Los Angeles, 2076. Sono passati decenni dalla grande alluvione che ha spazzato via internet. Per quaranta giorni e quaranta notti ogni tipo di informazione conservata nel Cloud, dalle chat private di Facebook alle cronologie dei browser, passando per le dichiarazioni dei redditi, è stata alla mercé di chiunque, palesando quello che ognuno nel suo privato già sapeva: dietro la patina delle identità online, ciascuno nascondeva segreti scomodi.
Con il crollo delle vite affettive e lavorative faticosamente costruite, le persone si sono nuovamente concentrate sulla vita reale, ma con una differenza sostanziale: nella nuova Era, al compimento della maggiore età si acquisisce il diritto di avere uno pseudo, cioè un alias che completi il travestimento che le persone ora utilizzano per la loro vita sociale.
Il diritto alla privacy è diventato fondamentale, perciò ciascuno mostra il suo vero aspetto solamente in casa o sul luogo di lavoro, per le interazioni con altre persone si utilizzano delle maschere, anche più di una dato che ne esistono per tutti i gusti. Vista l’importanza assunta dalla riservatezza dei dati, i giornalisti sono diventati i tutori dell’ordine, sono gli unici a circolare senza maschere e le loro operazioni vengono trasmesse in televisione, che è tornata a essere la regina incontrastata nelle case degli americani.
Un noir futuribile
Brian K. Vaughan ha creato un universo con regole articolate e ben definite, entro il quale ha ambientato un noir di stampo hard boiled, il cui protagonista, P.I., è un detective tutto d’un pezzo, bravo nel suo lavoro, prudente e dal temperamento incrollabile, come l’illustre rappresentante del genere Philip Marlowe. Il canovaccio tipico del genere viene rinfrescato dalla presenza di diversi personaggi che sparigliano le carte, come l’impulsiva Raveena, l’esuberante Melanie e il dissacrante nonno di P.I., uno dei pochi reduci della social generation.
Il design dell’ambientazione gioca poi un ruolo fondamentale nel definire un futuro lontano dalle atmosfere crepuscolari dei romanzi polizieschi del primo Novecento, l’Alluvione ha riportato in auge strumenti e tecnologie che richiamano il passato (cabine telefoniche, musicassette) creando un’interessante commistione tra elementi fantascientifici e suggestioni anni ’80. Nonostante prenda le mosse da un soggetto piuttosto classico, la storia viene narrata in maniera avvincente.
Lungi dal risultare didascalico, l’autore fornisce gli strumenti per comprendere le regole di questo mondo futuribile senza tempi morti. Il racconto procede sempre con un buon ritmo e la qualità dei dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi, così come i loro background e le motivazioni che li spingono all’azione, sono ben studiati.
Mondo di maschere
Tutta l’opera è pervasa da una riflessione molto profonda sul tema della privacy e sulla condizione attuale del web, sul significato che esso ha via via assunto dagli albori di ARPAnet ai giorni nostri. Il fatto che questa riflessione sia proiettata in un futuro lontano, anche se non troppo, è un ulteriore merito da ascrivere a Vaughan, perché permette di isolarne i contenuti, portandoli oltre il quotidiano e permettendo a ciascuno di interrogarsi sulla caducità di molti aspetti della società odierna; di indagare, sulla scia delle vicende di P.I e Raveena, sulla natura della personalità che ciascuno di noi riversa sui profili social.
Ciò che rende interessante questa riflessione è la sua equidistanza. I pregi e i difetti dei rapporti umani al tempo di Facebook li conosciamo per esperienza diretta; Vaughan, attraverso il comportamento dei suoi personaggi, fotografa la situazione dopo l’Alluvione.
Nel 2076 si indossa la maschera anche solo per aprire alla porta, P.I. non guida l’auto perché non vuole cedere i suoi dati personali alla motorizzazione, il problema della privacy viene esasperato fino all’inverosimile, però l’autore non assume una posizione, questa sua astrazione non fornisce anche una morale: se si esclude qualche frecciatina lanciata dal nonno a P.I., si lascia al lettore il compito di soppesare pro e contro dei due scenari. Se siano cioè preferibili le maschere virtuali di oggi o quelle reali di domani, se la certezza dell’integrità della propria privacy valga rapporti umani artefatti o addirittura assenti, senza il filtro della maschera.
Uno stile essenzialmente pop
Il lavoro svolto da Marcos Martin (matite) e Muntsa Vicente (colori) è encomiabile. La ricerca del realismo nel tratto non è una prerogativa di Martin, che dalla sua ha in compenso un’ottima gestione della recitazione dei personaggi, unita a una sensibilità non comune nella scelta delle inquadrature e più in generale nella composizione di vignette e tavole. La sequenza d’apertura è emblematica in questo senso: in una manciata di pagine Martin regala tre tavole d’eccezione, che catturano immediatamente l’occhio del lettore.
La prima tavola è un suggestivo gioco di controcampi con un’elegante raccordo di soggettiva che confluisce nell’obiettivo della fotocamera di P.I.; il campo lungo della quarta tavola, appena dopo una sequenza di dettagli, e la vignetta di chiusura del prologo in campo totale segnano la capacità di Martin di variare il ritmo e di attirare l’attenzione su determinati particolari.
Il futuro raccontato nella storia presenta una caratterizzazione decisamente retrò, con molti elementi architettonici che si rifanno allo scenario del secondo dopoguerra americano e richiamano alla mente la città di Rapture vista nel videogioco Bioshock, anche se in chiave più pop. Alla riuscita di questa ambientazione contribuiscono i colori di Vicente, dalle tonalità quasi piatte, con pochissime sfumature, che si sposano alla perfezione con il tratto netto di Martin. Questo accade specialmente nelle splash page, che ricordano in certi casi le illustrazioni tipiche del vintage degli anni ’50. Le tonalità pastello utilizzate ben rappresentano l’atmosfera generale dell’opera e i colori pieni si sposano anche nelle frequenti vignette con i personaggi visti in negativo.
L’opera è stata pubblicata in origine come webcomic sul portale PanelSyndicate, creato per l’occasione da Vaughan e Martin, e rilasciata in dieci capitoli (ancora) disponibili al download a un prezzo libero. Bao Publishing ha raccolto il corpus in un cartonato, mantenendo l’originale formato in 16:9, arricchendo come di consueto l’edizione con schizzi, carteggi occorsi fra gli autori, storyboard, stralci di sceneggiatura. Rimane da verificare la resa cromatica su carta della colorazione, pensata da Vicente per la fruizione su schermo.
L’originalità e la cura dell’ambientazione, la trama avvincente e i suoi significati sottesi, la realizzazione grafica e il particolare formato, oltre agli interessanti plus dell’edizione Bao, sono tutti elementi che contribuiscono alla riuscita sotto ogni punto di vista di un’opera unica, da non perdere, che conferma le grandi capacità di Vaughan tanto nella scelta delle tematiche quanto nella vera e propria tecnica di racconto.
Abbiamo parlato di:
The Private Eye
Brian K. Vaughan, Marcos Martin, Muntsa Vicente
Bao Publishing, maggio 2017
304 pagine, brossurato, colore – 29,00 €
ISBN: 9788865438404