Mytico!: ovvero raccontare il mito ai preadolescenti (e non solo)

Mytico!: ovvero raccontare il mito ai preadolescenti (e non solo)

Nelle sue 38 uscite settimanali, Mytico! ha raccontato il mito e l'epica in forma accattivante e mantenendone fascino e complessità: vediamo che storie e in che modo.

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A cadenza settimanale, Mytico! ha proposto racconti tratti dalla mitologia e dall’epica greca, con l’obiettivo di trasmettere innanzitutto il senso di meraviglia e, perché no, di timore che quelle vicende e quei personaggi custodiscono al proprio centro. Le considerazioni che seguono si fondano sul fatto che Mytico! è pensato e scritto per lettori in età preadolescenziale, che quindi frequentano le scuole elementari e medie. Per quel che può significare, è il pubblico che emerge dalle lettere pubblicate nella rubrica della posta dei lettori.

In questo articolo, mi concentrerò su uno dei tanti aspetti interessanti dell’iniziativa editoriale: il modo con cui ha scelto di proporre il mito. Tralascio quindi caratteristiche importanti, quali la presentazione del lavoro di realizzazione delle opere, i confronti con gli autori (che per molti lettori sono sicuramente stati i primi contatti con il lato operativo del fare fumetto), l’espansione multimediale e così via.
Mytico! ha raccontato storie, storie particolari: vediamo che storie e in che modo.

 

Premessa: di che cosa parliamo quando parliamo di (certe) storie

Partiamo da un dato di fatto: le storie esistono ed esistono da sempre. Da prima che la parola fosse scritta (ricordate le pitture rupestri? Raccontano storie, o almeno ne hanno tutta l’aria – e sì: “elementi figurativi giustapposti in maniera consapevole, con l’intento di trasmettere informazioni”, in particolare con valore narrativo, è una buona definizione di fumetto) –, da prima delle città e delle leggi. michel-mammi

L’essere umano è un animale che racconta storie. Ogni cultura ha le sue storie, che vivono insieme a lei e, spesso, con lei si smarriscono. I cicli di vita delle culture e delle società sono complessi (esistono biblioteche zeppe di testi che ne discutono), ma per le storie possiamo ragionevolmente dire che hanno una sola via di sopravvivenza: continuare a essere raccontate (ma, in effetti, esistono biblioteche zeppe di testi che discutono anche di questo, visto che le storie si trasformano attraverso il tempo, lo spazio e le culture). Attenzione: per storia intendo una specifica trama (“Il centro della vicenda è la trama”, scriveva Aristotele, dove la parola greca per “trama” è “mythos“, “mito“) con specifici protagonisti e con specifica identità. Insomma, una storia con nomi propri, dove personaggi e luoghi hanno un’identità specifica e determinata.
leandrosSe ci avviassimo sul sentiero delle strutture narrative, probabilmente scopriremmo una serie di invarianti e di luoghi ricorrenti, rappresentabili anche sotto forma di relazioni logiche. Ma queste rappresentazioni formali non sono certo storie. Avete mai sentito chicchessia raccontare cose del tipo “Esiste (x) [Uomo (x) Sposato (x, z, Wn, s0 < s1] Per ogni (y) [Uomo (y) Sposato (y, z, Wn, s0 < s1) (z=x2)]…”? Utile, magari, ma di scarso successo di fronte a un pubblico che vuole storie (l’uomo è un animale che ascolta storie).

Le storie vive generano altre storie e interagiscono l’una con l’altra: si citano, alludono, richiamano, negano, riaffermano; le storie non sono entità isolate, ma formano e vivono in un universo in continua evoluzione e pieno di energia. Consideriamo una Storia A con un certo significato e una storia B che riferisce A, magari elaborandola: ebbene, istintivamente assegniamo alla storia B i significati di A e quindi possiamo ragionare su B proprio partendo da A. Ma questo possiamo farlo solo se conosciamo la storia A.
Ecco quindi (di nuovo) il punto critico: conoscere le storie. Per conoscere le storie è necessario che qualcuno ce le racconti. Le storie (quelle storie, quelle con i nomi), dobbiamo pur incontrarle, per poterle conoscere. Naturalmente, la trasmissione delle storie sfrutta un meccanismo di retroazione: se una storia viene trasmessa, può sopravvivere, far parte di una cultura e perciò essere ulteriormente utilizzata (e trasmessa).

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Una questione di linguaggio

Ecco che cosa è (è stato) prima di tutto Mytico!: un’occasione di incontro con delle storie. minotauroDelle storie speciali: delle storie che ritroviamo in tante altre storie e ragionamenti contemporanei; con protagonisti che ritroviamo in tante altre storie e ragionamenti sul mondo che ci circonda. Raccontano eventi e personaggi che sono parte del nostro stesso linguaggio, figure e modelli del nostro pensiero. Per questo sono particolarmente importanti.
Il merito speciale dell’approccio al racconto del mito da parte di Mytico! risiede nel come ne ha affrontato la complessità. La considerazione del lettore modello ha infatti influito sulla scelta del linguaggio, grafico e narrativo, calibrato su stili e riferimenti contemporanei: la scrittura dei testi, la scelta dei ritmi, la definizione dei personaggi ha costruito un ambiente narrativo senza barriere d’entrata per un bambino. Il tutto per portare e trasmettere il cuore di quei racconti antichi ai ragazzi, adottando linguaggi a loro vicini attraverso questo canale dalle forme contemporanee.

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Non banalizzare

Il problema principale dei prodotti per l’età preadolescenziale è la scelta del punto di equilibrio fra l’esigenza di dire degli autori e la capacità di interpretare dei lettori. casaliIl rischio che si corre è l’edulcorazione involontaria, che può generare storie facilmente digeribili ma scarsamente nutrienti. Affrontando il corpus della mitologia e dell’epica greca, il punto su cui ragionare è: che immagine vogliamo dare di quelle vicende/racconti?
L’immagine proposta da Mytico! mantiene molto della complessità, della crudezza, della problematicità e della capacità di sollevare interrogativi, di disturbare e inquietare delle storie originali.

Molte di quelle vicende non intendono essere confortanti: possono essere morali (perché sono sottese da un’etica, da una visione del mondo), ma non moraleggianti – la distorsione moraleggiante può considerarsi una prima manifestazione di tecnicizzazione del mito, ovvero della sua strumentalizzazione per raggiungere obiettivi determinati dal narratore1. poseidoneNon suggeriscono banalmente buone pratiche di condotta, né sono guide al successo: sono spesso casi esemplari con cui confrontarsi, da interrogare, eventualmente da mettere in dubbio e analizzare e smontare. Non che ci si debba aspettare un simile approccio da parte del lettore modello di Mytico!, ma i lavori proposti nella serie mantengono le caratteristiche in grado di stimolarlo.

Paradossalmente (pensando al suo lettore di riferimento) siamo di fronte a un progetto che capovolge un modello forte della narrativa mainstream a fumetti, che prevede l’infantilizzazione delle vicende tramite la riduzione o l’annullamento delle complessità degli scenari e delle relazioni fra personaggi e fra personaggi e contesto.

 

Multiformità

Una caratteristica importante dei racconti mitici ed epici classici è la loro multiformità: delle stesse vicende esistono varie versioni, generalmente non conciliabili, e spesso le diverse varianti trasportano, per allegoria, significati diversi. Mytico! ha mantenuto questo aspetto presentando, accanto alla versione proposta nel fumetto, le varianti alternative e le vicende correlate negli apparati editoriali, sintetici e ottimamente curati. In questo modo, la storia illustrata viene inserita nel suo specifico contesto, che – ecco il dettaglio fondamentale – non è cristallizzato ma aperto, poiché si chiarisce che quella che abbiamo appena letto è solo una delle versioni, una delle possibilità. Particolarmente utili, in questa visione, sono le genealogie proposte, che sono quanto di più instabile si possa immaginare e, come scritto, dietro ogni versione delle genealogie c’è spesso un’altra storia, in certi casi un altro mondo.09Mytico

E qui merita di essere sottolineata un’evidenza della forza attrattiva di questi racconti, cioè il fatto che gli autori hanno talvolta interpretato quelle vicende, aggiungendo o togliendo elementi. I casi più eclatanti sono probabilmente gli episodi #3 – Nel Labirinto del Terrore, dove la storia del Minotauro è riscritta dando centralità all’umanità e alla solitudine dell’essere ibrido (con – in #10 – Le Colpe dei Padri – un omaggio esplicito a Spiderman e un’evocazione forse involontaria, ma assai suggestiva, della bambola della “Second Children” Asuka Soryou Langley di Evangelion), e #18 – Se il mio Destino è Guerra, dove si cerca di capire Paride, personaggio tipicamente disprezzato. Ma un caso che ritengo particolarmente significativo è quello dell’episodio #31 – Nel Regno dei Morti, che narra la vicenda di Demetra: qui l’autore (Stefano Ascari) ha introdotto un dettaglio apparentemente piccolo, ma incredibilmente significativo, perché offre una specifica prospettiva agli eventi: la protagonista sceglie di mangiare il melograno, sapendo che quell’atto determinerà la sua permanenza nell’Ade. Non è quindi vittima di un qualche destino, bensì autrice consapevole del proprio.

Perché queste modifiche? Credo che la risposta stia semplicemente nel fascino e nella familiarità (che magari scopriamo leggendole: le pensavamo ignote, invece le conoscevamo) di queste storie, di fronte alle quali la tentazione di darne una propria visione è irresistibile. E anche questa forza di gravità che trascina il lettore è una caratteristica dei racconti mitici: le segnalazioni degli interventi degli autori fatta negli editoriali ne chiarisce la natura e conferma questa interpretazione.


  1. Per illustrare il concetto di tecnicizzazione del mito, cito direttamente Furio Jesi: “Le immagini del mito tecnicizzato sono, inoltre, immagini deformate nel senso delle finalità dei tecnicizzatori per il fatto stesso di essere evocate intenzionalmente da essi, e non prescelte spontaneamente dal flusso mitico. … il mito tecnicizzato, sopprimendo il valore collettivo e oggettivo del processo conoscitivo e linguistico, riconduce l’uomo allo ‘stato di sonno’ e apre la via al predominio dell’inconscio.“, cfr. Furio Jesi: Mito e Linguaggio della Collettività, in Furio Jesi: Letteratura e Mito, Einaudi, 1968. 

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