Inizialmente pubblicato su tre numeri di Optic Nerve, Shortcomings esce negli USA come volume unico nel 2007 e arriva in Italia l’anno successivo, edito da BUR. L’autore californiano era già noto nel nostro paese per due raccolte di storie brevi, Sonnambulo e Summer Blonde – entrambi editi da Coconino Press – ed entrambe esaurite da tempo. Difettucci (tradotto con Una lieve imperfezione nella prima edizione italiana) ha per protagonista Ben Tanaka, trentenne asiatico-americano in crisi con la sua ragazza e con se stesso, ed è il primo tentativo di Tomine di cimentarsi con una narrazione di più ampio respiro, dopo essersi affermato come autore di racconti brevi o addirittura brevissimi, caratterizzati da uno stile sintetico eppure fortemente espressivo.
Da un punto di vista tematico Difettucci è un lavoro del tutto in linea con la produzione precedente dell’autore, focalizzata sul racconto di una umanità alle prese con le proprie mancanze, i propri difetti, le proprie meschinità o insicurezze. Tratto distintivo dello stile di Tomine è una narrazione asciutta, sia dal punto di vista narrativo che grafico, un tratto pulito ed essenziale, dialoghi realistici e immediati alternati da silenzi espressi e carichi di significato, griglie piuttosto rigorose con cui scandire un racconto dal ritmo naturalistico, evitando il ricorso a splash pages o vignette di grandi dimensioni.
Come detto, Difettucci recupera tutti questi elementi, con la sola differenza che costituisce un vero e proprio romanzo, organizzato come un’unica narrazione divisa in tre capitoli. È anche la prima volta in cui Tomine eleva a protagonista delle sue storie quello che, almeno in minima parte, può essere considerato un suo alter ego, dando il via a un processo di esposizione di sé che, possiamo immaginare, procede di pari passo con l’affermarsi dell’autore presso il pubblico ed il mercato, oltre che con una relativa maggior fiducia nei propri mezzi e nella propria figura autoriale. Un percorso che lo porterà a dare alle stampe una piccola raccolta di fumetti autobiografici pensata originariamente come bomboniera per gli invitati al proprio matrimonio – Scene da un matrimonio imminente – per arrivare ad un romanzo autobiografico vero e proprio – La solitudine del fumettista errante – in cui l’autore mette definitivamente se stesso al centro della scena.
Nelle interviste in appendice al volume Tomine spiega come la spinta alla composizione del libro sia originata dal desiderio di affrontare, in maniera personale, la questione razziale, argomento finora trascurato nei suoi lavori. Tomine affronta il tema mettendo in scena un protagonista che racchiude tutta una serie di difetti caratteriali e assurge fin dalle prime pagine al ruolo di carnefice e non di vittima. Ben è egoista, capriccioso, insicuro e aggressivo nei confronti di Miko, la sua ragazza di origine asiatica, che lo accusa di avere un debole per le ragazze bionde. A completare il cast c’è Alice, l’amica con cui Ben si confida. Alice è di origine coreana, è lesbica, ed è una sorta di “amicizia maschile” per Ben. Con lei il trentenne sfoga le proprie fantasie e dà voce ai suoi pensieri, quasi mai condivisibili a dire il vero, senza essere giudicato. Attraverso il racconto della crisi, con conseguente separazione, tra Ben e Miko, Tomine affronta ancora una volta il tema dei legami personali e il modo con cui le persone si rapportano tra loro, rappresentando la sfera relazionale come un commercio umano ricco più di cinismo che di sentimento.
Il tema razziale accomuna la quasi totalità dei personaggi ma nessuno di questi è trattato in maniera stereotipata, l’autore mantiene la giusta distanza tra sé e i personaggi e i temi sociali “da trattare”, evitando di cadere in trappole come l’eccessiva retorica o una rappresentazione politicamente troppo corretta. Ecco quindi che le difficoltà di Ben, derivanti dal suo essere un asiatico-americano, si manifestano in un complesso di inferiorità che, visto dall’esterno, non sembra avere nessuna motivazione, se non un’insicurezza tutta interiore che finisce per trasformarsi in aggressività verso gli altri. È semmai vero il contrario, ovvero che sia talvolta Ben a trincerarsi dietro fantomatici e fasulli pregiudizi altrui per mascherare per proprie mancanze o meschinità.
Uno dei maggiori pregi di Tomine è la capacità di gestire tempi e ritmi della narrazione, articolata quasi interamente in lunghi dialoghi attraverso i quali i personaggi raccontano e si raccontano, ciascuno con una propria voce. Il risultato è una lettura rapida, priva di interruzioni e momenti salienti, quasi una cronaca abbastanza realistica della vita di trentenni alla ricerca di una qualche realizzazione, affettiva, professionale o esistenziale. Il racconto della quotidianità consente all’autore di affrontare anche temi importanti ma sempre sottotraccia, lasciando al lettore lo spazio per riflettere su essi e senza imporre una propria valutazione o un proprio punto di vista.
Tutto questo è possibile grazie al tipo di narrazione di Tomine, che come detto all’inizio, è piuttosto rigorosa, soprattutto da un punto di vista grafico. La “camera” è sempre fissa sugli attori, con inquadrature stabili che regalano ordine alla messa in scena. I personaggi sono ritratti sempre dalla stessa prospettiva, gli sfondi sono accurati quel tanto che basta a far capire al lettore quale sia il setting dell’azione, non ci sono dettagli inutili od orpelli. In più momenti si ha la sensazione di trovarsi davanti ad un film di Woody Allen, che ad un certo punto viene anche citato, seppur non direttamente. Il rimando ad una narrazione di tipo cinematografico è imputabile in primis come abbiamo detto al ricorso a una gabbia e a inquadrature fisse, e di conseguenza alla rinuncia della possibilità offerta del mezzo di giocare con la forma delle vignette o la modulazione del tratto, ma anche al ricorso alla vignetta come unità di tempo dalla durata potremmo dire standard. I soli casi in cui il riquadro aumenta di dimensioni sono quelli in cui l’autore ha bisogno di più spazio per mostrare tutto ciò che deve, altrimenti troviamo una griglia fissa di nove per nove in cui ogni vignetta costituisce una precisa e identica unità di tempo. A testimonianza di questo possiamo prendere le pagine 38 e 39, oppure la pagina finale del libro.
In entrambi i casi Tomine ripete la stessa vignetta per rappresentare il passaggio del tempo e comunicare al lettore la durata dell’azione, anche quando questa in realtà si attua nella mancanza di azione vera e propria, trattandosi in realtà di un’attesa. L’autore avrebbe potuto optare per una vignetta più larga, utile anche a trasmettere lo stato d’animo del protagonista nella sequenza finale, ma come detto Tomine sceglie di eliminare qualsiasi elemento enfatico dalla propria messa in scena, preferendo una linearità totale. Un altro dettaglio qualificante sta nella scelta di non far coincidere la fine di una sequenza con la fine pagina, contrariamente a quanto di solito avviene nei fumetti. Ogni tavola che contiene la conclusione di una scena ospita anche l’inizio della successiva: l’effetto è quello di un flusso continuo che toglie al lettore parte del controllo sui ritmi di lettura e intervenendo quindi sulla fruizione del fumetto, avvicinando appunto l’esperienza di lettura a quella dell’ascolto di un brano musicale o, come già detto, della visione di un film.
Anche riletto a distanza di anni Difettucci è un romanzo importante, esponente di spicco del novero delle opere che hanno contribuito alla crescita e all’affermazione del fenomeno editoriale ormai consolidato del graphic novel. Negli anni lo stile dell’autore si raffina ancora: dopo aver rotto il ghiaccio con Scene da un matrimonio imminente nei successivi Morire in piedi e La solitudine del fumettista errante Tomine riesce a inserire in maniera organica nelle proprie storie anche elementi ironici che latitavano nei suoi primi lavori, senza perdere la coerenza tematica e stilistica che l’ha reso uno dei principali autori a fumetti della sua generazione.
Abbiamo parlato di:
Difettucci
Adrian Tomine
Rizzoli Lizard, 2024
Traduzione di Pasquale La Forgia