“Si deve incominciare a perdere la memoria, anche solo brandelli di ricordi, per capire che in essa consiste la nostra vita. Senza memoria la vita non è vita… La nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire. Senza di essa non siamo nulla… (Non mi resta che aspettare l’amnesia finale, quella che può cancellare una vita intera, come fu per mia madre…).”
Luis Buñuel
Danilo sta per morire, ha i giorni contati da una malattia e la sua compagna sta per dare alla luce un figlio che probabilmente è frutto di una relazione con un altro uomo. L’unica svolta che riesce a dare alla sua vita mediocre è iniziare a fumare, ritagliando per sé dei piccoli angoli di mondo di cui va alla ricerca per passare del tempo isolato a rilassarsi.
Come già avvenuto con L’estate scorsa e Manuelone, quella che Paolo Cattaneo racconta è una storia nostalgica e generazionale, che rievoca alla perfezione l’Itala di provincia degli anni ’90, ma stavolta c’è qualcosa di più.
Nel narrare questa esistenza di Danilo, che parla a suo figlio e al lettore in prima persona attraverso un diario, ma che ha evidenti rimandi autobiografici, l’autore delinea la convivenza con una non specificata malattia. In controluce si può giungere alla conclusione che tale malattia sia una sorta di conseguenza necessaria di un’esistenza misera, legata al lavoro logorante presso l’ILVA di Genova e a un progressivo lasciarsi andare del protagonista che sempre più è scende in una spirale involutiva di cui Cattaneo rende bene l’idea, attraverso la costante rappresentazione di elementi sudici nelle tavole, dalle mani impregnate dell’unto di una focaccia ai sedili di un’auto sporchi di vomito dopo una serata.
L’approccio dimostra però una sensibilità rara: Cattaneo non cerca mai il patetismo o la retorica. In Danilo non c’è nulla di aulico, nessun gran pensiero nascosto dietro le sue vicende; non possiamo nemmeno parlare di antieroe o inetto, per come Svevo ad esempio intendeva i suoi personaggi, poiché dietro quei racconti vi era sempre la sensazione di una grande programmazione, della presenza di un autore che intendeva comunicare una condizione che aveva il sapore dell’universalità.
In Non mi posso lamentare, invece, il protagonista è praticamente un assente nel mondo, non si fa domande, non si ribella né si lamenta. Nella sua inconsapevolezza, fra le macerie, Danilo riesce a far però spuntare per magia dei luoghi arcadici, dei paradisi terrestri sommersi fra le rovine di una casa abbandonata, dietro i rottami di un traliccio arrugginito e sul tetto di un cementificio in disuso da cui si intravede il mare fra le foglie degli alberi.
L’atto eroico è totalmente involontario e per questo assolutamente vero. La ricerca di questi luoghi da parte del protagonista viene vissuta come un’avventura con gli occhi del bambino; e così inerpicarsi per un sentiero pieno di rovi per cogliere delle prugne da una pianta risparmiata dalla frenesia del cemento, diventa un atto di purificazione.
Il personale modo di ribellarsi alla morte di Danilo è un gesto dolce, che passa inosservato; la sua ribellione non viene strillata come quello del poeta romantico che si ergeva fiero di fronte alla morte. Il modo con cui Danilo si aggrappa alla vita e decide di non morire è invece attraverso i suoi ricordi. Con il diario il protagonista lascia degli indizi al proprio figlio per fargli riscoprire degli oggetti nascosti per la città, oggetti in cui Danilo ha lasciato parte della propria anima, cose da niente che vengono valorizzate dalla forza dei ricordi a cui sono legate.
Danilo lascia la vita in silenzio e senza disturbare, senza mai lamentarsi appunto, godendo a pieno dei momenti di solitudine e portando avanti il suo ricordo e amore nella figura del figlio che sta per nascere, dimostrando la grandezza aurea della via di mezzo.
La scelta che segna una svolta nella carriera artistica dell’autore, operata in questo volume, è certamente l’uso del colore. Cattaneo passa dalle matite dense e sfumate de L’estate scorsa al disegno digitale a colori.
In questo grande salto il suo stile subisce una mutazione profonda, ma non viene snaturato, anzi semmai potenziato. La palette cromatica caratterizzata da colori piatti e spesso acidi rende alla perfezione i due estremi e punti cardine del racconto: da un lato lo schifo e la sporcizia, l’unto, la lordura dei personaggi, dall’altro la potente nettezza degli ambienti idilliaci in cui Danilo si rifugia per fumare una sigaretta, in cui il mare, il cielo e gli alberi appaiono fortemente distinti fra loro, come monoliti che suscitano meraviglia e religioso rispetto.
A contrasto coi disegni dei corpi caricaturali ma realistici, che rispecchiano a pieno lo stile dell’autore, i paesaggi e la resa degli ambienti e delle architetture prendono la via di una efficacissima semplificazione minimalista: Cattaneo sfrutta le assonometrie e rende gli edifici e gli oggetti come delle perfette e piatte figure geometriche tridimensionali.
Il risultato è un’opera emotiva e abbagliante, coloratissima e pop, che non tradisce l’anima grafica e spirituale dell’autore legata fortemente agli anni ’90.
Abbiamo parlato di:
Non mi posso lamentare
Paolo Cattaneo
Rizzoli Lizard, novembre 2019
242 pagine, brossurato, colori – 21,00 €
ISBN: 9788817139663