Parodie Disney di ieri e di oggi – 6. Nato con il dono del riso

Parodie Disney di ieri e di oggi – 6. Nato con il dono del riso

Sesto e conclusivo appuntamento con l'approfondimento dedicato alle parodie Disney.

Parodie oggi: lo stato dell’arte

Per semplicità espositiva non approfondiamo le storie che non si discostano dalla nostra definizione di Adattamento e selezioniamo tre diversi “blocchi” concettuali di opere, diverse fra loro ma accomunate da una serie di elementi: lo stretto rapporto narrativo con l’opera originale, la superiore importanza data dalla grafica rispetto all’invenzione narrativa e l’abolizione dell’abbassamento del tono “al livello del lettore”.

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Cover del volume De Luxe che raccoglie tre parodie di fumetti bonelliani.

Questi sono:

  1. Parodie omomediali: sempre rare, le Parodie tratte da fumetti hanno vissuto una breve fase di effimera fortuna durante la direzione di Valentina De Poli. Fra queste citiamo almeno Topo Maltese (di cui abbiamo parlato nel precedente articolo di questa serie) e la trilogia ideale composta da Topin Mystère e Orobomis, la città che cammina di Casty, Dylan Top: L’alba dei topi invadenti di Roberto Recchioni, Tito Faraci e Paolo Mottura e Bum Willer – Un ranger in azione di Corrado Mastantuono: queste ultime due si fanno notare anche per un tentato ritorno al registro umoristico, pienamente riuscito solo nella seconda. L’intenzione palese di agire tramite invarianti visuali per suggerire, senza imitare, lo stile grafico dei predecessori si adatta perfettamente alla perizia dei tre disegnatori di queste opere, tutti bravi e d’esperienza sebbene in gradi diversi. La Parodia castyana di Martin Mystère si configura come una “normale” storia avventurosa di Casty, nella quale l’elemento parodistico si può ritrovare quasi solo nell’esacerbazione dei caratteri dei protagonisti, gradevole amalgama con le controparti bonelliane. La partecipazione dell’allora curatore di Dylan Dog alla realizzazione della Parodia a lui dedicata ne fa quasi un esperimento metanarrativo – manca del tutto il dileggio, e in questa che è la meno memorabile del blocco (forse non a caso) ravvisiamo anche un certo afflato commerciale.
  2. La Trilogia Gotica: Dracula di Bram Topker del 2012, Lo strano caso del dottor Ratkyll e di Mister Hyde del 2014 e Duckenstein di Mary Shelduck del 2016; queste tre storie condividono gli autori coinvolti (Bruno Enna e Fabio Celoni), l’essere tratte da capolavori della letteratura ottocentesca anglosassone e, in più, un certo modo di rifunzionalizzare l’immaginario pop, dal pittore Gustav Klimt al film “vampiresco” di Francis Ford Coppola, mescolandolo con l’orrore letterario classico e idee tipicamente disneyane (le barbabietole in Dracula, la trasformazione di Topolino in Paperino nel Dottor Ratkyll e Mister Hyde).
  3. La bilogia di Francesco Artibani e Paolo Mottura, riferendoci a Moby Dick del 2013 e a Metopolis del 2017: si tratta di due opere molto difformi, accomunate solo dalla predominanza della cura grafica e dalla volontà esplicita di ricalcare il più possibile l’opera originale, anche quando questa confligge apertamente con lo spirito Disney.

Essendo passati diversi anni, e data la natura da “longseller” delle ultime cinque storie citate, vale la pensa spendere qualche parola su di esse.
La grande imponenza visiva, risultato del lavoro di due fuoriclasse del disegno come Celoni e Mottura, potrebbe apparentemente farcele sembrare simili (spesso lo stile dei due disegnatori, abituati peraltro a lavorare assieme, è stato accostato); al contrario, si tratta di prodotti caratterizzati da un approccio filosofico e una genesi molto differenti.

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La potenza visiva dei disegni di Paolo Mottura per “Moby Dick” emula esplicitamente quella dell’omonimo lavoro
di Dino Battaglia.

Abbiamo detto che gli Adattamenti sono storie che tendenzialmente richiamano le opere da cui sono tratti, ma mai al cento per cento: smussare la violenza, eliminare sesso e sangue, sono le condiciones sine quae non per poter presentare un Classico al lettorato Disney, fin dai tempi de L’Inferno di Topolino. Dracula, Moby Dick, Metropolis, Frankenstein, sono opere difficili da adattare – specie se l’intenzione è tenersi quanto più possibile vicini al teso originale – ed è per tale motivo che queste cinque Parodie sensu largo sono figlie di una ambizione autoriale notevole. Si può imparare molto sulla fertilità del dibattito autoriale di questa Fase confrontando gli stratagemmi messi in piedi dai due sceneggiatori per risolvere questa impasse.
Anche l’origine di queste cinque opere le differenzia. Il “la” alla trilogia gotica viene dato dall’allora direttrice Valentina De Poli, che suggerisce a Enna e Celoni l’idea di trasporre il Dracula di Bram Stoker. Moby Dick e Metopolis nascono invece da un’idea degli stessi autori, che si sono per così dire “organizzati in autonomia” scegliendo due opere, un romanzo e un film espressionista, di cui erano appassionati. I risultati, al netto delle somiglianze formali e tecniche, a ben guardare sono quasi diametrali.
Scrisse lo stesso Enna:

Più leggevo [il romanzo originale] e più mi sentivo come Jonathan Harker nel castello di Dracula: in trappola. Come “tradurre” tutto quel magnifico orrore? Come far scaturire risate dalla paura?

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Cover del volume De Luxe che ristampava “Dracula di Bram Topker” di Bruno Enna e Fabio Celoni.

Enna ha un obiettivo preciso (forse richiestogli), alleggerire in qualche modo la narrazione pur senza, evidentemente, ricorrere agli stilemi della Parodia classica.
In tutte e tre le storie appartenenti alla Trilogia Gotica agisce in maniera simile. Abbiamo una prima parte in cui gli autori ricalcano fedelmente l’opera, con risultati di mimesi anche sorprendenti; poi, una seconda parte in cui una singola idea ribalta tutto e la tensione narrativa si scioglie in un clima disteso e rassicurante, richiamato anche dalla composizione della tavola e dalla colorazione.

Banco di prova del progetto, Dracula è forse la meno riuscita da un punto di vista della felicità di scrittura. Lo sceneggiatore sardo finisce con lo schivare i temi più difficili, oscillando tra umorismo di grana grossa e farsa. Benché visivamente ispirato al Dracula cinematografico di Francis Ford Coppola, manca al personaggio enniano la statura tragica. Nelle due successive, molto più interessanti, Enna raffina la propria penna e opta per delle intriganti scelte metanarrative (ad esempio, in Duckenstein lo scivolamento di senso avviene nel passaggio dalla creazione della vita, centrale nel Frankenstein di Mary Shelley, alla creazione artistica). Alla fine, comunque, abbiamo sempre uno scollamento a progressione geometrica rispetto all’opera di primo grado.

Questo non accade nelle storie di Artibani. Lo sceneggiatore romano, pur essendo alle prese con lavori altrettanto complessi da trasporre, non indietreggia di un passo rispetto al rigore, avvicinandosi maggiormente al (e forse superandolo) livello di fedeltà visto negli Adattamenti cavazzaniani per mantenere il più possibile integro lo spirito delle opere di partenza. L’epicità della narrazione in Moby Dick, mantenuta fino alla fine, ci consegna dei personaggi veri, riusciti, a volte frugati nella propria interiorità fino a recuperarne elementi caratteriali dimenticati dal grande pubblico. La citazione collodiana finale è forse il solo modo possibile per arrivare alla conclusione senza dover sterminare l’equipaggio.

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La sconvolgente trasformazione “a vista” (in stile “An american werewolf in London”) di Hyde in Ratkyll.

Per meglio comprendere la differenza di approccio fra i due sceneggiatori può essere utile un confronto parallelo fra Metopolis e Lo strano caso del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde.
Reduce dal successo della precedente Dracula di Bram Topker, Enna nel 2014 si concede una sceneggiatura “scandalosa”, che gioca anche con l’atteso del lettore (il racconto di R. L. Stevenson è stato adattato in almeno una trentina di film). Complici le bellissime tavole di Celoni, piene di dettagli, sporche, fumose, in cui sembrano rivivere le illustrazioni ottocentesche del romanzo, l’abilissimo sceneggiatore sardo costruisce la propria Parodia come un Adattamento anche più fedele di altri salvo poi, con il grande colpo di scena che costituisce l’ossatura ideologica della storia, rovesciare le carte in gioco. In quella sequenza, inedita e per certi versi scioccante, non è solo Hyde a trasformarsi in Ratkyill (o Paperino a trasformarsi in Topolino, se volete), ma è la stessa storia a trasformarsi: da una “versione Hyde”, cupa, angosciante, durata per tutto il tempo, essa riprende le sembianze di una “vicenda Jekyll”. Come il personaggio di Hyde, anche l’opera si immola, rinunciando al lato oscuro che aveva mostrato fino ad allora per tornare a vestire i rassicuranti panni disneyani. Nelle ultime pagine scopriamo di essere stati tutti abilmente presi in giro dagli autori, che Hyde non è deforme né cattivo, è solo pigro e un po’ capriccioso. Così gli autori ci costringono a riavvolgere il nastro, a rileggere da capo per vedere finalmente il tutto nella giusta ottica: ci troviamo di fronte a un inconsueto esperimento meta-fumettistico, non intellettualmente arido bensì pieno d’amore.

L’amore non manca neppure nell’Adattamento di Metropolis di Fritz Lang. Lungi dall’essere un adattamento pedissequo dell’originale, la scelta di non parodiare ma di mantenersi aderenti al film, come rivelato anche dallo stesso sceneggiatore, è in questo caso legata all’intenzione di diffondere presso il grande pubblico un’opera poco conosciuta al di fuori del circuito dei cinefili. Dato anche il dichiarato abbassamento del target del settimanale, si è considerato che la storia sarebbe finita nelle mani di lettori per lo più digiuni dell’opera di primo grado e quindi impossibilitati a coglierne i parallelismi, i cambiamenti, i giochi narrativi.
Forte della collaborazione con Paolo Mottura, il cui tratto sembra fatto apposta per ricreare fedelmente la grandiosità delle cupe visioni langhiane, lo sceneggiatore romano ha realizzato una storia dal plot sostanzialmente immutato (mantenendone anche le sequenze più famose, come l’esplosione della macchina/moloch), attualizzandone peraltro il messaggio e tenendo ben presente il pubblico a cui è destinata.

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Un esempio di una delle tante scene di “Metropolis” ricereate da Paolo Mottura.

La distopia di Lang era incentrata sulla lotta di classe in una città dove i ricchi industriali sfruttavano il lavoro degli operai: un argomento forse troppo “maturo” per essere compreso da lettori così giovani. Ecco quindi che in Metopolis il discorso viene ampliato per abbracciare tematiche più vicine e più comprensibili ai ragazzi (le classi multietniche sono ormai la normalità) parlando di inclusività e sognando una città, e in senso lato un mondo, capace di accogliere tutti, senza ingiustizie o esclusioni. E non è un caso se lo sceneggiatore indica nella scuola – il luogo dove i suoi lettori passano gran parte del proprio tempo – uno degli strumenti primari per ottenere questo, facendo di Maria/Minny una maestra là dove nella pellicola la sua professione non veniva esplicitata.
In un certo senso, Metopolis rappresenta la perfetta summa di quanto scritto finora. È il 2017, è il punto di arrivo di questo percorso di trasformazione. Apparentemente, anche quello di non ritorno.

Nella successiva gestione del settimanale, affidata a Alex Bertani (2018-attuale), si è infatti proceduto nello stesso solco dei predecessori: se prendiamo ad esempio Il Viaggio del Pippon-Tiki di Sergio Cabella e Ivan Bigarella pubblicata sulle pagine di Topolino nel gennaio 2022, ci troviamo di fronte a un Adattamento pedissequo di Kon-Tiki, film norvegese del 2012 diretto da Joachim Roenning ed Espen Sandberg solo privato di tutta la tensione narrativa che scaturiva dalle infinite possibilità di un viaggio così avventuroso; malattia? morte? pericolo? Di niente di tutto questo resta traccia.

“Nacque con il dono del riso, e con la sensazione che il mondo fosse folle…”

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Prima tavola de “Il viaggio del Pippon-Tiki” di Sergio Cabella e Ivan Bigarella.

Nate con “il dono del riso”, dopo quasi un secolo le Parodie, oggi (almeno quelle considerate di punta su Topolino), hanno abbandonato il registro umoristico, considerato ai tempi necessario per contrabbandare immagini e personaggi appartenenti alla cultura cosiddetta alta. La domanda se siano ancora attuali ci appare oziosa: esse rappresentano non solo una delle colonne del fumetto Disney italiano ma anche il risultato del necessario dialogo fra il fumetto popolare e le grandi opere del passato che rischiano di cadere nel dimenticatoio o di passare inosservate.

Nel fruire un’opera di secondo grado così similare, dal punto di vista della fabula, rispetto al prodotto originario, ci si può chiedere se questa trasposizione abbia davvero senso di esistere al di fuori della meravigliosa arte messa in campo dai disegnatori coinvolti. La rarefazione trasversale della commedia sulle pagine del settimanale è un dato di fatto. Qualcuno potrebbe pensare che il viaggio ultradecennale delle Parodie, ormai Adattamenti, sia sul punto di arrivare al capolinea.
Noi riteniamo che questi timori non siano fondati. Il gusto è un fattore che si accompagna al lento incedere della Storia. Nasceranno nuove Parodie, forse stanno già nascendo. Parafrasando Lytton Stratchey (che ovviamente parlava di tutt’altro), nelle Parodie

ci sono dentro tante cose… tanta esperienza, tanta cultura, tanta arte, tanto umorismo, tanta filosofia, e tante prove che sotto c’è ancora tanto, tantissimo di più, che non è ancora stato detto.

Per chi volesse approfondire:

Da Dante a Bram Topker: la via italiana alla parodia – Parte 1

Da Dante a Bram Topker: la via italiana alla parodia – Parte 2

Le grandi parodie Disney, ovvero I classici fra le nuvole

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