È in edicola in questi giorni “Il regalo”, prima storia di Diabolik firmata dalla scrittrice noir Barbara Baraldi. A lei che – in ambito letterario – è stata definita la nuova “regina italiana del gotico”, abbiamo chiesto di raccontarci il suo esordio come autrice del “re del terrore”, ma anche del suo lavoro su Dylan Dog e, più in generale, della sua passione per i fumetti.
Barbara è un’autrice di thriller, romanzi per ragazzi e sceneggiature di fumetti, capace di affrontare i generi più diversi dal noir (“La bambola di cristallo”, etc.) al fantastico nelle sue diverse accezioni (il ciclo di “Stiges” e la saga “Scarlett”). La sua particolare cifra stilistica “gotica” l’ha imposta in pochi anni all’attenzione del pubblico ed i suoi romanzi sono stati pubblicati anche in Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Nel fumetto, collabora con la Disney-Panini Comics (“Real life”), con la Sergio Bonelli editore (Dylan Dog) e l’Astorina (Diabolik).
Nel preparare l’intervista, mi sono ricordato che uno dei personaggi principali dei tuoi romanzi gialli, La bambola dagli occhi di cristallo e Bambole pericolose, si chiama Eva ed è un personaggio molto forte come la compagna di Diabolik. Un caso o… sei sempre stata una lettrice del “re del terrore”?
Mi sono innamorata di Eva Kant fin da bambina, leggendo i Diabolik di mio padre. Ero una ragazzina particolare, affascinata dal lato oscuro delle cose, che a 12 anni già divorava Dracula di Bram Stoker e Frankenstein di Mary Shelley. Diabolik mi piaceva per la sua estetica: quel muoversi furtivo, di notte, vestito di nero come una pantera… Ma adoravo soprattutto la sua compagna, così bella e così forte da tener testa al re del Terrore.
Quanto all’Eva dei miei romanzi, credo sia accaduto a livello inconscio, ma sì, è probabile che nel trovarle un nome – che mi piace molto – abbia pensato a Eva Kant. Tra l’altro anche il mio personaggio è bionda e con gli occhi azzurri… Grazie per questo collegamento, a volte un autore non si rende nemmeno conto di come le cose che ama – una scena di un film, il personaggio di un fumetto o la strofa di una canzone – diventino parte dell’ispirazione.
Diabolik ed Eva: due icone fortissime… dei cult, dei classici. In sede creativa come si fa a evitare che il rispetto si trasformi in reverenza?
La passione di lettrice per la serie, e per le sue autrici (le leggendarie sorelle Giussani), mi ha dato la chiave per avvicinarmi ai personaggi con rispetto. Sono entrata in punta di piedi, ma poi ho cercato di metterci del mio. In fondo, quello che un nuovo autore può infondere di originale a un personaggio consolidato – con tante specifiche – come Diabolik, sono la sua personalità, le sue passioni, i suoi temi.
Nella tua storia “Il regalo”, quali pensi siano questi temi?
Il tema della vendetta ricorrente tanto nelle storie di Diabolik, quanto in molte delle mie, come il romanzo che abbiamo citato La Bambola di cristallo. L’altro tema è quello dell’amore come passione senza tempo, che ritroviamo in Margherita, la co-protagonista dell’episodio.
Margherita, a mio modesto avviso, è un personaggio davvero vivido, perfettamente in linea con il mondo di Diabolik. In fondo la forza della serie – oltre che nell’innovativo antieroe – sta nella riuscita galleria di comprimari presenti negli episodi.
Sono d’accordo. In particolare per un personaggio di lungo corso come Diabolik è importante trovare comprimari all’altezza che permettano di tirare fuori dei lati inediti dei protagonisti. In questo caso, per esempio è Eva Kant che, in qualche modo, viene coinvolta dalla vicenda, piena di passioni, di Margherita.
In effetti, è una storia molto romantica…
E’ stata una delle richieste della redazione: sapevano che era una tematica congeniale per me. Nelle mie storie cerco sempre di coniugare orrore e romanticismo, che sono l’essenza del cosiddetto “gotico”. E’ il genere che amo di più: un cielo nero sfiorato da una carezza sentimentale, da una passione assoluta che fa entrare nelle storie l’elemento psicologico.
Diabolik è uno dei pochi personaggi del fumetto italiano con un DNA tutto femminile, prima le sue creatrici, le sorelle Giussani, poi Patrizia Martinelli… Secondo te questa “femminilità” permea il
personaggio e il suo mondo?
Dipende cosa intendiamo per femminile. Considero le sorelle Giussani un autentico mito. Sono donne che, da donne, hanno detto la loro creando qualcosa di assolutamente innovativo. L’aspetto in cui mi ritrovo di più è che due appartenenti al mondo femminile, considerato all’epoca adatto solo ai racconti rosa, si siano confrontate invece con il genere noir, con il bisogno di guardare il lato oscuro della Luna, di esplorare le ombre. Nello scrivere Diabolik “Il regalo” ho cercato di seguire quest’approccio comunque femminile: il mistero è donna.
Le sorelle Giussani nel fumetto quindi, come Agatha Christie, Patricia Highsmith, P.D. James, Fred Vargas e Patrizia Cornwell nel mistery/noir letterario… Esiste un modo femminile di scrivere questi generi?
In parte sì, in parte no. E’ vero che molte autrici si caratterizzano per una maggiore attenzione alla dimensione introspettiva. Non si limitano a raccontare i fatti, cercano di scavare nelle motivazioni psicologiche dei personaggi. Personalmente però, mi è capitato anche di scrivere storie – da un punto di vista, e con una voce narrativa – maschili ed i lettori le hanno trovate altrettanto convincenti. Credo che, in realtà, sia la storia a guidare l’autore e, in questo senso, non esiste una sensibilità di genere: esiste solo la capacità di ascoltare la voce dei propri personaggi.
E quali sono le differenze fondamentali tra scrivere letteratura e scrivere per il fumetto?
Non c’è differenza. Quando hai voglia di raccontare una storia puoi farlo in tanti modi diversi. Ovviamente, ci sono diversità di linguaggio ma nel mio caso, quando inizio a pensare una nuova storia, penso solo al racconto. Prendi “Il bottone di madreperla” che ho scritto per Dylan Dog: una storia che vedrei benissimo anche in prosa, così come magari dai miei romanzi gialli si potrebbe tirare fuori un graphic novel alla “Sin City”. Poi, certo, bisogna studiare – e studiare tanto – le tecniche specifiche: costruire un soggetto, lavorare una sceneggiatura… Anche leggere molto è indispensabile per imparare.
Nel mio caso, ho iniziato leggendo e amando i fumetti ancora prima che la letteratura. Da bambina, come dicevo, con gli Alan Ford e i Diabolik di mio padre, poi da adolescente innamorandomi di Dylan Dog e Batman. “The Killing Joke” di Alan Moore è forse in assoluto il mio racconto a fumetti preferito. Quindi, come linguaggio, ho sempre sentito il fumetto molto vicino. Se avessi potuto, avrei scritto da subito comics invece sono arrivati prima i romanzi…
Nella scrittura letteraria sei “deus ex machina” di tutto, nel fumetto lavori all’interno di un processo produttivo di gruppo (altri sceneggiatori, disegnatori, etc.). E’ una dimensione in cui ti ritrovi?
Sì. Per la storia di Diabolik, ho avuto la fortuna di lavorare, fianco a fianco, con uno sceneggiatore esperto come Andrea Pasini, che mi ha aiutato a interpretare “i vincoli” del personaggio. Così come è stato importante, nel rapporto con il disegnatore, trasferirgli al meglio la mia visione della scena. E poi, come Eva Kant, non amo fermarmi se trovo il “cancello sbarrato”: preferisco sempre provare a scavalcarlo. Ogni sfida offre l’opportunità di migliorarsi nella scrittura come in tutte le cose.
La collaborazione con l’Astorina su Diabolik proseguirà?
Spero di sì, sto proponendo alla redazione altre storie. Come per Dylan Dog, sono amori che mi porto dentro e penso di avere, nei limiti delle mie capacità, tanto da dare.
Hai citato Dylan Dog e sappiamo che sarai fra gli autori che parteciperanno al suo rilancio, con un’evoluzione per certi versi epocale. Ovviamente non ti chiedo spoiler…
Qualcosa posso dirla: ho terminato la mia prima sceneggiatura del “nuovo corso”, con due fortissime co-protagoniste. Una storia molto gotica, anche a parere del curatore della serie Roberto Recchioni, che l’ha affidata al talento espressionista, e se vogliamo anch’esso gotico, del grandissimo Nicola Mari. A proposito di scrittrici, aggiungo che una delle mie fonti d’ispirazione per questa trama è stata Carolina Invernizio, pioniera “horror”, che ho omaggiato anche nel titolo “Le mani di una morta”.
Domanda alla fan, ancor prima che alla scrittrice di Dylan: serviva questa “Fase 2”?
Ne sono convinta. Come ho detto, sono una lettrice di Dyd della prima ora e ricordo ancora l’emozione fortissima, quando richiudevo l’albo, alla fine di episodi come “Johnny Freak” o “Il volo dello struzzo”. Erano storie che ti toccavano dentro perché lasciavano un’inquietudine profonda. Nel tempo, invece, la dimensione dell’incubo, si è affievolita. Dylan Dog è diventato un personaggio “quasi rassicurante”, tanto che io stessa ho smesso di leggerlo… Questa “fase 2” vuole cercare di riagganciarsi alle origini, farlo tornare ad essere il protagonista che da lettori abbiamo amato: un eroe che non offre risposte, ma che pone domande.
Ringraziamo Barbara Baraldi per la grande disponibilità e simpatia.
Per saperne di più sull’autrice, il suo sito: www.barbarabaraldi.it e il suo blog: scritturebarbariche.wordpress.com
Intervista telefonica realizzata il 1 agosto 2014