Contattata per email, Elena non ha impiegato più di un giorno per rispondere alle mie prolisse domande, tanto da farmi temere di esser causa di un eventuale prossimo ritardo di Rigel. Il rischio è valso comunque la pena, permettendo di svelare aspetti meno noti ma non meno interessanti di questa simpaticissima autrice.
So che non vorresti domande banali, ma permettimi di iniziare con la più ovvia: quali sono le letture che ti hanno affascinato tanto da portarti a diventare disegnatrice?
Sono completamente onnivora, non posso dire che qualcosa mi abbia influenzata in modo particolare più di qualcos’altro. In realtà avevo iniziato a “fare fumetti” fin da piccola, riempiendo quaderni e quaderni di storie con personaggi inventati da me, e in seguito, inventati “in team” con Annalisa, una mia carissima amica e compagna di classe. Erano fumetti di diverse ambientazioni (dal fantasy all’horror e semplici ambientazioni “normali”) che avevano sempre e comunque riferimenti a persone che conoscevamo (altre amiche e compagni di classe) nei ruoli dei personaggi principali. Posso pero’ dire che fin da piccolissima leggevo i fumetti che mia madre, mio padre e mia sorella portavano in casa: dalla collezione completa di Asterix, sulla quale ho imparato a leggere grazie all’aiuto di mia sorella (c’é una notevole differenza di età tra noi) che mi insegno’ a leggere e scrivere ancor prima che iniziassi la scuola, e poi Topolino e albi Disney vari, Diabolik, e ovviamente una marea di fumetti Bonelli. Mia sorella poi inizio’ a collezionare la rivista Comic Art, e io gliela “rubavo” come e quando potevo (e come si arrabbiava…). Mia madre mi ha cresciuta a lungometraggi della Disney, tra le altre cose.
Poi sono arrivati i manga: uno “shock” culturale?
In realtà potrà sembrarti assurdo ma all’inizio del “boom manga” ero molto diffidente. Non volevo nemmeno leggerli, figuriamoci comprarli. Fu un docente della scuola di fumetto che dopo molte insistenze mi convinse a leggerne uno, Video Girl Ai. Ho iniziato a leggerlo tanto per fargli quasi un favore, e per poter dire “con convinzione” che i manga proprio non facevano per me. Volevo mollarlo al quarto numero, lui mi disse di superare il quinto, così sono andata avanti nella lettura e una volta arrivata al sesto non sono più riuscita a mollarla, ho letteralmente “bevuto” tutti i restanti volumi (ho potuto leggerli tutti di un fiato, perché quando mi è stato prestato la pubblicazione era già stata ultimata).
Da quel momento ho iniziato a leggere vari autori e varie opere giapponesi, superando il pregiudizio iniziale, fino ad innamorarmi letteralmente di alcune caratterizzazioni e metodi narrativi.
Comunque il mio primissimo amore resta la Disney, tutt’ora.
La figura del vampiro si è dimostrata una delle più longeve e poliedriche dell’immaginario. Dalla patina di nobile fascino data da Stoker, a quella di maledetto e reietto di Nosferatu, fino al bello e dannato da Anne Rice in poi. Quale di queste interpretazione ha segnato per te il colpo di fulmine con i vampiri?
Anne Rice, sicuramente.
Per quanto certe tematiche le porti troppo per le lunghe, e allontani troppo i suoi vampiri dalle problematiche quotidiane per i miei gusti. Ma non sopporto i vampiri bestiali e coatti. Preferisco il lato gotico di questa figura. Per quanto devo ammettere che i vampiri della Rice sono un po’ troppo “sempre in posa”, sempre perfetti e ipergotici e superestetici anche se stanno solo guardando che ora è. Rigel per quanto mi riguarda, a parte i suoi momenti di “pippe mentali”, vive una realtà fatta anche di sfighe: se gira per strada, le può tranquillamente capitare di pestare una cacca di cane e incazzarsi. Non è sempre perfetta e iperlaccata. Anzi, è una sfigata pazzesca.
Passione portata anche nei Giochi di Ruolo: intentare una storia o un personaggio nel gioco, quanta affinità ha con il farlo per un fumetto?
A parte i necessari “aggiustamenti di tiro” (fumetti e GdR parlano comunque due lingue diverse), il tipo di passione che ci metto è lo stesso. Come master, come giocatrice, come fumettista. I GdR sono una costante nella mia vita, al tavolo e anche Online. Ho passato anni nel mondo di Norrath, sono una giocatrice di Everquest, un gioco fantasy online, dove ho una dark elf cleric. Ormai non ho più tanto tempo da dedicare a questo gioco, perché disegno davvero dalla mattina alla sera, ma appena posso torno online.
Che cosa ti colpisce in un disegno, nel bene e nel male? Quali sono le qualità migliori per un disegnatore?
L’espressività dei personaggi per me è fondamentale.
Non sopporto invece i manierismi nelle tavole vere e proprie, mentre le amo nelle illustrazioni. Nelle vignette, gli eccessi di “zelo” in mattoncini, ciuffetti di capelli e pori piliferi mi fanno fermare lo sguardo “in superficie” e mi impigriscono l’occhio, non seguo più la narrazione. Mi danno un senso di “horror vacui” che non sopporto. Preferisco gli autori che riescono a raccontare tramite pochi segni, anche se restando comunque in uno schema figurativo, dato che comunque non mi piace nemmeno la sperimentazione eccessiva, difficilmente la apprezzo. Sono molto rompiscatole come lettrice.
È cambiato il tuo modo di leggere un fumetto da quando sei una autrice? Pensi di aver perso o guadagnato qualcosa dal punto di vista del “piacere della lettura”?
Ho sicuramente perso qualcosa.
Non riesco a leggere un fumetto in modo spensierato, diciamo. Come ne apro uno, inizio a valutarlo automaticamente a livello tecnico. Infatti non acquisto più fumetti, se non rarissimi casi di autori per i quali stravedo, oppure il lavoro degli esordienti e le autoproduzioni, che riesco invece a godermi molto di più.
Un’eccezione quest’anno, una piacevole eccezione devo dire, è stato John Doe. Oltre alla valutazione tecnica (che ormai è diventata parte imprescindibile del mio approccio ai fumetti, purtroppo) mi ha ridato quel piacere, che credevo di aver irrimediabilmente perso, dell’andare avanti con la lettura di una serie. Mi ha fatto riconquistare lo spirito da “lettrice”, diciamo.
Uno dei tuoi più grandi meriti, a mio modo di vedere, è stato il cercare con insistenza una sintesi delle influenze iniziali e dei propri progressi e gusti. A volte vedo autori, che tentano anche la pubblicazione e l’autoproduzione, che sembrano “accontentarsi” di sapere disegnare in maniera simile ai proprio fumetti preferiti. Quanto è importante il processo di ricerca, di sperimentazione? Quanto tempo gli dedichi, e come si sviluppa l’idea per provare cose diverse e nuove?
In realtà i miei vecchi albi autoprodotti non li sopporto.
Non mi riconosco in quel tratto così come nella trama.
Certo, ci sono cose che ancora apprezzo e che infatti ho utilizzato comunque come basi della nuova serie di Rigel, ma devo ammettere che se avessi saputo fin dall’inizio che l’autoproduzione avrebbe venduto così bene, avrei da subito usato uno stile più personale e non avrei riempito la storia di orpelli fantasy che poco c’entravano col soggetto iniziale. Come ho detto più volte, l’autoproduzione era nata per gioco e doveva restare un numero uno e basta, all’epoca non pensavo di fare fumetti professionalmente. Poi, una volta constatato che invece avevo parecchie richieste per un numero due, e poi un terzo e così via, ho voluto proseguire, ma avevo paura che cambiare le cose (il tratto, la storia) che avevano caratterizzato il primo numero, potesse essere una scelta sbagliata.
Poi pero’ non ce l’ho fatta più, e al terzo numero ho deciso di chiudere i giochi. Era troppo difficile proseguire con uno stile forzatamente non mio. Così, con Fabrizio, abbiamo deciso di tentare, ci siamo detti “o la va, o la spacca” e abbiamo azzerato tutto, ricominciando con una storia e uno stile completamente nostro.
E alla fin fine la cosa ha pagato, quindi è stata una scelta giusta.
Hai spesso dimostrato, da buona ex-debuttante, di prendere le difese di autori ai primi passi di fronte alle eccessive critiche. Segui molto la scena indipendente, i nuovi nomi? C’é qualcuno tra questi che ti ha colpita particolarmente, che segnaleresti come prossima possibile sorpresa?
Più di uno, ma non voglio peccare di ingiustizia facendo dei nomi, perché sono una testa matta, un caos vivente e sicuramente dimenticherei qualcuno. Pero’ seguo molto i nuovi autori. Sono riuscita a realizzare un traguardo, quello di fare fumetti professionalmente, ma il mio vero sogno nel cassetto adesso è quello di poter fare l’editor. Vorrei trovare degli autori esordienti, e “prenderli sotto l’ala”, aiutarli a pubblicare i loro personaggi.
Chissà, magari ci riusciro’.
Rigel, la figliola prediletta: che effetto ti fa pensare alla strada che ha percorso come personaggio?
Rigel … è un discorso strano, sarebbe troppo lungo raccontare esattamente cosa provo nei suoi riguardi. Con Fabrizio abbiamo nel cassetto tanti personaggi, nati più o meno spontaneamente, o studiatissimi “quasi a tavolino”. Per tanti progetti siamo disposti a compromessi o altro. Per Rigel no. Rigel è intoccabile, incedibile, invendibile. Provo un senso di ribellione totale a qualunque impastoiamento nei suoi confronti.
In realtà Rigel potrebbe essere la mia rovina professionale. C’é troppo sentimento dietro, non c’é nei suoi riguardi la “freddezza e il distacco” necessari a rimaneggiare un personaggio per renderlo più appetibile. Lei è così e basta. Posso dire che è davvero come fosse una figlia. Lo so che è da psicotici, ma è così. Non so spiegarmelo nemmeno io. Fatto sta che Rigel e tutto ciò che la riguarda non si toccano.
In Rigel hai riversato anche il tuo amore per gli animali. Ho letto che abiti in una specie di fattoria (da campagnolo, capisco come deve essere bello!): la tranquillità della campagna dà l’idea dell’optimus per scrivere e disegnare. È così, o ti serve altro per concentrarti?
Mi serve il distacco totale.
Sono un orso, non sono una socialona, ho un caratteraccio e amo stare nel silenzio più totale e circondata semmai solo dalle persone con cui ho estrema confidenza. Gli animali…ah, loro sono una costante della mia vita, e per la mia famiglia. Non potrei vivere senza di loro. Ora i cani sono 7, i gatti 23, e poi c’é sempre il cavallo, il merlo indiano e i soliti pesci che continuano a moltiplicarsi. Tra poco poi arriverà la primavera e ci sarà la solita trasformazione della casa in “lazzaretto per uccellini”: l’anno scorso abbiamo salvato, nutrito, svezzato e “insegnato a volare” a 3 passerotti, l’anno prima a 2 passerotti e uno storno, e in passato nemmeno ricordo tanto lungo è l’elenco.
Gioie e dolori dell’autoproduzione, più libertà ma meno soldi e meno sicurezza? Cosa è cambiato per te in questo passaggio?
Da un lato, il cambiamento è stato difficile: meno libertà, e siccome io sono una casinara terribile, lavorare con dei paletti ben precisi mi ha stranita non poco. Non sono adattabile, ci metto molto tempo a “sistemarmi” in una situazione nuova. Ma dall’altro, la libertà di potermi dedicare solo alla realizzazione degli albi senza dover star dietro a tutte le beghe legali, burocratiche e “di stampa”, magazzino, trasporti alle fiere e così via è stato molto gratificante. Una bella fatica in meno.
Il percorso con Panini Comics appare travagliato: capitato come un fulmine a ciel sereno, si rompe al secondo numero, per poi ricucirsi dopo molto tempo. Cosa puoi raccontarci di quanto è successo, senza che questo comporti denuncie a nessuno di noi due?
Nessuna denuncia, tranquillo; i toni ormai sono più che stemperati. Gli inizi non sono stati facili, anche perché la Panini ha dei metodi di lavoro ben precisi, e io venivo dalla realtà dell’autoproduzione, dove facevo e disfacevo a mio totale piacimento. Ci sono stati degli intoppi, e certe situazioni sembravano inconciliabili. Ma poi ci siamo messi a tavolino e abbiamo trovato un modo per continuare questa miniserie assieme, perché di base la volontà di continuare c’era da tutte e due le parti. Per quanto mi riguarda, il bilancio è positivo, e sono grata alla Panini di avermi dato la possibilità di pubblicare Rigel in quella che fin dall’inizio, nel bene o nel male a seconda dei gusti, doveva essere la sua versione originale.
Adesso si parla già di un nuovo progetto in arrivo, avvolto ancora nel giusto riservo. A che punto è questa nuova avventura?
Stiamo vagliando alcune proposte.
Il nuovo progetto non coinvolge Rigel, per lei abbiamo altri piani. Ci hanno contattati diversi editori, a cui abbiamo mandato la brochure di presentazione, e alcuni di loro hanno fatto proposte interessanti. Adesso pero’ il mio primo impegno è Interlunium. E poi, un periodo di riposo. Breve, ma ci vuole, è stato un anno difficile, non in termini di lavoro soltanto, ma per vicende personali. Sono abbastanza stanca. Appena mi riprendo, decideremo (io e Fabrizio) cosa fare. Per ora, i contatti li tiene lui, da buon avvocato, perché io non ho proprio testa per altro in questo momento.
Hai detto a proposito che cambierai tematiche, e formato, per un po’: puoi dirci qualcosa di più?
Qualcosa sì.
In realtà i progetti nel cassetto sono molti.
Uno, quello più impegnativo a livello di tempo, è dedicato a un target diverso da quello di Rigel: vorremmo confrontarci con qualcosa che non sia dark-goth. E possibilmente con un pubblico più giovane. Altri progetti invece sono destinati a monografici, in particolare un albo sui lupi, che sogno di realizzare da tanto tempo, e una breve storia sulla seconda guerra mondiale, dedicata a mio nonno, una persona che ho nel cuore da sempre.
Sarà quindi un prodotto studiato per le fasce di Witch, per avere un riferimento? Immagino che per rivolgerti ad un pubblico diverso dovrai (anzi, dovrete) fare un lavoro più controllato, studiare maggiormente le storie. Come pensi di rapportarti con le tue storie a questo pubblico?
Il target di Witch? Non direi, comunque sicuramente più vicino a Witch che non a Rigel. Di certo è un prodotto meno “istintivo e caotico” come approccio e realizzazione rispetto a Rigel. Più studiato, diciamo. Ma mi sto divertendo molto. Anche se devo ammettere che il dark-goth mi fa sentire più ” a mio agio”, in realtà.
Comunque, sono contenta di confrontarmi con qualcosa di diverso: del resto una cosa non esclude l’altra, e Rigel andrà comunque avanti, parallelamente ad altri progetti se sarà il caso. Ancora dobbiamo decidere come e con chi, di proposte ne abbiamo molte, ma come ti ho detto, ora come ora sono troppo concentrata su questa miniserie e dopo per un po’ mi mettero’ “in vacanza”, quindi non mi sento di decidere ora, su due piedi. Per ora prendiamo contatti e valutiamo le varie proposte, poi, quando verrà il momento, decideremo.
Saranno coinvolti anche altri autori in questo progetto?
Nel progetto “più giovane” sì, assolutamente sì.
Sto già contattando alcune persone. La qualità del loro lavoro mi ha sbalordita.
Un primo passo da editor, insomma! Tornando a te, come si svolge il tuo lavoro? Che orari hai, quali sono le tue tecniche preferite, e quanto impieghi per fare una tavola?
Dipende dalla tavola, e dalla giornata.Te l’ho detto, sono una casinara emotiva e disordinata, non sono una persona organizzata, se non ci fosse Fabrizio anzi sarei capace di perdermi in casa mia. A volte faccio anche 3 tavole al giorno, a volte non riesco a finirne una se non in tempi molto lunghi. Se poi mi arrabbio, strappo tutto. E ricomincio.
Ti sarebbe piaciuto prendere parte del periodo (d’oro) delle riviste, come Cannibale, Frigidaire, il periodo di Pazienza, Tamburini, Liberatore? Come pensi sarebbe stata diversa Elena Dé Grimani allora?
Mi sarebbe piaciuto da morire.
Sento sempre più un bisogno tremendo di tirare fuori progetti che magari comprerebbero sì e no 5 persone, ma che *devo* assolutamente tirar fuori. Spero prima o poi di trovare anche un piccolo spazio per poterlo fare. Altrimenti, continuero’ a pubblicare per altre case editrici i prodotti “più commerciali” e questi un po’ più “strambi” me li autoprodurro’.
Al di fuori del lavoro, com’é Elena Dé Grimani?
Un orso. Un orso pantofolaio.
Amo la mia casa, la mia famiglia, i miei animali, la tranquillità e il silenzio. La folla, il casino e gli estranei mi possono gettare nel panico. Alle fiere, per quanto amo alla follia tutte quelle persone che mi chiedono firme, disegni e mi fanno complimenti o mi danno consigli, sono in un perenne stato di panico. Non sembra, a “leggermi” su web, ma sono molto timida, da un lato, e dall’altro molta gente dell’ambiente mi tiene alla larga perché le cose non le mando mai a dire, a costo di arrivare alla rissa verbale.
Spulciando e leggendo varie interviste in rete, ho letto che durante il liceo hai perso due anni per cattiva condotta: eri così cattiva?
Ero caotica e manesca.
Odiavo quella scuola, infatti quando alla fine convinti dal mio comportamento i miei genitori mi hanno fatto cambiare istituto, i guai sono finiti. Improvvisamente ero diventata una “scolara modello”. In realtà, non sono adattabile, se un ambiente mi mette a disagio, mi ribello. Hanno fatto benissimo a buttarmi fuori da quella scuola, l’avrei fatto anche io. Del resto, era il solo modo per cambiare istituto, quindi sapevo benissimo che cosa stavo facendo. La prima volta mi hanno solo bocciata, e vedendo che quello non bastava a convincere i miei a farmi cambiare scuola, l’anno successivo ho scatenato un tale inferno che mi hanno buttata fuori. E finalmente ho ottenuto quello che volevo. Non ne potevo più di stare lì dentro.
Lavorare sul proprio fumetto assieme al proprio compagno di vita (Fabrizio Palmieri) credo sia una strana sensazione. In un certo senso, la condivisione di un momento di creazione permette, io credo, di comunicare sfumature di sé che difficilmente vengono fuori a parole. È così? Pensi che questo fare fumetti insieme vi abbia resi più vicini?
Penso di sì.
Io ammiro le idee di Fabrizio.
Tinebra è sua, l’ha inventata lui, e non lo ringraziero’ mai abbastanza. Lei e Rigel sono in un certo senso “le nostre figlie”. Non riesco ad immaginare di lavorare a Rigel senza di lui.
Ed a questo proposito… Pensi mai ad una futura maternità, a dei figlio “in carne e ossa”? Che genitori sarete?
A’ matto!!! Io madre? pensa che disastro che sarei…
Beh, comunque sono sicura che se avessi un figlio, quantomeno si divertirebbe come un pazzo: ma probabilmente sarei sempre più “bambina” io di lui, o lei.
C’é chi dice che un autore lavora solamente per sé. Trovo questa affermazione difficile da credere del tutto, visto che in ogni processo creativo – certo uno stimolo e un processo profondamente personale – sussiste una forte componente di confronto con gli altri, esplicito o implicito. Tu cosa ne pensi, e come vivi questa cosa?
Io lavoro anche per me stessa.
Nel senso che se domani dovessi cambiare lavoro, continuerei a disegnare fumetti nel tempo libero, ma comunque cercherei qualcuno a cui farli leggere. Il pubblico per me è importantissimo. Quando qualcuno mi scrive o mi dice che ha sognato o si è appassionato leggendo Rigel, mi sento al settimo cielo. Quando in fumetteria vedo qualcuno che porta alla cassa uno dei miei albi, scoppio di felicità, vorrei baciarlo. (prevedo degli agguati in fumetteria alla ricerca di baci! – ndr) Quindi no, non riesco a credere all’artista duro e puro che disegna solo per se stesso. Se disegnerei comunque, anche senza un pubblico? Sì, certo, non so vivere senza disegnare. Ma fare fumetti sapendo che qualcuno li leggerà, è troppo bello. Io credo che dietro questa mia passione per i fumetti, si nasconda una voglia di comunicare pazzesca, che per carattere non riesco a esprimere in altro modo. Ma per comunicare ci vuole un interlocutore. No pubblico, no party insomma.
Che importanza ha per te il giudizio dei lettori? Come senti i complimenti e le critiche rivolte al tuo lavoro?
I complimenti fanno sempre piacere.
Le critiche le divido, in quelle educate e costruttive, che ascolto, e in quelle dei wannabe che vorrebbero insegnare il mestiere agli altri, che lascio parlare annuendo, ma che da un lato mi entrano e dall’altro mi escono.
Il confronto al tempo di internet diventa un processo continuo, una appendice immediata del lavoro, uno scambio forse anche più difficile da seguire e metabolizzare. Come vivi il rapporto con il web, dove la tua presenza non è mai mancata?
Sono nata come utente di internet e web communities molto prima che come fumettista. E finché mi autoproducevo, era tutto ok. Adesso che mi pagano per disegnare, ovviamente c’é sempre qualche cretino che se ne esce con insulti vari, o peggio dicendo che io e altri “addetti ai lavori” che frequentiamo forum o newsgroup, lo facciamo solo per farci pubblicità. Cavoli suoi,se la pensa così. Sono cresciuta diventando purtroppo molto cinica. Sarà la crisi dei trent’anni… Se prima ero molto più sensibile, adesso sono quasi menefreghista. Oltretutto eventuali commenti di gente anonima, che scompare dietro un nick, o che comunque parla senza dimostrare nulla, non contano niente. A parole anche io so dipingere la Cappella Sistina.
Chissà come sarebbe una Cappella Sistina gothic-dark!?!
Non ci rimane che ringraziare Elena, ed aspettare i suoi prossimi progetti con curiosità.
Intervista rilasciata a Gennaio 2004 via mail