Lo Spazio Bianco, in collaborazione con la casa editrice Shockdom, sta seguendo lo sviluppo di To je moj pas, la nuova graphic novel di Elena de’ Grimani che vedrà luce nei primi mesi del 2020.
Dopo aver presentato una serie di immagini promozionali inedite (una la trovate qui di seguito), abbiamo intervistato Elena per sapere come è nata l’idea per quest’opera e come l’autrice ha deciso di trasporre su carta i suoi ricordi.
Nata a Roma nel 1975, esordisce nel fumetto nel 1999, anno in cui autoproduce il primo albo del suo personaggio-simbolo: la vampira Rigel. Nel corso degli anni pubblica diverse storie del personaggio, arrivando a pubblicarle anche per Panini Comics nel 2001 con la miniserie Rigel Interlunium (ristampata nel 2012 in versione deluxe). Sempre per Panini realizza due episodi a fumetti per la rivista Piccoli Brividi. Per Star Comics crea il personaggio di Luna nel 2002. Nel 2014 esce il nuovo inedito, Rigel-Anedonia, sempre edito dalla Panini. Nel 2015 contribuisce con delle illustrazioni alla raccolta di racconti Storie di Gatti: Nuovi racconti a quattro zampe (Buck e il Terremoto Vol. 2). Dal 2017 collabora con la scrittrice Velma J. Starling, realizzando le copertine della saga fantasy The Silent Force.
INTERVISTA A ELENA DE’ GRIMANI
Ciao Elena e grazie per avere accettato questa intervista. Per iniziare, ci puoi raccontare come è nato il progetto di To je moj pas
È nato durante una delle mille chiacchierate con mio padre, casualmente, una mattina, davanti a una tazza di caffè. Ho perso papà da tre anni, e mi manca da pazzi passare del tempo con lui. Era un ragazzino al tempo della guerra, ma abbastanza grande da ricordare e raccontare. Appassionato di storia, spesso ci perdevamo in discussioni infinite. Quella mattina ero appunto andata a casa dei miei per un caffè, e durante una di queste discussioni-racconto sul passato e la guerra, in mezzo a foto in bianco e nero e vecchi ricordi di famiglia, è nata spontaneamente la traccia di questa storia. Papà sarebbe morto meno di un anno dopo, ma nessuno poteva ancora minimamente sospettarlo. Quel caffè e noi che, seduti al tavolo della cucina, iniziamo a buttare giù la traccia di questa storia tirando fuori foto su foto da vecchi album e scatole, è un momento prezioso che conservo gelosamente nella memoria. Una delle ultimissime giornate “normali e serene” prima che arrivasse la tempesta.
Puoi raccontarci qualcosa dei protagonisti del libro: la bimba e il suo cane.
Rappresentano parte di quello su cui discutevamo con papà, una vittima predestinata apparentemente senza alcuna speranza, e un carnefice nato, scelto, allevato e addestrato per essere il migliore nella sua “categoria”. Ma tutti e due rifiutano il ruolo a loro imposto dal destino non appena le loro vite si incrociano. Scelgono. Costi quel che costi.
Puoi parlarci del background della storia e come hai scelto di svilupparla?
La storia è un salto continuo tra passato e presente: un nonno e un nipote che parlano di quel che accadde ai due protagonisti. Un po’ come è accaduto a me e papà mentre chiacchieravamo quella mattina. Ovviamente tra loro e la bambina c’è un legame familiare (non lo svelo qui per non fare spoiler) e l’elemento che ci riporta sempre avanti e indietro tra le scene del passato (in cui tutto è visto attraverso gli occhi del cane) e del presente (dove a farla da padrone è il nonno che racconta) è il Cardinale Rosso, un uccellino che, stando alla leggenda che lo accompagna, è un tramite e canale di comunicazione tra i vivi e i morti. La leggenda del Cardinale Rosso e la sua importanza simbolica nella storia sono spiegate all’inizio della stessa, in una tavola di cui è stata già presentata un’anteprima.
Quanto del tuo passato, delle tue radici si è riversato nella lavorazione del volume?
Moltissimo. Anche se in modo romanzato, la trama è in molti punti ripresa e adattata dai racconti di mio padre (e prima ancora da quelli di mio nonno, che adoravo). E c’è anche molto del mio rapporto con gli animali.
Quali sono i motivi che ti hanno portato a scegliere un titolo in lingua Croata?
La bambina viene da lì, come tutto il lato paterno della mia famiglia. Sono una “mezzosangue”, per così dire. Anche se il cognome è italiano, papà era nato a Sebeniko. Così mio nonno. Nonna invece era nata nel Montenegro. Papà era fluente in croato, bilingue fin da piccolo, mentre io lo mastico appena, quindi il suo apporto è stato fondamentale non solo nello scegliere il titolo e inserire elementi realistici nella vicenda, ma anche per scrivere correttamente le (poche) frasi in cui la bambina parla.
Il libro è interamente realizzato da te. Quali tecniche hai utilizzato per i disegni?
Carta da acquerello Canson, ecoline e copic per le scale di grigio e il rosso (unico tono di colore) e penna bic. Tutto in tradizionale, nulla in digitale (a parte il lettering, ho una calligrafia terribile e comunque non mi piace lasciare balloon sugli originali).
Il libro, la sua storia, quello che ha contribuito a farlo nascere fanno parte di un momento delicato e molto importante della tua vita. Hai mai avuto paura di non riuscire a mettere su carta dei sentimenti tanto importanti? Di non rendergli giustizia?
Ne ho tutt’ora tantissima. Dopotutto non credo di aver ancora elaborato del tutto la cosa, mi sembra immensa e senza confini all’orizzonte. Dopo la morte di papà non volevo più disegnare, in assoluto: blocco completo. Per un anno ho fatto un lavoro completamente diverso. Poi, parlare con alcuni addetti ai lavori mi ha spinta a rimettermi in gioco. Ripartire proprio con questa storia è stata una scelta naturale a quel punto: il dolore non passa, ormai credo di capire che dovrò conviverci e basta, ma spero almeno in una piccola “epifania”. Il nome di papà sarà accanto al mio sull’albo. Per me questo significa tantissimo.
Il cane è un elemento fondamentale di To je moj pas. Quanto sono importanti per te gli animali e quello che trasmettono?
Immensamente importanti. Come è sempre stato per tutta la mia famiglia. Siamo tutti nati e cresciuti con molti animali vicino a noi. È una mentalità che chi non vive non può comprendere: se vedessi gli album di fotografie, accanto a quelle di parenti ormai scomparsi o di noi da piccoli, troveresti tantissimi animali, e ognuno ci ha accompagnati e ha rappresentato un periodo delle nostre vite, parte della famiglia tanto quanto noi. Sicuramente ad occhi esterni siamo sempre sembrati anche eccessivi, in questo: probabilmente una certa selettività nello scegliere le amicizie deriva da qui. Per nessuno di noi è mai stato accettabile frequentare qualcuno della scuola di pensiero “è solo un cane” (o altro animale). Condividere la vita con loro è una cosa che ci appartiene da generazioni.
Come è avvenuto l’incontro con Shockdom e perché ti sei detta che era la scelta giusta pubblicare con loro?
Con Lucio ci conosciamo dai tempi di IAF (il newsgroup it.arti.fumetti), ma proprio negli anni in cui Shockdom è sbocciata e si è affermata, io ero ancora presa dalla lavorazione dell’ultimo monografico di Rigel (Anedonìa) e poi sono scomparsa per un po’ proprio per la faccenda di mio padre. Dopo anni e i discorsi fatti con alcuni addetti ai lavori amici, che ringrazierò nel libro, si è creato il contatto diretto. Una cosa ha tirato l’altra. Io ho solo raccontato la storia, loro hanno detto “sì”, da lì è cominciato tutto.
Hai paura del giudizio del pubblico? Come ti rapporti con chi ti legge e con le loro reazioni?
Questa graphic novel è fatta per mio padre, innanzi tutto. È l’ultima cosa che abbiamo creato insieme, rappresenta uno degli ultimi momenti sereni vissuti prima che l’incubo iniziasse, e non voglio lasciarla in un cassetto. Questa è la mia prima motivazione. Se il pubblico apprezzerà, non potrò che esserne felice, ho sempre rispettato molto ogni mio lettore fin dai tempi delle primissime autoproduzioni. È il lettore a decidere se un albo andrà bene o no: ed è giusto così. Paura no, ma molta curiosità. Con questa storia esco dalla mia comfort zone, se così si può dire. Spero di riuscire a trasmettere almeno parte di quel che sto sentendo io nel realizzarla, questa storia. Lo spero tanto. E mi sto impegnando per fare qualcosa di cui papà, che era un criticone, sarebbe andato fiero. Purtroppo lui non lo vedrà mai, quindi non avrò alcun riscontro in tal senso e questo fa male. Per questo motivo, ho speranza nei lettori. Non paura.
So che non ami eccessivamente i social. Pensi sia possibile oggi avere un’adeguata visibilità senza ricorrere a questi mezzi di comunicazione, ormai parte della vita quotidiana?
I social di certo accorciano tempi e distanze, forse troppo per il mio carattere, ma non credo siano l’unica via, per quanto certamente da una decina d’anni a questa parte siano la strada più battuta proprio per l’immediatezza che consentono. Ma non li reputo imprescindibili.
Che ne pensi del mondo del fumetto odierno? Ti riconosci ancora nelle sue dinamiche?
No. Mi tengo in contatto con i pochi che stimo e che son rimasti attivi della “vecchia generazione”, quelli che hanno esordito più o meno assieme a me in un mondo in cui internet era appena arrivato, e seguo con interesse alcuni nuovi talenti. Ma al contrario di alcuni autori nativi del periodo “pre era dei social e del digitale” che si sono perfettamente “svecchiati” e adattati alle nuove dinamiche padroneggiandole perfettamente, io sono invece rimasta tra quelli che si è adattata solo fino a un certo punto. Uso i social, così come a volte uso il digitale, ma con moderazione. Non fanno parte del mio background, e riesco a rivoluzionare e adattarmi solo fino a un certo punto. Del resto ognuno ha i suoi limiti ed è giusto ammetterli innanzitutto con sé stessi. Ho provato per un po’, ma non faceva per me.
Fondamentalmente lavoro per conto mio (con la supervisione della casa editrice s’intende) e raramente vedo o sento qualcuno dell’ambiente di cui ho stima e a cui chiedo ulteriori pareri e consigli. Anche lì, con gli anni ho fatto una scrematura su chi voglio tenere nella mia vita (per quanto i contatti siano sporadici causa impegni reciproci) e chi no. È carattere, credo. Anche fossi nata nell’epoca dei social, dubito sarei comunque mai stata un utente da 5000 contatti e che accetta l’amicizia da tutti. Per circa cinque anni ho avuto una pagina pubblica, andava bene, ma poi l’ho chiusa. Era un doppio lavoro. L’avevo aperta avendo in mente un obiettivo ben preciso, ha assolto le sue funzioni, è servita, ma una volta ottenuto lo scopo che mi ero prefissata, l’ho chiusa (non senza un certo sollievo). Era veramente troppo per me. Non ci sono tagliata.
Recentemente hai riottenuto completamente i diritti di Rigel, forse la tua opera più famosa. Credi ci sia la possibilità di poter vedere nuove storie magari proprio con Shockdom?
Se Shockdom vorrà, certamente. Ma ci sarà un discorso da fare a monte: Rigel, come me, è cambiata. Molte cose l’hanno segnata, e non è più la stessa. Del resto il suo primo esordio è stato nel 99 come autoproduzione, e poi dal 2001 con Panini ha fatto la sua strada, è stata ristampata più volte, ma dopo tanti anni è indubbiamente cambiata assieme a me. Ecco perché le differenze di Anedonìa e dei racconti per alcune riviste fatti negli ultimi anni rispetto ai primi volumi e le prime miniserie. Il suo mondo resta quello, nessun reboot del personaggio come alcuni erroneamente pensano: tutti i comprimari restano lì, esistono ancora. Ma è cambiata lei.
Del resto è sempre stata una mia proiezione (cosa di cui sono cosciente ora, non lo ero quando ho iniziato a raccontare le sue storie). Ha rinchiuso la sua parte umana in una bolla per non “sentire e quindi non soffrire” più. Ora vive un mondo “selvaggio” in cui tutto ciò che vuole prende, senza scrupoli, forte dei suoi poteri. Può darsi che un domani la sua parte umana si libererà e riprenderà il controllo, o forse no. Questo lascerò che siano eventualmente i lettori a scoprirlo, se e quando ci saranno nuove storie. Io stessa lo scoprirò con loro.
Grazie per la pazienza e la cortesia, Elena. E’ stata davvero una bella chiacchierata, ricca di sorprese e ricordi importanti. A presto e in bocca al lupo per il tuo lavoro.
Intervista condotta via mail ad aprile 2019.