Parodie Disney di ieri e di oggi – 3. Parodie e mitogenesi

Parodie Disney di ieri e di oggi – 3. Parodie e mitogenesi

Terzo appuntamento con l'approfondimento dedicato alle parodie Disney.

Mitologia di primo livello

L’ultima volta ci eravamo lasciati accennando a una tipologia di Parodia chiamata Storia in Costume. Il primo rappresentante di questo sub-genere è Paperino e i tre moschettieri del 1957, di Guido Martina e Pier Lorenzo De Vita, dove il modello letterario è facilmente intuibile dal titolo. In questa storia di 63 tavole, ambientata nel 1618, i personaggi Disney sono silenziosamente trasportati nell’epoca del romanzo omaggiato, impersonando i ruoli di coloro che sono i protagonisti originali. Paperino, qui rinominato Paperin-Parpagnan, interpreta lo spadaccino D’Artagnan; i tre moschettieri del titolo sono nientemeno che Qui Quo e Qua, mentre Paperone-Trentaville rappresenta, in un ruolo decisamente di maggiore piano rispetto al romanzo di Dumas, il signore di Tréville. Alla fine della storia, Trentaville e Paperin-Parpagnan risulteranno essere nient’altro che gli antenati francesi dei Paperi che conosciamo: parentela che sarà rinarrata, smentita e riscritta più volte, poiché in origine non esisteva fissità granitica di questi elementi, ma che risulta vera nella ridotta cornice di questa specifica avventura.

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La prima tavola di “Paperino e i tre moschettieri” ci trasporta direttamente nel regno di Francia nell’anno
1618, senza bisogno di alcuna spiegazione

Come si vede, è già Guido Martina, decano degli sceneggiatori Disney italiani, a certificare l’avvenuto cambiamento di paradigma. La sua eredità sarà raccolta volentieri da chi gli succederà.
Del 1962 è Paperino barbiere di Siviglia, di Gian Giacomo Dalmasso (evidentemente appassionato di teatro) e De Vita. L’anno di ambientazione è il 1784 e la trama ricalca in parte quella dell’opera buffa rossiniana, discostandosene quel tanto che basta per permettere ai nostri “antenati” o “sosia” di mantenere inalterati caratteri e rapporti. Ecco quindi che Gastone Feliciano Fortunio d’Almaviva, assumendo in sé le caratteristiche del protagonista della commedia e del personaggio Disney, risulta trasfigurato e va incontro a sorte molto diversa (vale a dire che, gerarchicamente parlando, il suo essere Gastone conta più del suo rappresentare il Conte d’Almaviva); anche don Pàperon, che interpreta don Bartolo, ha moventi molto diversi rispetto al suo omologo; vi sono eccezioni, come Archimede Pitagorico che svolge il ruolo dell’Alcalde, ma sono modifiche minori e tutto sommato trascurabili.

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Prima tavola de “I Promesse Paperi” di Edoardo Segantini e Giulio Chierchini

Alcuni anni più tardi è Luciano Bottaro a proseguire su questa scia con il terzo episodio di una serie composita, il cosiddetto Ciclo Paperingio a cui appartiene anche quella Paperin Furioso di cui si è già parlato nei precedenti articoli di questa serie. Si tratta di Paperino e il tesoro di Papero Magno ed è una Parodia anomala in quanto non si riferisce a un’opera precisa, ma più che altro a una ambientazione, a uno “spirito”.
Nel 1976 Giulio Chierchini e Edoardo Segantini realizzano una simpatica Parodia de I promessi sposi, la celeberrima I Promessi Paperi, che è una delle storie che maggiormente ci mostrano il mutato approccio degli autori nei confronti del narrato originario. Qui l’espediente che motiva l’avventura è addirittura inverso rispetto al romanzo di Alessandro Manzoni: non un matrimonio impedito, bensì un matrimonio ingiunto, quello tra Paperino-Paperenzo e Brigitta alias Gertruda da Monza, qui personaggio totalmente diverso dall’originale. Anche don Cicciondio è del tutto diverso dal quasi omonimo don Abbondio, mentre il rapporto fra i due amanti Paperenzo e Paperella è riscritto in chiave umoristico-conflittuale; è evidente il cannibalismo operato dai personaggi Disney ai danni dei protagonisti letterari1.

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Il “Topolibro” che per primo raccoglie insieme le parodie sulle opere liriche realizzate da Guido Martina

Nel 1978 torna Dalmasso con un’altra Parodia d’opera, Paperino e l’elisir miracoloso, disegnata da Giancarlo Gatti: l’opera di primo grado, L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, è resa in modo abbastanza fedele al netto di alcune invenzioni meravigliose e paradossali; essa è anche citata esplicitamente nella didascalia incipitaria, e come sempre in questo filone dalmassiano vengono riportati alla lettera passi diversi del libretto, sebbene si rilevino anche qui differenze di un certo peso rispetto al modello originario. Sulla stessa lunghezza d’onda la successiva Paperina “fanciulla del West”, disegnata da Giuseppe Perego e ispirata alla pucciniana La fanciulla del west. Il poco noto (e oggi dimenticato) filone delle Parodie di ispirazione lirico-teatrale prosegue con le simpatiche L’amorosa istoria di Papero Meo e Gioietta Paperina (Romeo e Giulietta), Paperin Caramba y Carmen Olé (la Carmen), Paper-damès e Celest’Aida (l’Aida) e Paperino e la piccola Butterfly (la Madama Butterfly), tutte sceneggiate da Martina e tutte, più o meno, consistenti in serie di gag più o meno spassose legate assieme dal flebile filo narrativo rappresentato dalla fabula dell’opera di partenza.
Come si vede, le Storie in costume sono molto difformi sia per ispirazione che per intenzioni artistiche, viene infranta la consuetudine di parodiare solo Classici letterari e il grado di fedeltà diventa più vario.

Era questo, fino agli anni ’80-’90, il periodo in cui le Parodie Disney erano prodotte a getto continuo, e il Costume divenne in fretta il sub-genere dominante sia numericamente sia per lo spazio occupato nell’immaginario collettivo. I suoi protagonisti sono simili ai nostri eroi, ma al tempo stesso persone diverse; col tempo, di Parodia in Parodia, anche l’escamotage della parentela verrà meno, o meglio smetterà di essere riportata. Agli occhi del lettore, Paperino & co. non sono più loro ma, automaticamente e senza che sia necessario esplicitarlo, degli antenati o dei sosia con caratteristiche e rapporti interpersonali simili, in molti casi rappresentati forzando il modello originario che gerarchicamente si ritrova in posizione inferiore dal punto di vista ispiratore.

Sul finire degli anni Ottanta si rilevano gli ultimi esempi di Viaggio Spirituale, fra i quali il più interessante è L’inferno di Paperino scritta e disegnata da Giulio Chierchini. L’inferno di Paperino è una breve esperienza graficamente lisergica, molto meno ambiziosa rispetto al precedente martiniano e nella quale il legame con il Poema dantesco risulta piuttosto generico.
Il fumetto Disney è ormai mitologia a sé.

Teatro, il “divino anacronismo”

Parodie Disney 3 - img4Prima della trasformazione radicale che sta per interessare il genere, è opportuno citare una sotto-variante che va a collocarsi in una sorta di terra di mezzo tra Storia in costume, Parodia con cornice e Adattamento: la Parodia Recitata, una storia in cui i personaggi sono attori a tutti gli effetti e portano su uno schermo o su un palco l’opera di primo grado, e a questo sub-sub-genere appartengono alcune delle Parodie d’opera citate poco sopra.
Primo esempio in tal senso si può considerare La leggenda di Paperin Hood del 1960, testi e disegni di Romano Scarpa, nella quale i Paperi sono impegnati in un adattamento televisivo delle gesta del popolare eroe britannico. Del 1982 è La storia di Marco Polo detta il Milione di Martina e Scarpa, in cui sembra si debba assistere a uno sceneggiato TV interpretato da Paperino & co., mentre sul finale il tutto viene ricondotto solo a una lettura del libro in oggetto a opera di Topolino (potremmo definirla quindi una Parodia Recitata Simulata).
Altra recita, stavolta reale ed esplicita, è quella che vediamo in L’importanza di chiamarsi Papernesto (opera di Carlo Panaro e Lino Gorlero), storia in cui la cornice teatrale è evidente solo nella prima e nell’ultima vignetta, in cui il campo si allarga quanto basta per permettere al lettore di vedere il palco e il pubblico, sebbene nulla venga mai spiegato circa il perché e il percome della rappresentazione stessa.
Questo sottotipo di Parodia, reggendosi sul meccanismo della rappresentazione come tangenzialità del reale, sul teatro come scatola immaginifica, possedeva in sé un quid di potenziale rottura degli schemi.

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Prima tavole de “L’importanza di chiamarsi Papernesto”

Il fumetto Disney più di molti altri è esplicitamente e progettualmente concepito come un moto perpetuo nei confini dello status quo: qualunque avvenimento, per quanto drammatico, viene sempre nullificato sul finale. Paperone non può diventare povero, Topolino non può diventare un criminale e via discorrendo. Ogni fuoriuscita da questi paradigmi deve essere giustificata e poi annullata entro la fine della storia stessa in cui si presenta l’eccentricità (ci sarebbe qui da aprire una parentesi immensa sulla meravigliosa eccezione rappresentata da Zio Paperone e lenticchie di Babilonia di Romano Scarpa, col suo finale elegantemente sospeso, ma richiederebbe ben più dello spazio a noi concesso).
La presenza di questi vincoli programmatici costringe gli autori a usare – sempre – i personaggi in maniera che sia il più possibile coerente con la loro caratterizzazione principale. È forse questo uno dei motivi per i quali Paperino, più versatile e meno “inquadrato” di Topolino, è il protagonista quasi indiscusso del filone delle Parodie per un oltre un trentennio. La presenza di un copione teatrale o cinematografico, l’intrusione dei personaggi immaginari entro la scatola immaginifica permetterebbe una serie di variazioni interessanti, una eversione nei confronti della congenialità senza che questo possa, logicamente, turbare gli equilibri cari alla Casa Madre, che tutto vede e tutto irreggimenta. Spiace rilevare che di questa libertà concessa dalle Parodie Recitate ben pochi abbiano saputo approfittare. Il fatto che una avventura sia, in realtà, una mera illusione celata in un’altra illusione, una scatola cinese di mitologie, pur con tutte le differenze fra caso e caso, raramente ha portato a turbative eccessive delle connotazioni semantiche disneyane.

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La copertina di “Topolino” che ospitava “Miseria e nobiltà”

Caso più unico che raro di infrazione dei noti equilibri è il primo episodio della serie del “Teatro Alambrah”, serie in cui la cornice teatrale viene correttamente evidenziata e contestualizzata. Siamo nel 1993, e parliamo di Il Teatro Alambrah presenta: Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta in cui l’opera di primo grado, Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta appunto, è elicitata nella maniera più chiara possibile. Vedere Topolino, e non il Mickey Mouse degli anni ‘30 sopravvissuto chissà come alla Grande Depressione, ma il Topolino degli anni ‘90, ormai simbolo del cittadino borghese medio, nei panni di Felice Sciosciammocca, costretto a impegnare il cappotto per rimediare il pranzo o entusiasta di avventarsi su una pentola di spaghetti al pomodoro per mangiarli con le mani, è un’autentica boccata d’aria fresca rispetto al contemporaneo.
Che si tratti dell’ennesima provocazione del noto flambeur Francesco Artibani o un coup de théâtre (è il caso di dirlo) del co-autore Lello Arena è arduo a dirsi, ma la scelta ha un che di liberatorio. Un analogo utilizzo di Paperino sarebbe stata un’azione conservativa, essendo lui fin troppo adatto alla parte, e non avrebbe aggiunto nulla, né al personaggio, né alla storia. In Miseria e Nobiltà di Artibani, Arena e Giorgio Cavazzano assistiamo, oltre che alla recita, anche al riscatto di un personaggio condannato a essere il primo della classe, finalmente libero di abbandonarsi all’anarchismo e all’indisciplina.

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Quadrupla di apertura di “Ho sposato una strega”: Topolino come Fredric March

La stessa indisciplinatezza che Topolino si era viziosamente concesso tre anni prima, fra le pagine della scandalosa Topolino in: “Ho sposato una strega” di Massimo Marconi e Giorgio Cavazzano, Parodia del celebre e omonimo lungometraggio di Renè Clair. Quella volta, solo il titolo restava a fare da paracadute per simulare la finzione scenica di una interpretazione attoriale, quella volta era tutto “vero”. E come è noto, questo portò al “ban” della storia stessa.

[CONTINUA]


  1. con il termine mitogenesi usato nel titolo si vuole intendere, come esposto all’interno del testo, il percorso di affermazione dei personaggi Disney e del loro mondo nel corso degli anni e quindi la costruzione della loro mitologia, che ha portato le Parodie Disney da un’operazione inizialmente mitoclastica – di “rottura” delle opere di riferimento e quindi del “mito” – alla creazione di un nuovo mito, quello della narrativa disneyana. 

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