O di come la Commedia si spogliò del riso.
Nel 1986 il giornalista Vincenzo Mollica entra di diritto nella storia del fumetto Disney allorché, nel corso della manifestazione Treviso Comics di quell’anno, domanda al disegnatore veneto Giorgio Cavazzano:
Perché la Disney ha smesso da tempo di realizzare parodie su grandi e famosi film? Perché non disegni tu la parodia di Casablanca?
La domanda era in realtà un po’ ingenerosa. Non era affatto vero, infatti, che la Disney avesse smesso di parodiare grandi opere. Strano era anche l’interlocutore scelto. All’epoca, quello che oggi è il veterano, l’illustratore-simbolo della Disney italiana, disegnava già da più di vent’anni e aveva abbandonato le esili e buffe figure della sua prima fase per elaborare un tratto più tondeggiante e classico. Le sue storie erano approdate all’estero ed erano largamente apprezzate anche in America. Tuttavia, le sue incursioni nel genere erano, fino a quel momento, state alquanto sporadiche e non sempre esaltanti: l’inchiostrazione di Paperin Fracassa, un’avventura di Paperin-Tarzan e pochissimo altro. Da questo momento in poi, anzi dal momento in cui vede la luce sulle pagine di Topolino #1657 Topolino e Minnie in: Casablanca, si può assistere a una graduale e consapevole rivoluzione.
Su Casablanca, vero e proprio capolavoro della nona arte, rimandiamo volentieri all’ottimo approfondimento critico opera di Andrea Bramini, il quale si è incaricato di ricercare tutte le somiglianze dialogiche e formali tra opera di primo grado e Adattamento. Il risultato dell’operazione di ricerca estetica di Cavazzano è una riproposizione quasi 1:1 del lungometraggio di Michael Curtiz, dove persino la scala di grigi è mimetica nei confronti dell’originale su pellicola e i personaggi interpretano in modo convincente i ruoli dei propri omologhi, in un costante “gioco” fra i vari livelli mitologici. In maniera più sottile e sotterranea rispetto a quanto abbiamo visto nelle storie del Teatro Alambrah, i personaggi sono di fatto attori che interpretano dei ruoli.
In Casablanca si ride davvero poco; al massimo si sorride, grazie ai momenti di alleggerimento affidati al caro Pippo, avatar del musicista Sam. Con qualche spigolosità in più, Topolino è un Humphrey Bogart convincente e la sua storia d’amore con Minni è venata di malinconica accettazione. Il filtro trasformativo, fra le caratteristiche estetiche portanti della parodia sensu stricto, viene qui del tutto abolito: come l’originale del 1942, la Casablanca disneyana è una storia dolente, un gioco intellettuale privo del tradizionale happy end.
È il 1987, sono passati quasi quarant’anni da L’Inferno di Topolino: i personaggi Disney, “nati con il dono del riso” si smarcano dall’obbligato registro comico che appartiene al fumetto popolare sin dalle origini, e vi riescono sfruttando le opportunità offerte dal multiverso delle Parodie. Il lento e inarrestabile mutamento di paradigma si accompagnerà a un cambio di “agenti” preferiti. Se si esclude qualche excursus estemporaneo (Le due tigri di Giovan Battista Carpi, La tragica avventura di Paperon de’ Paperozzi di Massimo Marconi e Cavazzano, La freccia pera di Bruno Sarda e del Francesc Bargadà Studio), l’umorismo svanirà lentamente dal genere. La banda dei Paperi, rumorosa e scombiccherata per natura, cederà pian piano il passo agli abitanti di Topolinia, di base più seri e posati, più adatti a questa nuova fase.
Da un punto di vista logico appare naturale che, con la sempre maggior popolarità e spazio editoriale acquisito dagli Adattamenti, le storie si siano fatte via via più serie. La dimensione dell’omaggio all’opera di primo grado si allarga man mano: viene progressivamente meno l’abbassamento parodistico, quasi che, invece di abbassare il Classico letterario o cinematografico al livello del fumetto d’evasione, si volesse elevare il fumetto popolare al rango dei capolavori senza tempo.
È quel che accade in un’altra Parodia disegnata da Cavazzano, Topolino presenta “La strada”: un omaggio a Federico Fellini, del 1991. I punti di contatto con Casablanca sono molteplici, a cominciare dall’idea, nata ancora una volta da un suggerimento di Mollica. La sceneggiatura stavolta è di Massimo Marconi e dal punto di vista strutturale rappresenta un sopravvissuto del sub-genere Viaggio Spirituale: alla base della trama c’è infatti un sogno del regista Federico Fellini, assopitosi in aereo dopo aver letto un albo di Topolino libretto. Commovente e commosso omaggio dichiarato all’opera del regista riminese e contemporaneamente al Mickey Mouse delle origini, al netto della struttura Con Cornice, La strada è indubbiamente un lavoro molto diverso dalle Parodie dei decenni precedenti e appartiene a pieno titolo al sub-genere degli Adattamenti per dettato e ambizione. A questo punto Cavazzano si era già incamminato sul percorso che lo avrebbe portato ad essere considerato “il re delle Parodie”.
Nel 2000, ad esempio, il disegnatore veneto non ha avuto bisogno dell’imbeccata di Mollica per commissionare ai migliori allievi dell’Accademia Disney otto Adattamenti di altrettanti racconti dello scrittore premio Nobel Ernest Hemingway.
Lo sforzo è stato quello di “entrare nello scrittore”, di coglierne cioè le atmosfere e le tensioni camminando in parallelo all’universo dei valori disneyani
dichiarò il Maestro all’epoca, intervistato dal quotidiano La Repubblica.
Oggi sappiamo che Cavazzano domandò esplicitamente ai suoi allievi di realizzare delle storie che non fossero una presa in giro del materiale di partenza, ma una rielaborazione, elemento che ci dice molto sul suo grado di consapevolezza di ciò che le Parodie stavano, in quegli anni, diventando. Per ragioni di spazio ci è impossibile parlare una per una di tutte le storie realizzate da Stefano Turconi, Marco Forcelloni, Marco Palazzi, Alessandro Perina, Nicola Tosolini, Andrea Freccero, Giuseppe Zironi, Manuela Razzi; in generale possiamo dire che, per quanto tutte interessanti e mirabilmente disegnate, rappresentano l’attestazione dell’impossibilità di trasportare alcune cose in Disney, in questo caso lo stile del grande autore americano, intriso di pessimismo e fatalità. Mediamente cupe (con qualche eccezione, come la frecceriana dedicata a Paperone e Brigitta), prive di particolare ambizione umoristica, queste Parodie si prendono molte libertà testuali rispetto alle opere di primo grado, cercando piuttosto di recuperarne il respiro e le tematiche.
Cavazzano torna in prima persona a occuparsi di Adattamenti Disney nel 2008 con la Parodia di un monologo teatrale di Alessandro Baricco, ispiratore anche di un bel film di Giuseppe Tornatore. Fedele alla propria impostazione, La vera storia di Novecento, sceneggiata da un Tito Faraci allora sulla cresta dell’onda, recupera pedissequamente la quasi totalità degli ingredienti principali del testo di Baricco, dal piroscafo in cui è ambientata buona parte della storia (il Virginian) ai nomi dei personaggi (Danny Boodman P. P. Pippo Novecento in luogo di Danny Boodman T. D. Lemon Novecento): solo il finale, per ovvie ragioni, viene riscritto, col risultato di svuotare di senso l’intima e allegorica tragedia vissuta dal protagonista (non è un caso se si chiama Novecento, del resto).
Su sceneggiatura di Bruno Enna, Cavazzano si riaffaccia al genere nel 2017 con Topo Maltese – Una ballata del topo salato, Adattamento della celeberrima prima avventura dell’eroe fumettistico Corto Maltese. Come si può immaginare, rispetto alle Parodie che hanno per modello un film o un libro, le Parodie di storie a fumetti tendono a privilegiare il travestimento stilistico più che quello legato alla fabula: il tratto di Cavazzano non somiglia affatto a quello di Hugo Pratt, e lo scopo dell’artista veneto sembra essere, più che omaggiare l’illustre collega, espandere la propria arte ai limiti massimi utilizzando molteplici invarianti visive che permettano al lettore di riconoscere lo stile di Pratt, senza per questo imitarlo nel tratto (pur riprendendo dall’originale vignette e sequenze).
Dal punto di vista narrativo, al netto della scomparsa (indolore) di Cain, la storia segue le vicende narrate da Pratt senza grossi scossoni, indizio di come l’artista fosse più interessato ad altro.
La sudditanza gerarchica dell’estro narrativo nei confronti dell’aspetto visuale è una caratteristica tipica degli Adattamenti. Nel corso di una intervista al Corriere del Veneto il maestro, dopo averla definita “la storia più bella che abbia mai disegnato”, ha dichiarato:
Ho fatto tante prove, schizzi e cancellature, ma Topolino alla fine, da ottimo attore, si è calato nella parte di Corto Maltese.
La supremazia dell’Adattamento.
Facciamo un breve passo indietro per contestualizzare meglio la fase che sta per iniziare, perché gli incroci di date e nomi possono dire molto anche sulla linea editoriale data ad un giornale.
Il “passaggio di consegne” tra Paperi e Topi, e relativo cambio di toni e atmosfere, si consuma in un periodo ancora piuttosto florido per il genere; ma è una cosa destinata a durare poco. Date alla mano, quelle del Teatro Alambrah (1993-1994) sono le ultime Parodie edite prima di una contrazione dell’offerta che perdura ancor oggi: sotto la direzione di Paolo Cavaglione – quindi, negli anni fra il 1994 e il 1999 – escono pochi titoli degni di nota. L’era di Claretta Muci (1999-2007) si distingue per una assenza quasi totale del genere, una decina di storie appena se consideriamo l’operazione legata ai racconti di Hemingway come un tutt’uno progettuale. Sotto la guida di Valentina De Poli (2007-2018) la Parodia torna sulle pagine del settimanale, in un certo senso da protagonista. Dopo la lunga pausa, le Parodie vivono una nuova primavera godendo di una rilevanza di primo piano sia sul magazine sia sulle testate pensate per i collezionisti, ed è in questo contesto che si consuma la definitiva trasformazione in Adattamenti.
Le motivazioni di questo mutamento di paradigma sono ardue a definirsi. In parte l’influenza artistica del Maestro Cavazzano, vero “secondo demiurgo” del fumetto Disney italiano, che certamente ha avuto il suo peso; in parte l’inflazione di Parodie umoristiche nel corso dei decenni precedenti, che può aver legittimamente generato un rifiuto nelle nuove leve provenienti dall’Accademia Disney o formatesi su mensili di rottura come PKNA – Paperinik New Adventures, MMMM – Mickey Mouse Mystery Magazine et similia; forse ha giocato un ruolo anche la svalutazione ormai decennale del genere della parodia, confinata a prodotti cinematografici commerciali e ripetitivi.
Gli strenui patrocinatori della parodia devono, da sempre, difendersi dagli strali dei sostenitori della cosiddetta “cultura alta”, il bersaglio privilegiato: un processo tante volte da intendersi alla lettera, nel senso di passaggio fisico attraverso le aule di un tribunale.
L’antipatia che circonda il genere è facilmente spiegabile: dissacrando, il parodiante dimostra che non esiste nulla di intoccabile, e con affetto (spesso con amore) trascina grandi artisti e padri della cultura nel fango, accanto a sé, accanto a noi. Nel farlo, quasi sempre celebra ciò che sta apparentemente dileggiando. Come anche la satira, con cui ha molto in comune, la parodia rappresenta l’esito di una sorta di brutale avvicinamento fra il grande e il piccolo, dove grande e piccolo sono da intendersi solo in senso procedurale e non dal punto di vista della qualità artistica.
Tra gli Adattamenti degni della nostra attenzione si possono citare Zio Paperone e il nuovo Canto di Natale di Marco Bosco e Silvia Ziche, L’isola del tesoro e Orgoglio e pregiudizio di Teresa Radice e Stefano Turconi e Topolino e Pippo – On the road di Fausto Vitaliano e Paolo Mottura. La prima si configura sostanzialmente come un aggiornamento del Canto di Natale ai tempi odierni, che non aggiunge nulla né al racconto di Charles Dickens né alla Parodia di Guido Martina, anzi scompaiono la grettezza d’animo, la povertà, la morte per lasciare il posto a una simpatica avidità, con il tratto cartoonesco di Silvia Ziche a nullificare ogni possibile risvolto malinconico. Con Orgoglio e pregiudizio ci muoviamo grosso modo nello stesso solco: il tratto “morbido” di Turconi e la colorazione curatissima disinnescano agevolmente le asperità di dialoghi mimetici dell’Opera di Primo Grado e l’espediente della “voce narrante” consente di riassumere in tre puntate la ponderosa mole di avvenimenti, i quali vengono rappresentati con la massima fedeltà possibile con solo qualche gaffe di Paperoga a riportarci, spiritualmente, nel mondo dei Paperi.
[CONTINUA]