“Momenti straordinari con applausi finti”: Gipi è sopravvissuto

“Momenti straordinari con applausi finti”: Gipi è sopravvissuto

Con "Momenti straordinari con applausi finti" Gipi torna al fumetto, creando un'opera intima e dalla forte matrice autobiografica. Un racconto che esorcizza le sue paure in un lungo percorso di accettazione, crescita personale e ricordo terapeutico.

Tutte le volte che viene annunciata una nuova opera di Gipi l’attesa nel mondo del fumetto, ma ormai non solo in quello, si fa spasmodica, febbrile. Un’attesa che in questo caso si è amplificata a dismisura visto lo strettissimo riserbo che l’autore e l’editore hanno voluto mantenere sulle tematiche e la trama del nuovo libro.

Infatti, Momenti straordinari con applausi finti, questo il titolo rivelato solo un mese prima dell’uscita, è forse il lavoro dell’autore pisano dalla genesi più elaborata, anticipato solo da una manciata di tavole che presentavano scene di guerra, astronauti dispersi su lande desolate e alcuni momenti di vita comune. Forse un escamotage per nascondere la vera natura del libro, una scelta di immagini ben precisa che ha condotto il lettore a credere di essere in attesa di una lettura che alla fine si è rivelata l’opposto, lasciando tutti spiazzati.

Cinquantasei anni prima

Momenti straordinari con applausi finti racconta un momento difficile della vita del comico Silvano Landi (chiaramente alter ego dello stesso autore), diviso tra le cure per la madre morente, metabolizzare il fatto che non può avere figli e il lavoro dove cerca di mantenere una facciata di ostinato sarcasmo e caustico cinismo.
Tutto qui? Si, tutto qui. La più semplice delle formule. Tanto semplice da essere pericolosa, controproducente.

In un’epoca in cui il fumetto autobiografico è talmente utilizzato, tanto da apparire quasi una facile scappatoia alla creazione e all’inventiva, diventa quasi azzardato parlare di sé stessi senza risultare autoreferenziali, senza commiserarsi ed essere ridondanti. Bisogna avere una grande capacità di autocritica, di lucidità verso sé stessi, rimanere in equilibrio tra la spontaneità nel raccontare e la pura tecnica narrativa e grafica, quella che consente a Gipi di idealizzare mondi oscuri e cieli plumbei carichi di pioggia con gli acquerelli, per poi passare a una matita tremolante, sintetica o estremamente dettagliata che delinea personaggi capaci di recitare in modo unico lo spettro delle emozioni umane.

Tutti elementi presenti nel libro e che hanno sempre contraddistinto e fatto amare il fumettista toscano, persona di rara intelligenza che, dopo anni di carriera, rimane ancora una delle voci più potenti, distintive e autoriali del fumetto italiano, capace di convogliare su di sé anche l’attenzione di chi non segue abitualmente questo mondo.

Il bambino aveva come unico sogno il restare bambino

Per chi forse si aspettava una sorta di opera simile al precedente La terra dei figli, che sembrava indicare una svolta di Gipi verso il fumetto di genere, verso la storia pura, dalla narrazione netta e rigorosa seppur di altissimo livello, è stata una sorpresa trovarsi di fronte a una storia intima, fortemente autobiografica. Forse la più personale in assoluto, tanto che l’autore ha più volte rivelato di avere una paura folle di questa opera costata otto mesi ininterrotti di lavoro; terrore di rivelare al suo pubblico un lato cinico e una mancanza di empatia verso una figura in particolare e questioni che lo hanno scosso pesantemente negli ultimi mesi.

Diviso grosso modo in tre segmenti (la realtà in cui vediamo Landi muoversi, una parte più  simbolica, proiezione del suo stato d’animo, in cui seguiamo l’esplorazione da parte di alcuni cosmonauti di un territorio alieno preda di vortici neri che rappresentano paure e insicurezze che costellano la vita passata e presente del  protagonista e infine un uomo primitivo che cerca di capire il significato di un grido che risuona nelle sue orecchie), il libro è una lunga, poetica, elaborazione del lutto, ma anche una impietosa disamina di come cambi totalmente la percezione dei ricordi e del dolore da individuo a individuo.

Di quanto diamo per scontata la presenza delle persone a noi care, di come si possa cercare di negare la morte pensando ai fatti nostri, distraendosi compulsivamente.  Il protagonista, disperso in una campagna buia, oscura, umida e nebbiosa, in cui gli unici punti di approdo sono la clinica che accoglie la madre morente, il palco e la stanza di albergo, rielabora alcuni accadimenti della sua vita che lo hanno segnato in modo drammatico, cercando nello stesso di metabolizzare il fatto di non poter concepire figli, con la voce della moglie che attraverso il telefono funge da ancora di salvezza, di contatto con la realtà.

Quindi è così? Succede così? Si diventa così quando si cresce?

La narrazione sottovoce, naturale e assolutamente verosimile di Gipi, quella che lo fa sembrare sempre vicino al lettore, quasi un amico, ci conduce in questo percorso di guarigione e di riappacificazione con sé stesso, alternando su un binario parallelo attimi fugaci del passato e momenti del suo presente, inserendo a sorpresa un elemento quasi fiabesco, fantastico, ma che non stona o infastidisce. E’ la presenza, invisibile agli altri, del Silvano/Gianni bambino, una presenza terapeutica che lo aiuta lentamente a ritrovare un equilibrio, alleviare, riportare a galla e infine accettare il passato difficile condiviso con la madre, di cui si doveva spesso prendere cura da solo, responsabilità precoce che lo aveva costretto a dimenticare i momenti di gioia passati insieme  e riscoperti ora, negli ultimi attimi di vita della donna, in una serie di piccoli gesti.

Una presenza/coscienza che lo porta a capire che vivere è crescere, maturare e invecchiare, smussando e addolcendo il nostro egoismo, seppur tra i tanti momenti dolenti che cancellano quello che invece dovremmo ricordare, accettare di non poter aver eredi ed essere liberi di non nascondere il rammarico e il dolore dietro a una facciata di falsa indifferenza. Arrivare infine ad accettare di non aver potuto dire addio alla tua mamma perché si è spenta giusto un attimo dopo che hai lasciato la stanza per andare su un palco a far ridere degli sconosciuti, trasformando così questi attimi di sofferenza in momenti straordinari a cui non servono applausi.

Cinquantasei anni dopo

Questo è il nuovo libro di Gipi, realizzato di pancia, forse più per se stesso, senza riflettere eccessivamente sulla struttura, sui passaggi e sui dialoghi, rischiando di apparire melenso, scontato, ma che invece ne conferma la grandezza autoriale, la tecnica grafico/narrativa in costante sviluppo e sperimentazione  e la capacità di mettersi ancora in gioco senza sfruttare la sola notorietà del suo nome come garanzia. Un delicato, toccante, racconto dove un uomo si accetta senza più nascondersi, senza più rabbia repressa e senza far finta che nulla lo tocchi, lo incrini e lo spezzi, facendo vedere quel lato tanto debole che ci spaventa ma che ci rende pienamente esseri umani.

Ora immaginate: Silvano è bambino. È al mare, nuota insicuro contro le onde che lo risucchiano, lo inghiottono, ma sulla riva intravede la sagoma sfocata della madre che lo attende. Non si arrende, combatte. Arriva sulla spiaggia, abbraccia la donna dicendogli sorpreso, “sono sopravvissuto”.

Si. Nonostante tutto è sopravvissuto.

Abbiamo parlato di:
Momenti straordinari con applausi finti
Gipi
Coconino Press, 2019
176 pagine, cartonato, colori – 24,00 €
ISBN: 9788876185236

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