McGuffin Comics: un pretesto per fare fumetti.

McGuffin Comics: un pretesto per fare fumetti.

I retroscena di un'autoproduzione dai toni forti e talvolta esasperati: intervista a Mattia Ferri, cofondatore di McGuffin Comics.

Due pubblicazioni all’attivo: In mass media res e Il cimitero degli amori perduti; uno staff di sceneggiatori, fumettisti e illustratori in continuo mutamento. Una vis polemica molto spiccata e l’autodeterminazione come motore e scopo.
Per scoprire i retroscena di un’autoproduzione dai toni forti e talvolta esasperati abbiamo intervistato Mattia Ferri, cofondatore di McGuffin Comics.

Ciao Mattia e grazie per averci concesso questa intervista. Partiamo dall’inizio: cos’è e come nasce McGuffin Comics?
Mi piace definirla “autoproduzione”.
Io e Mattia Boglioni, l’altro cofondatore, ci siamo conosciuti circa cinque anni fa al corso di sceneggiatura alla Scuola Internazionale di Comics di Brescia e abbiamo iniziato a collaborare finito il corso. Abbiamo lavorato a vari progetti, alcuni li stiamo ancora proponendo a diversi editori.
Dopo un paio di anni di attesa ho sentito la forte esigenza di avere un fumetto fatto, un prodotto finito, qualcosa che essendo entrambi sceneggiatori non avevamo ancora avuto fra le mani.
Avevo collaborato con i ragazzi del terzo anno e avevo un paio di conoscenze: disegnatori fidati e che ritenevo validi, avendo quindi accumulato varie storie sul tema dei mass media abbiamo deciso di fondare un’autoproduzione e pubblicare In mass media res.
Ho contattato le persone che ritenevo più adatte alle storie che avrei assegnato e si è creato questo gruppo, che non è un collettivo nel senso letterale: le decisioni le prendevamo io e Mattia e seguivamo tutti i collaboratori. Le persone del gruppo si conoscevano, e si sono venute a creare delle amicizie. Dalla prima alla seconda pubblicazione il gruppo McGuffin si è ampliato: nel secondo volume abbiamo raddoppiato il numero dei disegnatori e con il terzo (in programma per settembre 2017) ci saranno ulteriori new entry.

Possiamo quindi dire che c’è una direzione artistica e poi ci sono i collaboratori che prendono parte ai singoli volumi.
Sì, come dico quando ingaggio i disegnatori, ogni progetto è a sé: se ci si trova male non si deve per forza rimanere come in un collettivo ma le strade si dividono.
Tendenzialmente comunque ci si trova sempre bene, quindi questo non ha mai rappresentato un problema e si rimane sempre  in ottimi rapporti con tutti. Il cambio di disegnatori molte volte è dovuto alla mia visione di una storia: se credo che un certo stile sia più indicato contatto nuove persone. Ogni collaboratore Mc Guffin riceve una copia delle pubblicazioni, anche quelle cui non ha partecipato.

La copertina di In Mass Media Res, di Laura Mondelli.

Da dove viene il vostro nome e da dove il vostro logo, disegnato da Silvia Signorini, una ventiquattrore aperta?
Un “McGuffin” è una scusa per raccontare una storia: a noi serviva una scusa per fare fumetti quindi ci siamo chiamati McGuffin comics. Il nome è preso da Hitchock, che con questo termine si riferisce a un espediente narrativo e che il regista utilizza in Psycho: la protagonista ruba 40.000 dollari in una valigetta, deve scappare e finisce nel motel della famiglia Bates. Da quel punto in poi la valigetta viene completamente dimenticata: era solo un espediente per far muovere il personaggio dalla città al motel.
L’altro famoso “McGuffin” è sempre una valigetta presente in Pulp fiction; il contenuto della valigetta non viene mai rivelato semplicemente perché non c’è bisogno di rivelarlo: anche in questo caso la valigetta è solo una scusa per far muovere i personaggi, le trame, e lo spettatore è comunque soddisfatto perché ha comunque fruito una storia completa.
Questa “scusa” allo stesso tempo ci permette di variare come vogliamo e quanto vogliamo il segno, la durata della storia, i contenuti, le tematiche.

Perché delle tematiche tanto forti e struggenti, spesso sviluppate in maniera tragica e che raramente lasciano intravedere un barlume di speranza?
Si tratta di un mio interesse personale trasformato  – come si fa spesso nel mondo artistico – in un’opera. Per quanto riguarda In mass media res avevamo già diverse storie e un prodotto pronto per essere disegnato. Mettendo tutto assieme si aveva una panoramica sul rapporto fra mass media, persona e società.
Il fatto di aver fatto trasparire un certo disagio è perché credo che per assurdo sia più semplice raccontare storie drammatiche che leggere e comiche: è molto più semplice creare una struttura, un ritmo, mettendo nei guai un personaggio. La visione un po’ pessimistica è un impatto dato da ciò che leggiamo, da quello che le ispira.

Oltre alle storie a fumetti i volumi sono arricchiti da alcune illustrazioni.
Le illustrazioni presenti in fondo a ogni volume McGuffin in genere sono a scatola chiusa anche per noi: contatto un illustratore, gli comunico il tema e specifico che non mi deve far vedere nulla prima. È una sorpresa anche per me, mi ha fatto molto piacere, ed è un metodo che ha funzionato moltissimo. Nel primo volume ci sono le tavole di Stefano Alghisi, Luigi Filippelli ed eeviac, che hanno tutti e tre una visione diversa ma che rientra nella panoramica totale del volume.
L’illustrazione di Stefano Alghisi, che sembra dare un’apertura, in verità vuole sottolineare come le persone si siano sì salvate grazie al messaggio di James Brown alla televisione, ma anche che, allo stesso tempo la rivoluzione non sia avvenuta proprio perché l’avevano detto alla televisione. Anche in quel caso è presente una piccola ambiguità che fa di sottofondo a tutto il volume.
Nel secondo volume, Il cimitero degli amori perduti, Sara Pavan ha realizzato un’illustrazione in cui penso che la tematica stessa del volume venga velatamente presa in giro: uno dei personaggi dice infatti che l’amore tragico non esiste. È una definizione insensata, o comunque un ossimoro, e mi è piaciuta molto questa cosa.

In In Mass Media Res avete trattato diverse tipologie di media, vecchi e nuovi con diverse implicazioni di causalità e non; si arriva addirittura a vedere un social network che determina la realtà, ma allo stesso tempo si parla anche di televisione e carta stampata.
Toccare diversi mass media serve anche per non ripetersi: essendo varie storie brevi era importante non ripetersi né nelle tematiche che negli argomenti.
In mass media res non è un manifesto tecnofobo, è semplicemente un tentativo di mostrare dei rischi che poi ogni singola persona dovrebbe calibrare. Il concetto molto importante, trasversale a tutte le storie, è l’autodeterminazione: nella prima storia sulla pubblicità ad esempio si riflette sul fatto che la pubblicità sia talmente invasiva da non riuscire a capire quanto influisca sui propri acquisti e sulla propria vita. Anche l’essere alternativo sembra a volte dettato da una ricerca di anticonformismo che non ha vere radici nella tua persona ma che è semplicemente un “andare contro”.

A questo proposito mi vengono in mente le misure prese dal sindaco di San Paolo, in Brasile, nel 2006, che aveva fatto togliere parecchie affissioni dalla città. Guardando il video del prima e dopo ci si rende conto di quanto il nostro occhio sia abituato al rumore visivo causato dalla pubblicità e di quanto facciano parte del volto delle città.
So che anche a Grénoble han tolto tutte le pubblicità. Una cosa che mi interessava sottolineare in quella storia della pubblicità è proprio il fatto che ormai sia impossibile farne a meno: non puoi toglierla. Per assurdo anche questa stessa intervista potrebbe essere vista come una specie di pubblicità. Quello che è importante è che le persone abbiano gli strumenti e il pensiero critico per valutare in maniera cosciente i messaggi che arrivano e da cui vengono bombardati.

Credo comunque ci sia differenza fra pubblicità e comunicazione o informazione: nella maggior parte dei casi si tende a demonizzare entrambe non distinguendo l’una dall’altra, quando invece è molto diverso ad esempio far conoscere qualcosa con cui altrimenti non si verrebbe mai a contatto.
Quindi, nel trattare questo tema, l’intento era di sconvolgere così tanto per far emergere questo spirito critico e tutto il senso di disagio prodotto dalle vostre storie vuole scuotere il lettore da un certo torpore?
Sì, la speranza è quella, e penso che scuotere una persona con la tua storia sia uno dei maggiori risultati cui si possa aspirare. Il concetto di cui parlavamo, l’autodeterminazione, viene poi messo in dubbio: c’è un’ambiguità di fondo in quasi tutte le storie. Ho cercato di non fare dei personaggi piatti, in cui il lettore faccia anche fatica a identificarsi. I protagonisti della prima storia sono dei ribelli contro una distopia, però fanno lotta armata: oltre a scuotere e non dare una risposta secca volevo far crescere delle domande. Quando dovevamo riassumere in poche righe il contenuto di In mass media res dicevamo che in questa autoproduzione non trovi risposte ma il dubbio con la d maiuscola: sono storie sfaccettate, e ogni persona leggendo dovrebbe ragionare sulle tematiche per trovare una propria posizione. Credo che il risultato sia stato raggiunto.
L’ultima storia, Informatica concezione, tratta un tema particolare, con una simbologia volutamente provocatoria verso la storia cattolica. Miriam – protagonista dal nome ebraico il cui ragazzo si chiama Joseph –  trovandosi con un figlio in grembo decide, in un semplice giro pagina, di non averlo. Nella storia non è mostrata questa riflessione e la scelta appare molto rapida: i due personaggi ci ragionano fin troppo a cuor leggero quando vista l’importanza l’argomento andrebbe decisamente valutato con più calma. Questi personaggi sono sì vittime, ma il lettore si chiede: ok quanto sono buoni? quanto devo tifare per loro?

Particolare tratto da “Informatica concesione”, Elisa Mereu
Credits, tavola di Laura Mondelli.

Questo è un aspetto cui non avevo pensato; la decisione mi sembrava esattamente seguire il ritmo della situazione delirante della storia, lo stesso ritmo veloce che caratterizza i social: una sorta di confarsi alle “regole del gioco”.
Le diverse storie sembrano essere un po’ una matrioska: la fine dell’una e l’inizio dell’altra non erano molto chiari, il che dà l’idea che il tutto sia molto concatenato.
L’omogeneità grafica è dovuta al fatto che i disegnatori del primo volume vengono tutti dalla Scuola Internazionale di Comics di Brescia e hanno una impostazione di stile bonelliano.
Ogni volta che contatto qualcuno per fare una storia McGuffin chiedo di esprimersi nel proprio stile: se coinvolgo un autore voglio che ci sia proprio il suo segno. Il risultato è stato poi di grande omogeneità grafica e sia per quanto riguarda i contenuti che il segno il volume è molto organico: ne vado molto fiero.
Credevo invece che il confine fra le storie fosse più netto: forse la causa potrebbe essere la pagina non canonica dei credits che però speravo fossero abbastanza chiari; è una caratteristica molto “fumettosa” e ho notato che le persone che mi fanno questo appunto magari non leggono molto un certo tipo di fumetto o non sono abituati a vedere anche i credits in maniera fantasiosa.
Nel secondo volume il segno si è un po’ più differenziato con i 9 disegnatori e nel terzo volume ci saranno stili ancora più personali; le storie saranno ben divise da pagine dei credits canoniche. Siamo in verità per la promiscuità grafica!

La copertina de “Il Cimitero degli Amori Perduti”, di Laura Mondelli.

Il titolo del secondo volume, Il cimitero degli amori perduti, invece da dove arriva?
È un furto a Gipi. Credo fosse ne LMVDM: a un certo punto il protagonista finisce per sole due vignette nel cimitero degli amori passati. Questa denominazione mi ha colpito all’istante per la bellezza e l’efficacia e mi ha ispirato la storia che fa da scheletro al volume: Orfeo – il protagonista – finisce in questo mondo onirico e cerca di capire dove si trova e come tirare i fili della sua vita. Nel percorso è accompagnato dal custode del cimitero, che assume diverse forme nei diversi episodi impersonificando gli autori che hanno parlato dell’amore o, come dice Nadia Bordonali nella bellissima introduzione, della sua assenza: Dante, Shakespeare, Baudelaire e Woody Allen.
Il cimitero degli amori “passati” mi sembrava troppo poco tragico, e volevo evitare anche denunce da parte di Gipi, quindi l’ho tramutato in “perduti”.
Se nel primo caso avevamo già varie storie e ci siamo poi accorti che avevano un tema in comune, nel secondo siamo partiti da un tema principale, e abbiamo sviluppato tre storie diverse oltre alla storia scheletro. Abbiamo chiesto anche la collaborazione di un’altra sceneggiatrice, Roberta Taboni, che potesse dare un punto di vista diverso su questo tema – cosa che credo abbia fatto alla grande.

Questi amori sono molto attuali: rendono bene il fatto che sia spesso tutto molto fragile e drammaticamente teatrale, fra pause, riprese e confusione, finte incomprensioni e molti capricci.
Son contento che dia una buona panoramica: anche in questo siamo riusciti a differenziare le varie storie brevi.
Il terzo volume avrà invece il tema del suicidio, il titolo – in anteprima – sarà Liberati dal male. Scherzando con i collaboratori abbiamo parlato di una possibile raccolta: la trilogia del disagio.
Ho appena chiuso il cast dei disegnatori e forse devo contattare due illustratori: saranno 5 storie brevi, tre di Mattia Boglioni e due storie mie. Non ci sarà una cornice, perché saranno storie di personaggi abbastanza solitari, e ho deciso di non legarle e di lasciarle separate come lo sono le vite dei protagonisti.
A livello grafico ci sarà un cambiamento forte, grazie al contributo di due disegnatori con uno stile estremamente particolare: Francesca Bozzoli di 1/9 Comics e Matteo de Santis di Cowboys from Hell, due autori bresciani che ho conosciuto di recente. Poi ci saranno Massimiliano Talamazzi e Nicolò Belandi, che han partecipato anche ai precedenti volumi, più Giacomo Traini, che lavora in redazione a Becco Giallo e che ha scritto una breve storia sul pogo intitolata Una gomitata che coprodurrò. L’idea è quella di portarla a Bricòla, il festival delle autoproduzioni del museo Wow di Milano.

Una tavola di Massimiliamo Talamazzi da “Il Cimitero degli Amori Perduti”.

A che eventi vi troveremo prossimamente?
L’11 maggio presenteremo Il Cimitero degli Amori Perduti a L’Ozio a Brescia, ed esporremo anche le tavole dei vari disegnatori coinvolti: un ottimo modo per promuovere il lavoro dei ragazzi, inoltre al volume ha collaborato anche Laura Micieli (illustratrice che lavora nello studio-laboratorio insieme a Biro, Nadia Bordonali e Luigi Filippelli, ndr), quindi sarà una bellissima occasione per far festa.
Saremo poi presenti a Varchi Comics il 18 e 19 marzo, in cui divideremo lo spazio con gli amici di MalEdizioni e il collettivo BohNoBeh, e l’1 aprile saremo a Bricòla, a Milano.

È possibile acquistare anche l’e-book o pdf dei vostri titoli?
Per ora no, ma ho in programma di rendere disponibili gratuitamente i PDF dei volumi, una volta esaurite le copie cartacee o dopo un determinato periodo dalla loro uscita. Nelle versioni online saranno però assenti le prefazioni e le illustrazioni finali, in modo tale da permettere a chi ci ha sostenuti economicamente acquistando le copie cartacee di avere dei contenuti esclusivi.

Grazie Mattia,
è stato interessante conoscerti, approfondire le vostre pubblicazioni e vedere quanta sana ironia e voglia di innescare reazioni stia dietro a delle storie così forti. Spero che dopo la trilogia assisteremo anche a dei racconti con una pars costruens sull’attualità altrettanto sferzante. Buon lavoro!
Grazie a te e a LoSpazioBianco per le domande e il sostegno!

Intervista svolta dal vivo il 1° febbraio 2017 e per email il 22 febbraio 2017

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