un mostro dopo un grande dolore che si è trasformato in una grande rabbia. Oppure cito Barbablù, dove il mostro, che poi è umano, è crudele senza possibilità di redenzione, nonostante la morale fosse che la curiosità viene punita. Poi di Barbablù ce ne sarebbero tante di cose da dire e di interpretazioni interessanti. Diciamo quindi che la verità sta nel mezzo…
Ora è cambiato qualcosa perché le donne non devono fare la fatica che facevano prima per potersi esprimere, per fortuna, e possiamo quindi godere anche della loro visione del mondo.
Horror e umorismo. Dylan Dog e Groucho, il Joker o più in generale i clown assassini, ma anche l’horror che è sempre a un passo dal diventare ridicolo, parodia – pensiamo ai vari Scary Movie(s). Spesso non c’è miglior rimedio contro una paura che riderne, così come lo scherzo può diventare di cattivo gusto e inquietare, far paura. Ora nel tuo lavoro il Dottor Kraus sembra incarnare questa vena umoristica legata all’orrore, almeno nella sua rappresentazione grafica o nella sua amara, ma ironica, origine. Sei d’accordo? Umorismo e orrore si incontrano anche nelle leggende sarde?
Si, diciamo che ho deciso nel mio lavoro di far incontrare umorismo e orrore, pur non essendo un binomio riscontrabile nelle originali leggende sarde, che presentano tratti sempre veristi e realistici.
Per questo mi piaceva l’idea di dare un taglio molto più fresco e giovane rispetto al solito e raccontare i mostri con un po’ di ironia.
Il Dottor Kraus doveva assolutamente entrare in empatia con il lettore e compensare la presenza del mostro, che doveva essere invece il cattivo, ma allo stesso tempo doveva anche lui essere un mostro, un mostro dalla nostra parte. Volevo richiamasse un po’ il mood di “Zio Tibia”, il pupazzo protagonista dello show degli anni ’80 che introduceva i film horror in onda la sera.
È stata poi, in parte, anche una questione di target: quando ti avvicini ad un pubblico giovanissimo, i tratti dell’horror vanno ammorbiditi sia graficamente che concettualmente, in questo caso inserire aspetti ironici aiuta a smorzare la paura.
Inutile dire che ho avuto tanti esempi a cui ispirarmi in questo, come Edward Gorey che ho citato prima, o Tim Burton, che ha da sempre raccontato la diversità e la solitudine attraverso l’horror, in una maniera così dolce da far avvicinare anche chi dall’horror fugge.
Le Panas è il secondo volume del dottor Kraus. Sai già quante avventure avrà il Dottore? Puoi darci qualche indizio riguardo le prossime?
Per ora puntiamo a realizzare cinque volumi. Sono ancora in fase di ricerca e studio per il prossimo, perciò non posso dare più informazioni ma mi azzardo a dire che il prossimo incontro sarà con un personaggio maschile!
Una curiosità che mi è rimasta dopo la lettura de Le Cogas. Perché non vanno capovolti gli indumenti?
Quando si parla di leggende derivanti da racconti popolari orali è sempre molto difficile risalire al perché delle cose, spesso i racconti e le informazioni sono contraddittori e come dicevo prima mi sono trovata spesso a dover scegliere cosa raccontare per poter mantenere un filo logico che rendesse credibile la storia. In questo caso, ho letto di questa credenza in uno dei tanti aneddoti tramandati oralmente sulle Cogas, perché si dice che un indumento al contrario è come un richiamo per loro e se lo capovolgi rischi di trovartele a casa tua nel giro di pochi minuti. Non si sa il perché come non si sa il perché si trattengano a contare i denti di un pettine posto sull’uscio di casa per evitare che varchino la porta. Ma credo sia anche questo aspetto misterioso e superstizioso, nato da radici pagane che si sono mescolate a credenze cristiane e alle conoscenze ridotte di un tempo, che renda le leggende sarde irresistibilmente curiose.
Ilenia, grazie mille per il tuo tempo e in bocca al lupo per i tuoi prossimi progetti!
Ilenia Loddo
Ilenia Loddo nasce a Cagliari nel 1989. Nel 2021 consegue il diploma triennale di illustrazione presso l’Accademia d’arte di Cagliari, dove oggi insegna Illustrazione e Lettering.
Lavora come illustratrice freelance e collabora con Camena edizioni, con cui ha pubblicato i primi due volumi della collana Le terrificanti avventure del Dottor Kraus, Le Cogas e Le Panas.